Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8270 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8270 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, legalmente rappresentata da NOMECOGNOME nato ad Atripalda il 22/09/1968, avverso l’ordinanza del 03/06/2024 del Tribunale di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 giugno 2024, il Tribunale del Riesame di Salerno ha rigettato l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Potenza che ha disposto il sequestro preventivo del deposito commerciale di prodotti petroliferi intestato alla RAGIONE_SOCIALE nonché di prodotti petroliferi (5.336,61 litri di gasoli autotrazione, 1.058,59 litri di gasolio agricolo, 325.520,395 litri di oli lubrific 21.000 litri do additivo ADBlue), in relazione al reato di cui agli artt. 81, 110, 48 640, comma 2, cod. pen., 40, comma 1, lett. c), e comma 4, d.lgs. n. 504/1995 in relazione all’art. 49 d.lgs. n. 504/1995, per aver NOME COGNOME all’epoca legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in concorso con soggetti noti e ignoti, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante artifici e raggiri, documentato falsamente l’acquisto, il trasporto e la cessione d prodotto petrolifero agevolato (gasolio agricolo) previa indicazione di dati informativi falsi sulla documentazione semplificata di accompagnamento (DAS) necessaria per la movimentazione di prodotti soggetti ad accisa; in particolare, dopo aver acquisito la materiale disponibilità del prodotto petrolifero, assolvendo l’accisa in misura ridotta presso il deposito di partenza, lo cedevano, anche previa interposizione di imprese cartiere, in quantità superiore a kg 2.000, applicando un ricarico medio di circa 5 millesimi/litro sul prezzo d’acquisto, per essere destinato ad usi soggetti a maggiore imposta, così procurando a sé e ai destinatari finali, ingenti profitti con pari danno per l’Erario in relazione all’evasione dell’accisa I.V.A., derivante dall’agevolazione fiscale indebitamente goduta; nello specifico, NOME COGNOME metteva a disposizione della NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE il gasolio ad accisa ridotta (litri 1.525.000 per un valore di euro 768.600,00, con I.V.A. evasa pari a euro 93.147,00 e con accisa evasa pari a euro 732.000,00) attraverso il deposito della RAGIONE_SOCIALE di cui era il rappresentante legale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e omessa pronunzia in ordine alla sussistenza dei requisiti del sequestro preventivo impeditivo ex art. 44 d.lgs. n. 504/1995, relativamente ai prodotti, alle materie prime e ai mezzi comunque utilizzati per commettere le violazioni di cui agli artt. 40, 41 e 43 d.lgs. 504/1995.
In sintesi, la difesa deduce che, pur non avendo la difesa prospettato alcuna specifica doglianza sulla esistenza dei requisiti che consentono il sequestro preventivo ex art. 44 d.lgs. n. 504/1995, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto pronunciarsi anche sul giudizio formulato dal giudice per le indagini preliminari circa la sequestrabilità di tutti i beni cautelari, ciò richiedendo il controllo valutazione sulla sussistenza del fumus commissi delicti e sul periculum in mora in relazione a tutti i beni vincolati. Né il fatto che le res fossero oggetto di confi obbligatoria avrebbe potuto, in qualche misura esimere il Giudice del riesame da tale giudizio, atteso che i beni oggetto di confisca obbligatoria possono essere sequestrati preventivamente solo ove emerga il pericolo che nelle more del processo essi vengano dispersi.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e/o erronea applicazione della legge in ordine alla sussistenza dei requisiti del sequestro preventivo impeditivo ex art. 44 d.lgs. n. 504/1995, relativamente ai prodotti, alle materie prime e ai mezzi comunque utilizzati per commettere le violazioni di cui agli artt. 40, 41 e 43 d.lgs. n. 504/1995.
Deduce la difesa che il sequestro preventivo, nel sottoporre a cautela reale ex art. 44 d.lgs. n. 504/1995 tutti i beni funzionali alla commissione del delitto ex art. 40 d.lgs. n. 504/1995, ha ricompreso erroneamente ed arbitrariamente anche i prodotti petroliferi (gasolio, olii ed additivi) stipati presso il deposito RAGIONE_SOCIALE, dal momento che detti prodotti non avevano ancora avuto alcun uso illecito, né erano stati utilizzati per commettere reati, così distinguendosi dai prodotti petroliferi delle società acquirenti, stipati dopo l destinazione ad usi non consentiti. In altri termini, sostiene la difesa che l’art. 4 d.lgs. n. 504/1995 si presta ad essere applicata a prodotti petroliferi già destinati ad usi in violazione della disciplina sull’accisa e non a quelli che “potrebbero” diventare oggetto di tale tipo di condotta in frode alla normativa doganale.
2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente deduce insussistenza del requisito del nesso necessario tra res e delitto di contrabbando: mancanza di motivazione; violazione dell’art. 44 d.lgs. n. 504/1995 relativamente ai prodotti e alle materie prime diverse da quelle utilizzate per commettere il reato.
Deduce la difesa che, in tema di contrabbando doganale, la misura di sicurezza della confisca obbligatoria debba essere sempre disposta dal giudice, sempre che non venga escluso il rapporto tra la res ed il fatto di contrabbando. E, nel caso di specie, osserva la difesa che la misura cautelare ha attinto non solo i beni destinati alla commissione dei delitti (gasolio agricolo, cisterne, autocisterna, rimorchio/cisterna), ma anche prodotti come gasolio nazionale e oli lubrificanti che
non hanno avuto, né avrebbero potuto avere alcuna relazione con i fatti di contrabbando ipotizzati, relazione della quale manca peraltro la motivazione.
3. E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME, difensore di fiducia di NOME COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE con la quale si deduce che la requisitoria del Procuratore Generale attesta l’esistenza dei presupposti del fumus e del periculurn in mora con assunto del tutto generico, senza specificare quali assunti motivazionali sarebbero stati utilizzati dal G.I.P. per ritenere la sussistenza dei presupposti impositivi della misura. Aggiunge la difesa che la requisitoria del Procuratore Generale non si confronta con le ulteriori censure del ricorso, non contenendo alcuna argomentazione in ordine alla sequestrabilità dei prodotti petroliferi stipati presso il deposito della RAGIONE_SOCIALE da considerare estranei alla fattispecie di reato contestat richiamando giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’oggetto del sequestro deve essere delimitato alle cose servite ad attuare il mutamento di destinazione del prodotto in tutto o in parte esente dall’accisa, escludendo i beni che non hanno un rapporto qualificato con il reato. Aggiunge ancora la difesa che, essendo ricorrente terzo rispetto al reato, il sequestro impone il preventivo vaglio d proporzionalità e adeguatezza che è invece mancato nel caso concreto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso per sola violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, COGNOME, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 269296; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656). Ed è stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e riter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
Tanto premesso, i motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente perché connessi, sono inammissibili, siccome non prospettati con i motivi di riesame e, quindi, preclusi in sede di legittimità.
Il principio secondo cui non sono proponibili questioni coinvolgenti valutazioni in fatto mai prima sollevate trova applicazione anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del Tribunale del riesame in tema di misura cautelare reale (Sez. 3, n. 24081 del 29/05/2024, Starita; Sez. 5, n. 11099 del 29/01/2015, Rv. 263271, secondo cui non sono deducibili per la prima volta davanti alla Corte di cassazione le questioni giuridiche che presuppongono un’indagine di merito; Sez. 3, n. 35889 del 01/07/2008, Rv. 241271).
Sussiste, infatti, violazione del divieto di “novum” nel giudizio di legittimi quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate ovvero siano dedotti motivi di censura attinenti capi e/o punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di conformità al diritto (Sez. 4, Sentenza n. 7985 del 18/05/1994 Rv. 199216; v. Sez. 3, Sentenza n. 32699 del 27/02/2015 Rv. 264518).
Ed il principio secondo cui non sono proponibili questioni coinvolgenti valutazioni mai prima sollevate trova applicazione, come anticipato, anche nel caso di ricorso avverso ordinanza del Tribunale del riesame in tema di misura cautelare. Tale regola è ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. e trova la sua “rado” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione del provvedimento di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo del giudice dell’impugnazione, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 1, n. 26997 del 31/03/2023, Portale; Sez. 2, n. 33732 del 08/06/2017, Surgo; Sez. 4, Sentenza n. 10611 del 04/12/2012 – dep. 07/03/2013 – Rv. 256631).
Né può sostenersi venire in rilievo, nel caso in esame, la deroga connessa alle questioni «che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello», e che, per questa ragione, sono comunque decidibili dalla Corte di cassazione, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. Dette evenienze sono state ricollegate dalla giurisprudenza di legittimità alle ipotesi nelle quali siano stati enunciati sorpresa argomenti nuovi da parte del giudice dell’impugnazione di merito in funzione risolutiva. In tali casi non si è ritenuto ragionevole pretendere che una parte debba confrontarsi con argomenti non addotti, nemmeno implicitamente,
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nel provvedimento avverso il quale propone una impugnazione di merito, per cui è stato affermato che tali argomenti, per l’assoluta imprevedibilità della loro rilevanza, sono da ritenere, nell’effettività della dinamica processuale, questioni «che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello», e, come tali, decidibili dalla Corte di cassazione, a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
Diversamente nella ipotesi di specie in cui la difesa in sede di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza aveva dedotto, oltre che la violazione della preclusione cautelare derivante dall’annullamento del primo decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. e la violazione del ne bis in idem per una precedente archiviazione disposta nei confronti di NOME COGNOME la assenza di autonoma valutazione, da parte del G.I.P. emittente la misura cautelare e l’assenza di motivazione sul fumus e sul periculum. Nessuna doglianza era stata invece mossa sulla sequestrabilità dei beni cautelati, in particolare sulla sequestrabilità d prodotti petroliferi stoccati presso il deposito della RAGIONE_SOCIALE
Né ancora può sostenersi che il Tribunale del riesame debba farsi carico di affrontare doglianze non prospettate in sede di gravame. La decisione di legittimità richiamata in ricorso (Sez. 3, n. 45234 del 03/07/2014, COGNOME, Rv. 260995) riguardava una vicenda nella quale il Tribunale del riesame aveva annullato un’ordinanza del G.U.P. che non aveva deciso in ordine alla richiesta di revoca del sequestro delle quote sociali della società istante. Era un caso di omessa pronuncia sul petitum, avendo il primo giudice omesso qualsiasi statuizione sul bene della vita rivendicato con la richiesta di restituzione della cosa in sequestro, in cui l Corte di legittimità aveva disposto la trasmissione degli atti al giudice di primo grado affinchè provvedesse su istanza di dissequestro rimasta inevasa. Diversamente dal caso di specie, in cui il Tribunale del riesame ha risposto alle doglianze prospettate nei confronti della decisione cautelare assunta dal Giudice per le indagini preliminari.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità dei ricorsi, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso nella camera di consiglio del 10/12/2024.