Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13430 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13430 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/02/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PESARO il 22/02/1967
avverso la sentenza del 29/05/2018 del TRIBUNALE di PESARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Pesaro ha dichiarato NOME COGNOME quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, responsabile dei reati di cui agli artt. 26, comma 3, e 55, comma 5, lett. D (capo A della rubrica), 1 comma 1, lett. C, e 55, comma 5, lett. C (capo B della rubrica), 37, comma 1, e 55, comma 5, lett. C (capo C della rubrica), d.lgs. 81/2008, condannandolo alla pena complessiva di euro 5.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando il travisamento della prove da parte del Tribunale, in quanto il cantiere dell’impres amministrata dal ricorrente, nel quale erano state rilevate le violazioni, era di notevo estensione e ad esso avevano accesso anche lavoratori di altre imprese, come evidenziato nell’esposto presentato da un imprenditore che svolgeva la propria attività nella stessa area, cosicché non poteva dirsi certo che i lavoratori COGNOME e COGNOME, relazione ai quali erano state rilevate le irregolarità e le violazioni oggetto d contestazioni, fossero alle dipendenze dell’imputato e addetti al compimento di lavorazioni su beni della RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente sussistenza di un ragionevole dubbio circa la responsabilità dell’imputato, che avrebbe dovuto condurre al suo proscioglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo volto a censurare l’accertamento dei fatti compiuto dal Tribunale, proponendo una non consentita rivisitazione degli elementi a disposizione, onde pervenire a una loro lettura alternativa, non ammessa nel giudizio di legittimità.
Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attravers una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., no massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nel caso in esame il Tribunale è pervenuto alla affermazione di responsabilità dell’imputato sulla base di quanto accertato in occasione del sopralluogo eseguito presso il cantiere dell’impresa dallo stesso amministrata, a causa delle modalità dello svolgimento della attività lavorativa da parte di due addetti, che eseguivano lavorazioni per conto dell’imputato, di cui quest’ultimo contesta, peraltro genericamente, la veste di propri dipendenti, o comunque di addetti a proprie lavorazioni, che invece è stata accertata nel corso del sopralluogo, proponendo così una rilettura degli elementi di fatto considerati dal Tribunale, non consentita nel giudizio di legittimità, con la conseguente inammissibilità del ricorso.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2019 Il Consigliere estensore
Il Presidente