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Ricorso inammissibile: motivi generici e pena

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un imputato. I motivi, relativi alla mancata traduzione degli atti processuali e alla dosimetria della pena, sono stati giudicati generici e infondati. La Corte ha confermato la decisione impugnata, sottolineando che la conoscenza della lingua italiana era emersa nel merito e che la pena era sorretta da adeguata motivazione, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Genericità Costa Caro

Nel complesso mondo della procedura penale, la presentazione di un ricorso alla Suprema Corte di Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio, un’opportunità cruciale per contestare una condanna. Tuttavia, per essere esaminato nel merito, il ricorso deve rispettare rigidi requisiti di specificità. Un ricorso inammissibile è proprio quello che fallisce in questo intento, venendo rigettato per vizi formali o per la genericità delle sue argomentazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come la vaghezza dei motivi possa portare a una secca dichiarazione di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese.

I Fatti del Caso: La Duplice Contestazione dell’Imputato

Il caso analizzato trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. Il ricorrente basava la sua impugnazione su due principali motivi di doglianza.

In primo luogo, lamentava la violazione del diritto di difesa per la mancata traduzione, in una lingua a lui comprensibile, del decreto di citazione a giudizio e delle sentenze di primo e secondo grado. Tale mancanza, a suo dire, configurava un vizio di motivazione e una violazione di legge.

In secondo luogo, contestava la determinazione della pena (la cosiddetta dosimetria), sostenendo che i giudici non avessero adeguatamente motivato il mantenimento della sanzione nei minimi edittali, in violazione dei parametri stabiliti dall’art. 133 del codice penale.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha esaminato entrambi i motivi, giungendo a una conclusione netta: il ricorso è inammissibile. Vediamo nel dettaglio perché ciascun motivo è stato respinto.

Il Primo Motivo: La Questione della Traduzione degli Atti

La Corte ha qualificato il primo motivo come ‘generico ed estraneo ai motivi di appello’. Questa affermazione è cruciale: significa che la questione non era stata sollevata in modo specifico nel precedente grado di giudizio. Inoltre, i giudici hanno evidenziato come dalla stessa sentenza di primo grado emergesse chiaramente la conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato. Un fatto, questo, mai contestato dal suo difensore di fiducia nelle sedi di merito. Di conseguenza, la doglianza è stata ritenuta non solo tardiva ma anche infondata alla luce degli atti processuali.

Il Secondo Motivo: La Dosimetria della Pena

Anche il secondo motivo, relativo alla quantificazione della pena, è stato rigettato. La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici d’appello fosse ‘sorretta da sufficiente e non illogica motivazione’. In altre parole, la Corte d’Appello aveva fornito una giustificazione adeguata e logica per la pena inflitta, esaminando correttamente le argomentazioni difensive presentate. La Cassazione, non potendo riesaminare il merito della valutazione del giudice inferiore se non in caso di vizi logici evidenti, ha confermato la correttezza della decisione impugnata.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati della procedura penale. Il primo principio è quello della specificità dei motivi di ricorso: non è sufficiente lamentare una generica violazione, ma occorre indicare con precisione il punto della decisione che si contesta e le ragioni giuridiche della contestazione. Nel caso di specie, la questione della lingua era stata sollevata in modo vago e contraddittorio rispetto a quanto emerso nel processo. Il secondo principio riguarda i limiti del giudizio di legittimità della Cassazione. La Suprema Corte non è un terzo grado di merito; non può rivalutare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Poiché la motivazione sulla pena è stata giudicata sufficiente e non illogica, ogni ulteriore discussione è stata preclusa.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un’importante lezione pratica: un ricorso per cassazione deve essere preparato con estrema cura e precisione. La genericità delle censure conduce inevitabilmente a una declaratoria di ricorso inammissibile. Le conseguenze non sono solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico ammontava a tremila euro. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di concentrare le impugnazioni su vizi concreti e ben argomentati, evitando contestazioni esplorative o pretestuose.

Perché il motivo sulla mancata traduzione degli atti è stato respinto?
È stato ritenuto generico, estraneo ai motivi presentati in appello e smentito dal fatto, emerso nella sentenza di primo grado e mai contestato, che l’imputato conosceva la lingua italiana.

Per quale ragione la Corte ha ritenuto corretto il calcolo della pena?
La Corte ha stabilito che la motivazione della sentenza impugnata riguardo alla dosimetria della pena era sufficiente, non illogica e basata su un adeguato esame delle argomentazioni difensive.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La conseguenza principale è che il ricorso viene rigettato senza un esame nel merito. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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