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Ricorso inammissibile: niente prescrizione post-sentenza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8298/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo una sentenza di patteggiamento per guida in stato di ebbrezza, chiedeva venisse dichiarata la prescrizione del reato maturata successivamente. La Corte ha ribadito che un ricorso inammissibile preclude l’esame nel merito, inclusa la valutazione di cause di estinzione del reato come la prescrizione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione chiude la porta alla prescrizione post-patteggiamento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8298 del 2024, ha riaffermato un principio fondamentale del diritto processuale penale: un ricorso inammissibile non consente al giudice di rilevare cause di estinzione del reato, come la prescrizione, maturate dopo la sentenza impugnata. Questa decisione chiarisce i limiti stretti dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento e le conseguenze per chi tenta di aggirarli.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un automobilista condannato, tramite sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto “patteggiamento”), per guida in stato di ebbrezza. La pena concordata era di sette giorni di arresto e 900 euro di ammenda, con sostituzione della pena detentiva.

Successivamente, a seguito di un incidente di esecuzione, l’imputato veniva rimesso nei termini per proporre impugnazione. Forte di questa possibilità, presentava ricorso in Cassazione sostenendo un’unica tesi: nel tempo trascorso, il reato si era estinto per prescrizione e, pertanto, chiedeva una pronuncia in tal senso.

La Decisione della Corte e il Principio del Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi interconnessi: i limiti specifici per l’impugnazione del patteggiamento e il principio generale che regola il rapporto tra inammissibilità e cause di estinzione del reato.

I Limiti all’Impugnazione della Sentenza di Patteggiamento

I giudici hanno innanzitutto ricordato che, a seguito della riforma Orlando, l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i motivi per cui è possibile ricorrere contro una sentenza di patteggiamento. Questi motivi includono:

* Vizi del consenso (l’espressione della volontà dell’imputato);
* Erronea qualificazione giuridica del fatto;
* Illegalità della pena applicata.

La richiesta di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione non rientra in nessuna di queste categorie. Di conseguenza, il motivo addotto dal ricorrente era, in partenza, estraneo a quelli consentiti dalla legge, rendendo il suo ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che, al momento di ratificare l’accordo tra le parti, il giudice del merito aveva già implicitamente escluso la presenza di cause di proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 c.p.p. La scelta del patteggiamento implica una rinuncia a contestare le prove e l’accertamento dei fatti.

Il punto cruciale della motivazione, però, risiede nel consolidato principio giurisprudenziale secondo cui l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare d’ufficio cause estintive del reato. In altre parole, se l’impugnazione non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, il giudice non può entrare nel merito della questione. Questo vale a maggior ragione quando, come nel caso di specie, la prescrizione è maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata. La giurisprudenza ha ripetutamente escluso che si possa ricorrere in Cassazione al solo fine di far accertare una causa estintiva sopravvenuta.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza in esame consolida un orientamento rigoroso. Chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento deve attenersi scrupolosamente ai motivi previsti dalla legge. Tentare di utilizzare il ricorso per sollevare questioni diverse, come la prescrizione maturata medio tempore, non solo non porterà al risultato sperato, ma condurrà a una declaratoria di inammissibilità. Tale esito comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso specifico con la condanna al versamento di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende. La decisione serve da monito: le vie dell’impugnazione, specialmente nei riti alternativi, sono strette e non possono essere strumentalizzate per fini non consentiti dalla norma processuale.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per far valere la prescrizione del reato maturata dopo la sentenza stessa?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un ricorso con questo unico motivo è inammissibile, poiché la prescrizione non rientra tra le ragioni tassativamente previste dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.

Quali sono i motivi per cui si può ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis del codice di procedura penale, il ricorso è limitato a motivi che riguardano l’espressione della volontà dell’imputato (vizi del consenso), l’erronea qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena o di una misura di sicurezza.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità impedisce al giudice di esaminare il merito della questione (come l’eventuale prescrizione) e, in assenza di colpa del ricorrente, comporta la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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