Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21611 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21611 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROCCA PIETORE il 20/09/1964
avverso la sentenza del 10/06/2024 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre tramite il difensore, per quanto si legge nel ricorso «avverso la sentenza della Corte di appello n. 2908-2024 emessa il 30.7.24 dalla Corte di appello di Venezia e depositata il 30 luglio 2024 a mezzo della quale veniva confermata la sentenza n. 149 del 2020 emessa in data 5.2.2020 dal Tribunale di Treviso, depositata il 21 aprile 2020, che riconosceva il sig. COGNOME NOME responsabile dei reati di cui agli artt. 99 e 648 cod. pen. concorso con COGNOME NOME, condannandolo alla pena di mesi 9 di reclusione ed euro 250mila e di multa »;
Considerato che dalla Corte di appello di Venezia è pervenuto il fascicolo in esame con riferimento alle sentenze del Tribunale n. 149/2020 e della Corte di appello n. 2357/2024 e che a seguito di richiesta da parte della funzionaria dell’Ufficio per il processo di questa Corte è st acquisita la sentenza n. 2908/24 (indicata in ricorso), che risulta però relativa al delitto di te furto di tre lattine di birra, e ha visto la condanna in primo grado, confermata in appel dell’imputato alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione ed euro 100,00 di multa;
Rilevato pertanto che l’atto di ricorso in esame risulta correlato – come ritenut correttamente dalla cancelleria della Corte territoriale – alla sentenza n. 2357 del relazione al proc. 1482/2020 RG e alla sentenza del Tribunale n. 149/2020, come risulta indicazione effettuata dal difensore nel deposito a mezzo Portale Deposito atti Penali (P si legge il riferimento al menzionato numero di RG, il che è anche confermato dalla circostanza che l’atto di ricorso si riferisce alla pena comminata dalla sentenza di primo grado di mesi nove di reclusione ed euro 250mila di multa (e non di mesi due e giorni venti di reclusione);
Tanto premesso, considerato che il ricorso formula un unico motivo per la violazione degli artt. 133 e 62
bis cod. pen.; che, quanto alle circostanze attenuanti generiche il ricorrente ne
lamenta l’omessa applicazione e si duole dell’omesso confronto della sentenza impugnata con il comportamento processuale confessorio dell’imputato, con la condizione di indigenza e con
all’assenza di lavoro; rilevato che nel caso in esame l’attuale motivo è preceduto da una generica richiesta formulata nel dispositivo dell’appello con la quale si chiedeva in via subordinat
«concedersi le circostanze attenuanti generiche», senza che alcun motivo sia stato sviluppato sul punto nell’atto di appello medesimo; che la richiesta formulata con tale ultimo atto
impugnazione non si confronta con la circostanza che l’attenuazione ex
art. 62
bis cod. pen. era
già stata riconosciuta fin dal primo grado e, dunque, la richiesta, come anche quella del ricorso in cassazione, doveva essere rivolta a ottenere la prevalenza delle attenuanti e non il
riconoscimento delle stesse;
Considerato che, pertanto, sussistono ragioni di aspecificità sia della richiesta proposta i appello, generica perché non sostenuta da un motivo e non rivolta a ottenere la prevalenza ma
solo la sussistenza delle attenuanti, sia dell’attuale motivo di ricorso, in quanto le impugnazio non si confrontano con l’intervenuto riconoscimento della attenuazione in primo grado. Ne consegue che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giud dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 22/02/2017, COGNOME, Rv. 26882201; vedi anche Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022 Testa, Rv. 283808 – 01; conf. N. 1982 del 1999 Rv. 213230 – 01, N. 10709 del 2015 Rv. 262700 – 01);
Considerato che anche la doglianza relativa alla dosimetria della pena è solo enunciata come violazione dell’art. 133 cod. pen. ma non è argomentata cosicché è assolutamente generico il motivo di ricorso anche sotto tale profilo;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/05/2024