Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 52147 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 2 Num. 52147 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 12/07/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME N. IL 17/10/1938
avverso la sentenza n. 1923/2016 CORTE APPELLO di CATANIA, del 17/04/2018
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/07/2019 la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GLYPH NOME COGNOME che ha concluso per
Udito, per la parte eixiie, l’Avv
Udii i difcwiAvv.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte di appello di Catania con sentenza del 17/4/2018 ha confermato il giudizio di penale responsabilità espresso dal Tribunale cittadino all’esito di giudizio abbreviato il 27/11/2015 nei confronti di COGNOME NOME in relazione al delitto di cui all’art. 646 cod. pen., aggravato dall’abuso d prestazione d’opera e con la recidiva reiterata e specifica, e con esso la conseguente condanna, con le attenuanti generiche e la diminuente del rito, alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
2. Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorre per cassazione l’imputato, articolando due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione perché la sentenza impugnata, dopo aver riportato integralmente l’imputazione, riferiva di altra condanna per diverso reato. Assume il ricorrente che non si tratterebbe di un mero refuso perché, dopo una premessa generica senza alcun aggancio al caso di specie, nell’occuparsi del secondo motivo di ricorso la sentenza si riferiva forse ancora ad altro caso, laddove assumeva essere stata formulata una censura in ordine all’eccessività della pena ed alla mancato riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti, motivando poi nel senso che, ancorché non se ne sia fatto espresso riferimento nel dispositivo, le attenuanti generiche erano state riconosciute nella massima estensione con giudizio di prevalenza sulle aggravanti: a dire del ricorrente, invece, si era contestato il motivo per il quale l il giudice non era partito dal minimo edittale, così vanificando nei fatti il premi per la scelta del rito. Si assume che, in tal modo, non sarebbe stata data risposta alle censure difensive.
2.2. Con il secondo motivo di impugnazione il COGNOME deduce il vizio di motivazione per non essere stata data risposta alle censure difensive avanzate con il primo motivo di gravame in ordine al rilievo che le quote condominiali non furono intascate dall’amministratore, bensì utilizzate per pagare la piscina e per far fronte ad altri pagamenti urgenti ed improcastinabili; inoltre, si assume che le quote condominiali sarebbero sempre rimaste nella sfera di sorveglianza dei condomini e che il ricorrente avrebbe avuto l’intenzione di restituire le somme con la vendita – poi non riuscita – dell’appartamento della figlia, sicché difetterebbe la volontà appropriativa, circostanza disattesa con l’affermazione che si trattava di mera deduzione difensiva.
3. Entrambi i motivi di ricorso si discostano dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen.
3.1. Il motivo di ricorso, in particolare, è manifestamente infondato, in quanto la sentenza impugnata è evidentemente incorsa in un refuso nell’indicare, nella prima pagina, subito dopo l’esposizione del capo di imputazione, una condanna per reato diverso, ma il resto della motivazione ri riferisce innegabilmente al caso di specie, per gli espliciti riferimenti, soprattut alla pag. 3, alle deduzioni difensive, al condominio “Freccia d’oro”, all’appropriazione della somma corrispondente a quella indicata nel capo di imputazione, ed altro. Quanto al trattamento sanzionatorio, poi, giova ricordare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142), quale non può in alcun modo essere considerata la valutazione compiuta nella pronuncia impugnata che, dopo aver rilevato che le circostanze attenuanti generiche erano state concesse nella massima estensione, a fronte di un reato punito con pena edittale fino a tre anni, ha riconosciuto congrua la pena base di mesi nove di reclusione in considerazione di “tutte le modalità dell’azione” e dell’ intensità dell’elemento soggettivo” del reato, motivazione da ritenersi del tutto priva di vizi logici.
3.2. Il secondo motivo di ricorso, invece, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, laddove questa ha evidenziato che l’assunto del ricorrente secondo cui le quote condominiali sarebbero sempre rimaste nella sfera di sorveglianza dei condomini era una mera deduzione difensiva priva di qualsiasi riscontro in atti e, per contro, lo stes amministratore del condominio aveva di fatto ammesso la condotta appropriativa, raggiungendo anche un accordo finalizzato a frazionare il suo debito in quattro rate, quale promessa, poi non mantenuta, di rimediare alla condotta illecita posta in essere, una volta che questa era stata scoperta. Le censure del ricorrente sul punto, pertanto, debbono considerarsi non specifiche: la mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente
dell’art. 591 comma 1 lett. c) cod. proc. pen, annammissibilità (Sez 29/03/2000, n. 5191, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, R 237596).
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, per il dis dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di un somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si deter equitativamente in euro duemila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa del ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.
Così deciso il 12 luglio 2019
GLYPH