Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2587 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2587 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di:
COGNOME NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA,
NOME, nato a Foggia il DATA_NASCITA,
NOME, nato a Cerignola il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di appello di Bari del 7.11.2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata quanto a NOME COGNOME per difetto di procedibilità
dell’azione penale; per la inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, che ha concluso per l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata nei confronti di entrambi i suoi assistiti.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28.2.2020 il GUP del Tribunale di Foggia aveva riconosciuto NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del delitto di riciclaggio relativamente ad un rimorchio marca Viberti risultato provento di furto sicché, con le circostanze attenuanti generiche, applicata la diminuente per la scelta del rito, li aveva condannati alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione ed euro 3.000 di multa, ciascuno, oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali;
la Corte di appello di Bari ha riqualificato i fatti contestati al COGNOME in termini di furto aggravato e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla aggravante, operata altresì la riduzione per la scelta del rito, ha rideterminato la pena inflitta a costui in anni 1 di reclusione ed euro 300 di multa confermando nel resto, e per quanto concerne il COGNOME ed il COGNOME, la sentenza impugnata, con condanna di costoro al pagamento RAGIONE_SOCIALE ulteriori spese processuali;
ricorrono per cassazione il COGNOME ed il COGNOME con un ricorso comune e, con un autonomo ricorso, il COGNOME, a mezzo dei rispettivi difensori che deducono:
3.1 l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del COGNOME e del COGNOME:
3.1.1 violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 533 e 535 cod. proc. pen. e 110 cod. pen. (per quanto concerne il NOME): rileva che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la condanna può intervenire soltanto ove non residui alcun “ragionevole dubbio” sulla responsabilità; segnala, in particolare, che la Corte d’appello non ha valutato, in termini liberatori, le dichiarazioni del COGNOME invece valorizzate positivamente laddove costui aveva ammesso di essere stato l’autore del furto; ribadisce che sia il COGNOME che il COGNOME avevano “scagionato” il COGNOME nei cui confronti, perciò, avrebbe dovuto valere la regola di giudizio cristallizzata all’art. 533 cod. proc. pen.;
I
3.1.2 violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen.: rileva che la derubricazione del riciclaggio in furto aggravato non poteva essere limitata al solo COGNOME convergendo tutte le risultanze investigative nel senso della identità del ruolo svolto dall’odierno ricorrente la cui mancata ammissione non può essere dirimente, tenuto conto degli assodati rapporti personali tra i due;
3.1.3 violazione di legge per mancata riqualificazione del fatto in termini di tentativo: rileva che, nel caso di specie, la condotta descritta nella imputazione non supera la soglia del tentativo punibile in quanto l’intervento RAGIONE_SOCIALE forze dell’ordine aveva interrotto le operazioni in atto sul rimorchio che erano in quel momento appena iniziate;
3.1.4 violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 648-bis e 648 cod. pen.: rileva, ancora, che al COGNOME andava ascritto il delitto di ricettazione in quanto, nel caso di specie, il ricorrente non aveva posto in essere nessuna RAGIONE_SOCIALE condotte evocate e descritte dalla norma incriminatrice di cui all’art. 648-bis cod. pen.;
3.1.5 violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 624-625 cod. pen. e 129 cod. proc. pen.: rileva (co riguardo alla posizione del COGNOME) che il furto aggravato è divenuto procedibile a querela di parte con l’entrata in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022 e che la denuncia dell’COGNOME non ha i requisiti della querela che consenta di ritenere procedibile l’azione penale;
3.1.6 violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 597, comma terzo, cod. proc. pen.: rileva che il giudizio di valenza tra circostanze eterogenee è stato effettuato in termini deteriori rispetto a quanto aveva fatto il giudice d primo grado che aveva giudicato le attenuanti prevalenti rispetto alla recidiva laddove la Corte di appello ha concluso per un giudizio di equivalenza;
3.1.7 violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 133, 62-bis, 69 e 99 cod. pen.: segnala che la pena avrebbe dovuto essere determinata in termini più miti, escludendo la recidiva, in quanto i fatti giudicati in quest occasione non sono espressione di maggiore pericolosità sociale e di maggior colpevolezza che non possono essere presunte ma devono essere oggetto di puntuale motivazione;
3.1.8 manifesta illogicità della motivazione: segnala che la sentenza impugnata non fornisce risposta alle doglianze difensive riportate nei motivi di appello sia per quanto concerne la qualificazione del fatto ed il trattamento sanzionatorio;
3.2 l’AVV_NOTAIO nell’interesse del NOME:
3.2.1 inosservanza o errata applicazione della legge penale per contraddittorietà della prova sulla colpevolezza in merito al delitto di cui all’art 648-bis cod. pen.: segnala che il ricorrente, sin dall’interrogatorio di garanzia, aveva spiegato le ragioni del possesso del rimorchio che gli era stato proposto in vendita dal COGNOME come veicolo da rottamare e di cui ignorava egli l’origine delittuosa, come peraltro confermato dallo stesso coimputato; osserva che il ricorrente si era infatti rivolto ad una ditta specializzata piuttosto che servirsi personale “parallelo”; aggiunge che nel caso in esame il personale di PG ha potuto senza alcuna difficoltà risalire all’origine delittuosa del mezzo non sussistendo, perciò, l’elemento distintivo del delitto di riciclaggio e, dunque, potendo al più ipotizzarsi il diverso delitto di cui all’art. 648 cod. pen.;
3. la Procura AVV_NOTAIO, nonostante la richiesta di trattazione orale avanzata dalle difese, aveva trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata quanto a NOME COGNOME per improcedibilità dell’azione penale e per la inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME: rileva che il primo motivo del ricorso del COGNOME si risolve in una rivalutazione dei contenuti RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dai coimputati; che il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso presentano doglianze meramente ripetitive rispetto a quelle già sollevate nel giudizio di appello ed alle quali la Corte territoriale ha dato riscontr con valutazioni che in fatto ed in diritto non sono meritevoli di censura e con i quali i motivi non si confrontano; che il settimo motivo di ricorso è manifestamente infondato mentre del tutto generiche risultano le doglianze aventi ad oggetto il trattamento sanzionatorio, ivi compresa la ritenuta recidiva; rileva, invece, al fondatezza del quinto motivo del ricorso, concernente la posizione del COGNOME nei cui confronti il fatto è stato riqualificato dalla Corte d’appello ai sensi deg articoli 624 – 625 nr. 7 cod. pen. che, tuttavia, con l’entrata in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022, non è più procedibile d’ufficio mentre la denunzia presentata dalla persona offesa, allegata al ricorso, non può essere qualificata come un atto di querela, dato il suo contenuto meramenle descrittivo dell’accaduto ed in ragione della totale assenza di riferimenti – anche in forma implicita – alla volontà di perseguire l’autore del reato; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale rileva, ancora, che il ricorso proposto nell’interesse di NOME è inammissibile già per un preliminare profilo di aspecificità del motivo che si rinviene nella prospettazione di una violazione di legge che viene tuttavia correlata alla insufficienza o contraddittorietà della prova; richiama, comunque, le considerazioni spese con riguardo al secondo, terzo e quarto motivo di ricorso nell’interesse del NOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili in quanto articolati su motivi manifestamente infondati ovvero non consentiti o preclusi in questa sede.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati chiamati a rispondere del delitto di riciclaggio per avere “… in concorso e previ accordi tra loro, dando incarico alla ditta rappresentata da RAGIONE_SOCIALE ed agli operai COGNOME NOME e COGNOME NOME, che materialmente procedevano al taglio dei pezzi, compiuto sul rimorchio marca TARGA_VEICOLO, privo di targa e provento di furto commesso ai danni di COGNOME NOME, operazioni tali da ostacolare la sua provenienza delittuosa, smontandone i singoli pezzi”.
1. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
1.1 Il primo, il secondo, il terzo, il quarto e l’ottavo motivo del ricorso proposto nell’interesse del NOME e l’unico motivo del ricorso proposto nell’interesse del NOME deducono il vizio di violazione di legge con riguardo alla fattispecie incriminatrice contestata e di cui i giudici di merito hanno ritenuto integrati, in punto di fatto, gli elementi costitutivi; in secondo luogo, vizio motivazione in punto di responsabilità.
E, tuttavia, a ben guardare, sotto il profilo della violazione di legge sostanziale, la difesa finisce per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione conforme RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ravvisare tali elementi nella ricostruzione della concreta vicenda processuale; il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito essendo certamente preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati da giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez.
6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148).
Con riguardo, poi, al vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non è inutile ribadire che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risult logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., tra altre, Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
1.2 Tanto premesso in via generale, rileva il collegio che la lettura RAGIONE_SOCIALE due sentenze di merito restituisce una ricostruzione della vicenda e, più in particolare, RAGIONE_SOCIALE condotte ascritte ai diversi protagonisti tale da aver consentito, al primo giudice ed alla Corte d’appello, di inquadrarle congruamente nel paradigma delineato dall’art. 648-bis cod. pen. riferibile, dal punto di vista soggettivo, a entrambi i predetti ricorrenti.
Per quanto riguarda la posizione del COGNOME, va rilevato, d’altra parte, che i motivi sulla responsabilità finiscono con il sollecitare una rivalutazione RAGIONE_SOCIALE emergenze istruttorie invece puntualmente ed accuratamente vagliate dalla Corte d’appello che ha valorizzato la presenza del ricorrente sul posto che, come risulta dalle immagini del circuito di videosorveglianza che aveva consentito di visionarne i movimenti, non era affatto casuale e disinteressata ma chiaramente finalizzata a sovrintendere all’attività di smontaggio del rimorchio, sottolineando la inconciliabilità RAGIONE_SOCIALE immagini rispetto alla spiegazione, alternativa, fornita dalla difesa (cfr., pag. 14 della sentenza).
I giudici di secondo grado hanno congruamente osservato che “se davvero il COGNOME si fosse recato presso l’autoparco all’interno del quale doveva essere smontato il semirimorchio di proveriienza furtiva soltanto perché doveva accompagnare il COGNOME a recuperare la motrice, come sostenuto dai detti imputati, non si comprenderebbe perché avrebbe dovuto trattenersi per tutto il tempo in cui hanno avuto luogo le operazioni di smontaggio dello stesso e sino al momento dell’intervento dei Carabinieri; né appare minimamente credibile quanto sostenuto dal COGNOME circa il fatto che gli accordi prevedessero che il COGNOME sarebbe tornato con lui, a bordo della sua BMW (ragione per la quale egli era rimasto in attesa che terminassero le operazioni di smontaggio), perché ove così fosse non si comprenderebbero come avrebbe potuto il detto imputato riprendere il suo trattore” (cfr., ivi).
Altrettanto incensurabile è la motivazione con cui la Corte, in termini incensurabili in questa sede perché ancorati alle specifiche emergenze istruttorie di cui i giudici di merito hanno dato puntualmente conto, ha escluso che il COGNOME potesse rispondere – in concorso con il COGNOME – del delitto di furto: ha osservato, a tal proposito, che il ricorrente aveva fornito un contributo materiale alle operazioni di occultamento della provenienza delittuosa del mezzo non essendovi invece alcun elemento a sostegno della sua partecipazione al furto, sia dal punto di vista materiale che, anche, della assunzione preventiva dell’impegno ad acquistare il mezzo da rubare, in tal modo ponendo in essere una condotta di concorso morale (cfr., pag. 15).
Quanto al motivo di ricorso articolato sul disconoscimento della possibilità di configurare il (solo) delitto di ricettazione ovvero un (mero) tentativo di riciclaggio, la Corte d’appello ha in primo luogo dato conto del dibattito giurisprudenziale esistente sulla questione della stessa ipotizzabilità di siffatta figura incriminatrice finendo, comunque, per fornire una motivazione in fatto non censurabile in questa sede.
Secondo il tenore RAGIONE_SOCIALE massime tratte da alcune decisioni, infatti, il delitto di riciclaggio, in quanto fattispecie costruita come a consumazione anticipata, si perfeziona con il mero compimento RAGIONE_SOCIALE operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o RAGIONE_SOCIALE altre utilità (cfr., Sez. 2 – , n. 11277 del 04/03/2022, COGNOME, Rv. 282820 – 01; Sez. 2 – , n. 37559 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 277080 – 01; Sez. 2 – , n. 35439 del 15/06/2021, COGNOME, Rv. 281963 – 01, in cui la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione di riciclaggio consumato nei confronti di due soggetti sorpresi nell’atto di smontare parti di veicolo provento di furto; Sez. 2, n. 5505 del 22/10/2013, dep. 2014, Lumicisi, Rv. 258340).
In senso difforme, si collocano altre decisioni secondo le quali risponde del delitto tentato di riciclaggio il soggetto sorpreso dalla polizia giudiziaria nell’atto smontare un motociclo, in quanto la fattispecie di cui all’art. 648-bis cod. pen., nella vigente formulazione, non è costruita come delitto a consumazione anticipata (cfr., Sez. 2, n. 55416 del 30/10/2018, COGNOME, Rv. 274254, resa in una fattispecie nella quale le operazioni di smontaggio RAGIONE_SOCIALE diverse componenti del veicolo erano state interrotte prima che si determinasse la perdita della connessione con i dati identificativi del mezzo; conf., più recentemente, Sez. 1 – , n. 22437 del 22/02/2022, NOME, Rv. 283183 – 01; Sez. 2, n. 1960 de111/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262506; Sez. 5, n. 17694 del 14/01/2010, NOME, Rv. 247220).
Al di là della considerazione RAGIONE_SOCIALE pur non irrilevanti implicazioni legate alla peculiarità RAGIONE_SOCIALE singole vicende fattuali esaminate, il problema nasce dal testo della norma incriminatrice che, nel descrivere le condotte che integrano il reato, dopo avere evocato quelle di sostituzione o trasferimento di denaro, beni od altre utilità provenienti da delitto non colposo, fa riferimento a quelle di chi “… compie in relazione ad essi altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
Gli interpreti sono divisi proprio sulla corretta interpretazione della espressione “in modo da ostacolare” sostenendo, gli uni, che essa miri a sanzionare condotte teleologicamente dirette allo scopo di ostacolare la identificazione della provenienza delittuosa del bene e, perciò, “anticipando” la consumazione del reato alle condotte che risultino idonee ed univocamente volte a questo fine; gli altri, che attribuiscono all’espressione un significato meramente descrittivo della condotta che deve possedere i requisiti di idoneità con ciò “anticipando” la consumazione del reato alla fase del compimento di atti ed operazioni che devono avere una effettiva capacità di recisione del collegamento tra il bene e l’originario titolare.
Ad ogni modo, e come anticipato, nel caso di specie la Corte ha motivato in punto di fatto sottolineando che il veicolo era già stato privato RAGIONE_SOCIALE targhe (cfr., ivi, pag. 16), operazione tipicamente diretta ad impedire la ricostruzione della origine delittuosa del bene essendo, peraltro, appena il caso di ribadire che, per la configurabilità del reato, non è necessario che sia efficacemente e definitivamente “impedita” la tracciabilità del percorso del bene provento di reato, ma è sufficiente che essa sia solo “ostacolata” (cfr., Sez. 2, n. 26208 del 09/03/2015, COGNOME, Rv. 264369).
Il settimo motivo del ricorso del COGNOME è manifestamente infondato: la Corte d’appello ha congruamente motivato sulla sussistenza dei presupposti della contestata recidiva (cfr., pag. 16) dovendosi, comunque, rilevare che essa era stata giudicata subvalente rispetto alle pur riconosciute circostanze attenuanti generiche difettando, perciò, l’interesse dell’imputato a sollevare il profilo della sua mancata esclusione (cfr., in tal senso, e tra le tante, Sez. 2 – , n. 3880 del 24/11/2022, GLYPH NOME, GLYPH Rv. 284309 GLYPH 01; Sez. 1 – , n. 43269 del 25/09/2019, GLYPH R., GLYPH Rv. 277144 GLYPH 01; Sez. 3 – , n. 19901 del 12/12/2018, COGNOME, Rv. 275962 – 01).
2. Il ricorso di NOME COGNOME
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile finendo con il sollecitare una rivalutazione, nel merito, RAGIONE_SOCIALE emergenze istruttorie.
La Corte d’appello, infatti, ha motivato in termini assolutamente congrui ed esaustivi a confutazione della tesi difensiva della mancata consapevolezza, da parte dell’odierno ricorrente, della origine delittuosa del mezzo, sostenendo, con argomentazione tipicamente “di merito” e “in fatto”, che il rimorchio “… era in buone condizioni ed ancora in uso (come si desume dalla denuncia di furto …) ragione per cui non è seriamente ipotizzabile che il NOME, vedendo un rimorchio in buone condizioni, non si sia nemmeno posto il dubbio che si trattasse di un rimorchio di provenienza delittuosa” (cfr., pagg. 12-13 della sentenza in verifica) di cui il COGNOME aveva la disponibilità nonostante non svolga attività di autotrasportatore o gestore di una ditta che si occupa di trasporti; ha ritenuto, pertanto, sussistenti i presupposti per configurare, in capo al ricorrente, quantomeno il dolo eventuale.
Ha motivato, inoltre, sulle ragioni per le quali doveva ritenersi irrilevante il fatto che, per lo smontaggio, il NOME avesse dovuto rivolgersi ad una ditta specializzata e per le quali, inoltre, il fatto non era riconducibile alla fattispecie cui all’art. 648 cod. pen..
3. Il ricorso di NOME COGNOME
Il ricorso di NOME COGNOME è, a sua volta, inammissibile.
3.1 Con il primo motivo, infatti, la difesa del ricorrente sollecita la declaratoria di improcedibilità dell’azione penale in quanto il reato di furto aggravato (dalla esposizione alla pubblica fede), di cui il COGNOME si era autoaccusato e di cui era stato riconosciuto responsabile dalla Corte d’appello, è divenuto procedibile a querela di parte a séguito dell’entrata in vigore del D. Lg.vo 150 del 2022 (cd. riforma “Cartabia”); ha fatto presente, allegandola al ricorso, che quella sporta dalla vittima del furto non possedeva in alcun modo i caratteri di una querela ma era una (mera) denunzia.
La questione da affrontare, dunque, è quella del rapporto tra (in)ammissibilità del ricorso in cassazione e deducibilità/rilevabilità della sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela quanto ai reati per i quali, con l’entrata in vigore della novella, è stato introdotto il regi di procedibilità dell’azione penale su istanza di parte; tra questi, come è noto, e per quel che interessa nel caso di specie, v’è il furto aggravato ai sensi dell’art. 625 cod. pen., con la esplicita eccezione della incapacità della vittima per età o per infermità ovvero per il caso in cui ricorra taluna RAGIONE_SOCIALE aggravanti di cui al n. 7 dell’art. 625 cod. pen. (salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede) o 7-bis.
Si tratta, cioè, di stabilire se, in sede di legittimità, sia possibile dedurre rilevare la improcedibilità dell’azione penale relativamente a condotte perfezionatesi nel regime normativo precedente alla entrata in vigore della riforma e “giudicate” con sentenze emesse, in appello, prima del 30 dicembre ma per le quali, a quella data, non fosse decorso e fosse pendente il termine per proporre ricorso per cassazione.
Ebbene, il collegio ritiene in primo luogo necessario chiarire che, stante la natura mista, sostanziale e processuale, della querela, nonché la sua concreta incidenza sulla punibilità dell’autore del fatto, non par dubbio che la previsione della procedibilità ad istanza di parte impone al giudice, in forza dell’art. 2, comma quarto, cod. pen., di accertarne l’esistenza anche per i reati commessi anteriormente all’intervenuta modifica (cfr., così. Ad esempio, Sez. 5 – , n. 22641 del 21/04/2023, P., Rv. 284749 – 01).
D’altro canto, ed anticipando le conclusioni che il collegio condivide, va detto che nel giudizio di legittimità, l’inammissibilità del ricorso, impedendo la costituzione del rapporto processuale, preclude la considerazione della mancata
proposizione della querela in relazione a reati per i quali, nelle more, e pendente il termine per la impugnazione, sia stata prevista la procedibilità dell’azione penale ad istanza di parte; con la ulteriore conseguenza per cui non è necessario, in tal caso, attendere il decorso del termine di tre mesi dall’entrata in vigore del citato d.lgs. per l’eventuale esercizio dell’istanza punitiva (cfr., oltre a quella sopr richiamata, anche, e tra le altre, Sez. 4 – , n. 2658 del 11/01/2023, Saitta, Rv. 284155 – 01).
Come si è avuto modo di chiarire, infatti, il fenomeno della introduzione del regime di procedibilità a querela per reati già procedibili di ufficio non è certamente ignoto e, anzi, il legislatore vi ha fatto negli ultimi anni ripetutamente ricorso a fi chiaramente “deflattivi” del contenzioso penale.
Ed è stato proprio in relazione ad uno di questi interventi (quello operato con il D. Lg.vo 36 del 2018) che le SS.UU. di questa Corte hanno avuto modo di chiarire che, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto di discipline normative sopravvenute ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l’inammissibilità del ricorso esclude che possa essere rilevata la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale e, nel caso specifico, che debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto per l’eventuale esercizio del diritto di querela (cfr., in tal senso, per l’appunto, Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, Rv. 273551).
A questa soluzione le SS.UU. sono, come è noto, pervenute all’esito di una elaborazione ormai pluridecennale del rapporto tra inammissibilità del ricorso e “giudicato sostanziale”, conseguente alla inidoneità della impugnazione, in quanto inammissibile per ragioni formali (tardività o difetto di legittimazione) o anche “sostanziali” (genericità o manifesta infondatezza RAGIONE_SOCIALE censure), a consentire la instaurazione del rapporto processuale (cfr., da ultimo, Sez. U, n. 38809 del 31/3/2022, COGNOME, Rv. 283689).
Come efficacemente e plasticamente evidenziato in motivazione della sentenza “Salatino”, “… la proposizione di un atto di impugnazione non consentito dà luogo alla formazione di un giudicato che attende di essere formalizzato con le modalità previste dall’articolo 648 cod. proc. pen. e, per distinguersi da questo, viene definito sostanziale ma che, ciò nondimeno, produce l’effetto di rendere giuridicamente indifferenti fatti processuali come l’integrazione di cause di non punibilità precedentemente non rilevate perché non dedotte oppure integrate successivamente al giudicato stesso”.
È opportuno, peraltro, chiarire che, rispetto alla generale preclusione ed irrilevanza dei fatti sopravvenuti derivante dal giudicato “sostanziale”, le SS.UU.
hanno spiegato che “… è fatta eccezione per cause di non punibilità rigorosamente individuate quali l’abolito criminis o la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, che producono effetto ex tunc, travolgendo anche il giudicato formale … alle quali vanno aggiunte l’ipotesi dell’estinzione del reato per morte dell’imputato, quella RAGIONE_SOCIALE modifiche normative sopravvenute in termini di attenuazione della pena … e … quella ulteriore della estinzione per remissione di querela, perfezionatasi in pendenza del ricorso per cassazione” nonché, da ultimo, anche “… la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., che le Sezioni Unite … hanno ritenuto rilevabile anche in presenza di ricorso inammissibile rimarcandone la capacità di operare come una depenalizzazione in concreto … pure dovendosi sottolineare la dissimetria, rispetto alle decisioni precedenti, della interpretazione che ha disancorato tale eccezionale attitudine, dalla capacità di determinare la revoca del giudicato”.
Con specifico riferimento alla ipotesi della estinzione del reato per remissione della querela, a sgombrare il campo da ogni possibile “contaminazione” con la (sopravvenuta) improcedibilità dell’azione penale, va rilevato che le stesse SS.UU. “Salatino” hanno puntualmente richiamato la sentenza “Chiasserini” (cfr., Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, Rv. 227681 – 01) spiegando che la decisione ivi adottata “… prende le mosse da un inquadramento della remissione della querela non tanto come istituto sostanziale e per questo assimilabile alle altre cause di estinzione del reato, quanto piuttosto in ragione della sua capacità di differenziarsi dalle dette altre cause di estinzione per la caratteristica che essa presenta non solo di estinguere il diritto punitivo dello Stato, ma di paralizzare la perseguibilità stessa del reato: con la conseguenza della massima estensione da attribuire al termine ultimo per la sua rilevazione, secondo il disposto dell’art. 152, terzo comma, cod. pen., e cioè fino alla condanna irrevocabile in senso formale, che è evenienza processuale sicuramente posteriore e indipendente dal fatto in sé della presentazione di un ricorso inammissibile e utile ai fini in esame, salvo il caso della inammissibilità per tardività”.
Sempre in motivazione, le SS.UU. “Salatino” hanno inoltre ribadito, con le SS.UU. “Ricci”, che “… l’art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione. Non riveste, cioè, per quanto qui interessa, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere
adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione” dovendo “… escludersi che, in presenza di ricorso inammissibile e senza che si apprezzi alcuna novità normativa o sistematica atta a riaprire il dibattito sulla eventuale distinguibilità fra cause di ontologica invalidità del ricors (come nel caso di atto non sottoscritto o presentato da soggetto non legittimato) e cause che richiedano un meno evidente apprezzamento da parte del giudice (come nel caso di manifesta infondatezza dei motivi) – possa affermarsi, nell’ottica dell’attivazione della disciplina transitoria posta dal citato art. 12, che, al condizioni suddette, il procedimento sia “pendente”.
In alcun modo, perciò, si è detto, la sopravvenuta procedibilità a querela (e, nel regime intertemporale disciplinato dal D. Lg.vo 36 del 2018, la procedura finalizzata all’eventuale accertamento dell’improcedibilità per mancanza di querela a seguito dell’esito negativo della informativa data alla persona offesa), può ritenersi in grado di operare come una ipotesi di aboliti° crimins prevalendo, perciò, sulla inammissibilità del ricorso e, dunque, sul “giudicato sostanziale” conseguentemente formatosi (cfr., d’altra parte, e tra le tante, Sez. 1, n. 1628 del 03/12/2019, COGNOME, Rv. 277925 – 01, in cui si è ribadito che non costituisce causa di revoca della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen. una modifica legislativa per effetto della quale un reato procedibile d’ufficio divenga procedibile a querela, in caso di mancata proposizione di questa, atteso che il regime di procedibilità non è elemento costitutivo della fattispecie e conseguentemente la sopravvenuta previsione della procedibilità a querela è inidonea a determinare un fenomeno di abolitio criminis).
In definitiva, va ribadito che la inammissibilità del ricorso non consente di prendere atto della improcedibilità dell’azione penale in quanto, pur nella consapevolezza del fatto che trattasi di elemento rilevante ai fini della complessiva valutazione di gravità del trattamento sanzionatorio e, pertanto, della applicazione della regola di giudizio dettata dal quarto comma dell’art. 2 cod. pen. (cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, R., Rv. 265999 e Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, COGNOME, Rv. 209188; Sez. 2, n. 40399 del 24/09/2008, COGNOME, Rv. 241862), è certo che la applicazione retroattiva del trattamento più favorevole non può comunque prevalere sul giudicato “sostanziale”.
In conclusione, il collegio non può che condividere il principio per cui, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, deve escludersi che la sopravvenuta procedibilità a querela per talune ipotesi di reato, introdotta dalla novella, possa prevalere sul “giudicato
sostanziale”, determinatosi a séguito della inidoneità del ricorso inammissibile ad instaurare un valido rapporto processuale.
In tal senso, d’altra parte, si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte in numerose decisioni che hanno ripercorso il medesimo iter argomentativo (cfr., in tal senso, Sez. 5 – , n. 5223 del 17/01/2023, COGNOME, Rv. 284176 – 01, in cui, giudicando su una ipotesi di furto aggravato, la Corte ha ribadito che nei giudizi pendenti in sede di legittimità, l’improcedibilità per mancanza di querela, necessaria per reati divenuti procedibili a querela a seguito dell’entrata in vigore del D.Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, non prevale sull’inammissibilità del ricorso, poiché, diversamente dall’ipotesi di aboliti° criminis, non è idonea a incidere sul cd. giudicato sostanziale; Sez. 5 – , n. 11229 del 10/01/2023, Popa, Rv. 284542 – 01, secondo cui, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, la sopravvenienza della procedibilità a querela per effetto dell’entrata in vigore del D.Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, non opera quale ipotesi di abolitio criminis capace di prevalere sull’inammissibilità del ricorso e di incidere sul cd. giudicato sostanziale. (Fattispecie relativa a furto aggravato ai sensi dell’art. 625, comma primo, n. 5, cod. pen; conf., anche, tra le non massimate, Sez. 4, n. 18508 del 20.4.2023, COGNOME, in cui la Corte ha ribadito che “… la disciplina codicistica de mutamenti normativi favorevoli diversi dalla abolitio criminis non consente di sostenere che, nel rapporto tra ricorso inammissibile e innovazioni normative che introducono la procedibilità a querela, debbano applicarsi regole diverse da quelle che, in base alla giurisprudenza assolutamente prevalente, si applicano nei rapporti tra ricorso inammissibile e mutamenti normativi favorevoli in materia di cause di non punibilità e, in particolare, di cause estintive del reato, aventi natura più marcatamente sostanziale” sicché “… le innovazioni in materia di procedibilità a querela possono operare retroattivamente, ma tale retroattività incontra un limite nella presentazione di un ricorso inammissibile”; conf., ancora, Sez. 1, n. 10692 del 3.2.2023, Caccetta). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Così come non è dunque consentito alla Corte rilevare il difetto di procedibilità dell’azione penale in presenza di un ricorso inammissibile, allo stesso tempo deve ritenersi inammissibile il ricorso che, senza muovere alcun (altro) rilievo o articolare alcuna (altra) censura nei confronti della sentenza impugnata, si limiti – come in taluno dei ricorsi che ci occupano – ad invocare la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale.
Con specifico riguardo ad altra ipotesi di evenienza “sopravvenuta” alla stessa sentenza in verifica, infatti, si è precisato ed è ormai principio di dirit vivente quello per cui deve ritenersi certamente inammissibile il ricorso per cassazione che sia stato proposto unicamente per far valere la prescrizione
maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto, in tal caso, l’impugnaazione viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell’art. 581, lett. c) cod. pr pen. ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 dello stesso codice (cfr., Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531 – 01).
3.2 Il secondo motivo del ricorso è, infatti, ed a sua volta, inammissibile perché manifestamente infondato.
Il primo giudice aveva riconosciuto le attenuanti generiche valutandole erroneamente (in violazione dell’art. 69, comma 4, cod. pen.) prevalenti sulla recidiva qualificata; la Corte d’appello ha perciò riformulato il giudizio di valenza stimando le attenuanti generiche (soltanto) equivalenti sia all’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. che alla recidiva qualificata infliggendo, peraltro, una pena concretamente inferiore rispetto a quella che era stata stabilita dal Tribunale in prime cure.
È assolutamente consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione secondo cui non viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, proceda alla derubricazione del reato per cui vi era stata condanna in primo grado in altro meno grave e ad un corretto giudizio di bilanciamento RAGIONE_SOCIALE circostanze, deteriore rispetto a quello formulato erroneamente dal giudice di prime cure, purché venga irrogata una pena non superiore a quella inflitta dal primo giudice (cfr., Sez. 5, n. 29471 del 07/05/2018, COGNOME, Rv. 273147 cfr., – 01, resa in una fattispecie relativa a modifica del giudizio di bilanciamento tra le riconosciute attenuanti generiche e le aggravanti del nesso teleologico e della recidiva da giudizio di equivalenza a giudizio di sub-valenza, pur nel contesto di una riqualificazione giuridica più favorevole del reato da tentato omicidio aggravato a lesioni aggravate; conf., Sez. 4 – , n. 44949 del 30/09/2021, COGNOME, Rv. 282242 – 01; Sez. 2, n. 43288 del 01/10/2015, Frezza Rv. 264781 – 01).
4. L’inammissibilità dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000, ciascuno, in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 7.12.2023