Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5350 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5350 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN NOME COGNOME il 21/03/1994
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe ideducendo due distinti motivi di ricorso: violazione di legge in ordine all’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. eccependo la nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello per l’asserito mancato avviso della facoltà di chiedere la trattazione orale ai sensi dell’art. 23-bis, comma 4, d.l. n. 137/2020; vizio di motivazione in ordine alla doglianza già posta con l’atto di appello con cui la difesa si doleva dell’assenza di un documento attestante l’esatto numero di punti di comparazione tra l’impronta dell’imputato e quella rinvenuta sull’autovettura oggetto di tentato furto. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito; inoltre, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione). Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito hanno correttamente rigettato l’eccezione di nullità avanzata dalla difesa, in quanto non risultava mancante dal decreto di citazione per il giudizio in appello alcuno dei requisiti previsti a pena di nullit dall’art. 601, comma 6, cod. proc. pen.
In particolare, con riferimento all’asserita mancanza nel decreto della facoltà di chiedere la trattazione orale ai sensi dell’art. 23-bis, comma 4, decreto legge n. 137/2020, si ricorda che tale normativa (secondo cui «fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire»; cfr. art. 23-bis, comma 1, cit. – da formularsi per iscritto e da trasmettersi, nel termine perentorio di rito, quando avanzata dall’imputato, «a mezzo del difensore» – cfr. comma 4), non ha previsto che il decreto di citazione per il giudizio di appello contenesse alcun avvertimento all’imputato della celebrazione del giudizio con rito camerale non partecipato, non avendo modificato il testo
dell’art. 601 cod. proc. pen. Per tali ragioni, le modalità della vocatio in iudicium sono rimaste disciplinate dall’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., senza che ciò possa equivalere alla implicita disposizione della trattazione orale e all’esclusione della necessaria richiesta di essa (come invece assunto dalla difesa) e «la mancata indicazione, nel decreto di citazione per il giudizio di appello, della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da COVID-19 di cui all’art. 23-bis d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, non comporta la nullità dell’atto, stante il carattere tassativo di tale patologia processuale» (Sez. 2, n. 23587 del 01/03/2023, Vella, Rv. 284658 – 01).
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha dato atto che, sia dalla relazione tecnica sia dall’esame del teste COGNOME, si evince che l’identità dattiloscopica è stata accertata a seguito della corrispondenza di un numero di punti caratteristici superiore a 16-17, quantità superiore allo standard minimo richiesto. Si veda Sez. 5, n. 54493 del 28/09/2018, Rv. 274167 – 01, secondo cui, il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità e può costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma anche nel caso in cui sia relativo all’impronta di un solo dito, purché evidenzi almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione, in quanto fornisce la certezza che la persona con riguardo alla quale detta verifica è effettuata si è trovata sul luogo in cui è stato commesso il reato; ne consegue che il risultato legittimamente è utilizzato dal giudice ai fini del giudizio di colpevolezza, in assenza di giustificazioni o prova contraria su detta presenza.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 08/01/2025