Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44053 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44053 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal COGNOME NOME nato a Palermo il 05/10/1991; nel procedimento a carico della medesima; avverso la ordinanza del 10/06/2024 del tribunale di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Palermo, adito nell’interesse di COGNOME NOME avverso la ordinanza del gip del tribunale di Palermo con cui era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 73 comma 1 del DPR 309/90, rigettava la richiesta di riesame.
Avverso la predetta sentenza, COGNOME AndreaCOGNOME mediante il proprio difensore ha proposto, con tre motivi, ricorso per cassazione.
Deduce con il primo vizi di violazione di legge anche processuale, con riferimento alla deduzione del riesame per cui il riferimento a COGNOME NOME, quale interessato alla procedura e relativa misura piuttosto che a COGNOME NOME, sarebbe solo frutto di errore materiale. Laddove invece emergerebbe in rapporto
all’art. 292 cod. proc. pen. la configurazione di generalità non corrette per l’utile identificazione.
Con il secondo rappresenta vizi di violazione di legge processuale, e di motivazione, per la mancata valutazione delle doglianze difensive e per la loro ritenuta superfluità, e si aggiunge che mancherebbe ogni indizio circa l’attività di cessione di droga ascritta all’indagato, in assenza di sequestro di droga, della rilevanza della presenza dell’indagato presso COGNOME Salvatore, e in assenza di significative conversazioni.
Coin il terzo deduce vizi di violazione di legge anche processuale e di motivazione, in ordine agli artt. 274 lett. c) e 275 cod. proc. pen., con riferimento alla necessità di applicare il braccialetto elettronico ed al divieto di comunicare. Il tribunale neppure avrebbe considerato la circostanza dell’avvenuta restituzione delle somme sequestrate. Si richiama poi il principio della necessaria valutazione del tempo decorso rispetto al fatto e i principi di attento vaglio per la verifica del pericolo attuale e concreto di reiterazione per l’applicazione di misura cautelare. L’assenza di precedenti specifici a carico avrebbe dovuto far escludere altresì la sussistenza di esigenze cautelari. Nulla poi osterebbe alla applicazione degli arresti domiciliari.
Il primo motivo è inammissibile, atteso che a fronte delle argomentate spiegazioni del riesame che illustra le ragioni della sicura identificazione, con l’ordinanza originaria contestata, dell’attuale ricorrente, così superandosi ogni mero e conseguente errore materiale relativo al cognome, oppone una generica contestazione di tale motivazione, senza operare poi alcun puntuale confronto con i plurimi argomenti di cui alla ordinanza, a partire dal dato per cui nello stesso interrogatorio di garanzia era emersa per l’indagato, sottopostosi allo stesso pur solo per avvalersi della facoltà di non rispondere, l’intervenuto mutamento del cognome originario in quello di COGNOME.
Anche il secondo motivo è inammissibile: il tribunale ha condiviso l’ordinanza genetica quanto ai gravi indizi a carico, per l’acquisto di droga da COGNOME NOME NOME, e ha illustrato ampiamente la significatività a tal fine di conversazioni riportate nella ordinanza, di cui ha fornito una più che ragionevole ricostruzione anche corredata da riscontri quanto all’acquisto, con i proventi del traffico di stupefacente, di una vettura, da parte del COGNOME NOME, come citato nei dialoghi. Rispetto a tali argomentazioni si oppongono solo affermazioni generiche di stampo negativo circa la rilevanza dei predetti dati, così sia ricorrendo in una inammissibile rivalutazione dei medesimi sia astenendosi da una puntuale
quanto doverosa critica funzionale a far emergere i difetti dedotti in premessa. Si ribadisce che l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507). Quanto al vizio di manifesta illogicità esso, come quello di mancanza e contraddittorietà della medesima, deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato cli legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). Inoltre, e si tratta di principio anche esso trascurato in questo caso, il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr. tra le altre, Sez. 3, n. 50 del 17/12/2009, COGNOME Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, COGNOME, Rv. 214249). Inoltre i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
GLYPH Inammissibile è anche il terzo motivo. Innanzitutto perché eccentrico rispetto alla ordinanza impugnata che conferma la misura della custodia in carcere mentre il ricorrente si addentra essenzialmente e in primis in riferimenti a profili afferenti gli arresti donniciliari, quali il braccialetto elettronico e il di comunicare, sia rimanendo al riguardo sul piano di affermazioni estremamente
generiche, sia evitando ogni puntuale e specifica critica agli argomenti spesi dai giudici, alle pagine 4 e 5, per sostenere la applicazione della misura custodiale confermata e che vanno dal rinvenimento in casa, al momento della esecuzione della ordinanza applicativa della misura cautelare, di materiale funzionale al confezionamento di droga, alle modalità della condotta siccome indicativa dell’inserimento in un contesto criminale dedito al traffico di droga. Inoltre, richiamati i principi già sopra citati, appaiono di stampo meramente rivalutativo oltre che generico e astratto i riferimenti alla necessaria valutazione del tempo decorso rispetto al fatto, al doveroso e attento vaglio per la verifica del pericolo attuale e concreto di reiterazione e l’applicazione di misura cautelare, alla assenza di precedenti specifici a carico che avrebbe dovuto far escludere altresì la sussistenza di esigenze cautelari come anche la mera asserzione per cui nulla poi osterebbe alla applicazione degli arresti domiciliari.
GLYPH Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter disp. atit. cod. roc. pen.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2024.