Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6477 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6477 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a DOLO il 27/06/1972
avverso la sentenza del 29/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la mancata concessione dei benefici di legge, oltre ad essere privo di specificità, non è consentito in questa sede;
che, invero, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione dei benefici in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (cfr. Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 – 01);
che, nel caso di specie, la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, come si evince dalla lettura del provvedimento impugnato, che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto specificamente contestare nel ricorso, se incompleto o comunque non corretto (si veda pag. 10);
considerato che il secondo motivo, con il quale si deducono vizi motivazionali in relazione al rigetto dell’istanza di rinvio dell’udienza per il legittimo impedimento dell’imputato, è privo dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen.;
che, invero, la mancanza di specificità dei motivi deve essere apprezzata non solo intrinsecamente, ovverosia per la genericità e indeterminatezza delle ragioni di fatto e diritto a sostegno della censura, ma anche estrinsecamente, per l’apparenza degli stessi allorquando, non essendovi correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, omettano di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, nella specie, i giudici del merito hanno vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici (cfr. Sez. 5, n. 15407 del 24/02/2020, COGNOME, Rv. 279088 – 01; Sez. 5, n. 44317 del 21/05/2019, COGNOME, Rv. 277849 – 01), le doglianze difensive dell’appello, meramente riproposte in questa sede (si veda, in particolare, pag. 6);
osservato che anche l’ultimo motivo, con il quale si contesta l’eccessività del trattamento sanzionatorio, non è specifico né consentito in quanto inerente al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione;
che, invero, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena – sia con riguardo alla individuazione della pena base che in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previste per le circostanze e per i reati in continuazione – sfugge al sindacato di legittimità
laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, in particolare, l’onere argomentativo del giudice può ritenersi adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale;
che, nel caso in esame, i giudici del merito hanno correttamente esercitato la discrezionalità attribuita, ampiamente argomentando sul punto (si veda, in particolare, pag. 9);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 21 gennaio 2025.