Ricorso inammissibile: quando i motivi generici non bastano
Nel complesso mondo della giustizia penale, presentare un ricorso alla Corte di Cassazione richiede rigore e precisione. Un recente provvedimento ha ribadito un principio fondamentale: un ricorso inammissibile è la conseguenza inevitabile quando i motivi sono espressi in modo generico e non si confrontano criticamente con la decisione impugnata. Questo caso offre uno spaccato interessante su come la Corte valuta non solo la forma del ricorso, ma anche la sostanza delle decisioni sulla pena, specialmente in contesti complessi come la continuazione tra reati.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine da una condanna per ricettazione di particolare tenuità e per una contravvenzione connessa. In primo grado, i due reati erano stati uniti dal vincolo della continuazione, portando a una pena complessiva. La prima Corte d’Appello, però, aveva illegittimamente sciolto tale vincolo, applicando due pene distinte e peggiorando di fatto la situazione dell’imputato, in violazione del divieto di reformatio in peius.
La Corte di Cassazione, in una precedente pronuncia, aveva annullato questa decisione, rinviando il caso a una nuova sezione della Corte d’Appello. Quest’ultima, attenendosi ai principi indicati, ha ricalcolato la pena: ha confermato la sanzione base per la ricettazione e ha applicato un lieve aumento di soli 20 euro di multa per il reato ‘satellite’, risultando in una condanna finale molto più favorevole per l’imputato rispetto a tutte le sentenze precedenti. Nonostante ciò, l’imputato ha presentato un nuovo ricorso in Cassazione, contestando proprio questo calcolo.
La Decisione della Corte e il Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha stroncato le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri principali: la genericità dei motivi e l’infondatezza della censura sulla determinazione della pena.
Secondo i giudici, i motivi del ricorso erano formulati in modo vago, senza entrare nel merito delle argomentazioni logico-giuridiche della Corte d’Appello. Un ricorso efficace deve contenere una critica ragionata e specifica, che consenta alla Corte di Cassazione di comprendere esattamente quali aspetti della sentenza si contestano e perché. In assenza di tale specificità, l’atto diventa uno strumento inidoneo a introdurre un valido giudizio di legittimità.
Le Motivazioni della Corte
Nelle motivazioni, la Corte ha sottolineato come il trattamento sanzionatorio applicato dalla Corte d’Appello di rinvio fosse non solo legittimo, ma anche palesemente più vantaggioso per l’imputato. La pena finale di due mesi e venti giorni di reclusione e 120 euro di multa era più mite sia della condanna di primo grado (quattro mesi di reclusione e 120 euro di multa), sia di quella, poi annullata, del primo giudizio d’appello.
Inoltre, la Corte ha respinto la critica specifica sull’aumento di pena per la continuazione. L’aumento di 20 euro di multa è stato considerato del tutto ragionevole e compatibile con i principi stabiliti, soprattutto se confrontato con la pena originariamente calcolata in primo grado per lo stesso reato (un mese e venti giorni di reclusione). Pertanto, non sussisteva alcuna violazione di legge o vizio di motivazione.
Le Conclusioni
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza un messaggio chiaro: l’accesso alla Corte di Cassazione è riservato a ricorsi che sollevano questioni di diritto precise e ben argomentate. La genericità e la manifesta infondatezza delle doglianze non solo non portano al risultato sperato, ma comportano anche conseguenze economiche significative per il ricorrente.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi sono espressi in modo generico, non si confrontano criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata e, di conseguenza, non permettono al giudice di legittimità di percepire con esattezza l’oggetto delle censure.
Cosa significa il divieto di ‘reformatio in peius’ e come si è applicato in questo caso?
È il principio secondo cui un giudice d’appello non può peggiorare la pena dell’imputato se solo quest’ultimo ha impugnato la sentenza. Nel caso specifico, la prima sentenza d’appello era stata annullata perché, sciogliendo la continuazione tra reati riconosciuta in primo grado, aveva di fatto applicato una pena complessivamente più grave.
Perché la Corte ha ritenuto corretta la pena finale applicata dalla Corte d’Appello?
La Corte ha ritenuto la pena corretta perché l’aumento di 20 euro di multa per il reato satellite era non solo conforme alla legge, ma anche nettamente più favorevole per l’imputato rispetto sia alla pena detentiva inflitta in primo grado per lo stesso reato, sia alla sanzione pecuniaria (800 euro) irrogata nella prima, poi annullata, sentenza d’appello.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7564 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7564 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 25/12/1975
avverso la sentenza del 02/07/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME Christian;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso – con il quale si eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla sentenza di appello che, a seguito di annullamento con rinvio disposto da questa Corte, ha condannato Ndu alla pena di euro venti di multa a titolo di continuazione per la contravvenzione di cui all’art. 4 I.n. 110 del 1975 – deve essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi dedotti sono espressi in modo generico e senza confrontarsi con le argomentazioni dei Giudici di merito, non risultando dunque idonei a introdurre nel giudizio di legittimità una critica ragionata alla motivazione della Corte di appello e non permettendo al Giudice di legittimità di percepire con esattezza l’oggetto delle censure.
Rilevato che la Corte territoriale, preso atto del giudicato parziale relativo alla qualificazione della fattispecie di ricettazione nell’ipotesi di particolare tenuità cui al comma 4 dell’art. 648 cod. pen. e alla determinazione della pena base per essa inflitta (mesi due e giorni venti di reclusione ed euro 100,00 di multa), ha operato per la continuazione con il reato di cui all’art. 4 I.n. 110 del 1975 un aumento di pena, limitato alla sola pecuniaria e pari a venti euro di multa, con pena finale di mesi due e giorni venti di reclusione ed euro 120,00 di multa. Trattamento sanzionatorio che risulta più favorevole sia della condanna in primo grado (mesi quattro di reclusione ed euro 120 di multa) che di quella operata dalla prima sentenza di appello (che, sciolta di ufficio la continuazione tra i due reati, aveva irrogato per la ricettazione la pena di mesi due e giorni venti di reclusione ed euro 100,00 di multa e la pena di 800,00 euro di ammenda per la contravvenzione). Pertanto, non è ravvisabile alcuna violazione della statuizione di annullamento con rinvio, che ha avuto ad oggetto il capo della prima sentenza di appello che aveva, illegittimamente, risolto il vincolo della continuazione riconosciuto in primo grado in assenza di devoluzione sul punto, violando quindi prima ancora che il divieto di reformatio in peius i limiti del principio devolutivo scolpiti al comma 1 dell’art. 597 del codice di rito.
Rilevato, altresì, che priva di fondamento risulta la censura mossa dal ricorrente alla determinazione dell’aumento di pena per la continuazione (che la sentenza di annullamento con rinvio aveva richiesto di individuare “in termini compatibili con la frazione di aumento già presumibilmente calcolata in primo grado per tale reato satellite”): invero, rispetto alla pena a tale titolo determinata dalla sentenza impugnata (20 euro di multa), quella di primo grado aveva irrogato
per la indicata contravvenzione una pena, detentiva, individuabile in mesi uno e giorni venti di reclusione;
Ritenuto dunque che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma giudicata congrua – di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/01/2025