Ricorso Inammissibile: Quando l’Appello in Cassazione non Supera il Vaglio
Un ricorso inammissibile rappresenta uno degli esiti più netti e sfavorevoli per chi decide di impugnare una sentenza davanti alla Corte di Cassazione. Questa ordinanza offre un chiaro esempio delle ragioni che possono portare a tale declaratoria e delle conseguenze economiche che ne derivano. Analizziamo il caso di un’imprenditrice condannata per illeciti ambientali il cui tentativo di ribaltare la decisione si è scontrato con i rigidi paletti del giudizio di legittimità.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine da una sentenza di condanna emessa dal Tribunale nei confronti della legale rappresentante di una società, ritenuta responsabile di condotte illecite in materia ambientale. La difesa ha proposto ricorso per Cassazione, articolandolo su quattro distinti motivi: il presunto travisamento dei fatti, la violazione di legge nella determinazione della pena, il vizio di motivazione sul trattamento punitivo e, infine, la richiesta di revoca della confisca disposta sui beni aziendali.
L’Analisi della Cassazione e i Motivi del Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha esaminato ciascun motivo, concludendo per la loro totale inammissibilità. Vediamo nel dettaglio le ragioni di questa decisione, che evidenziano la differenza fondamentale tra il giudizio di merito (primo e secondo grado) e quello di legittimità (Cassazione).
Il Travisamento dei Fatti: un Motivo non Ammesso
Il primo motivo, relativo al travisamento dei fatti, è stato respinto perché, secondo la Corte, non evidenziava un vizio della motivazione desumibile dal testo della sentenza, ma mirava a una riconsiderazione degli elementi di prova e a una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dal giudice di merito. La Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono ri-valutare le prove, ma un organo che controlla la corretta applicazione della legge.
La Valutazione sul Trattamento Punitivo
Anche il secondo e il terzo motivo, riguardanti la pena applicata, sono stati giudicati inammissibili. La Corte ha ritenuto che la valutazione del Tribunale non fosse manifestamente illogica. La pena era stata commisurata tenendo conto della reiterazione delle condotte illecite e dei precedenti penali specifici della ricorrente. Inoltre, era stata correttamente negata la concessione di attenuanti generiche, poiché l’attività illecita era proseguita anche dopo i controlli e non era stato fatto alcun tentativo di sanare le irregolarità autorizzative.
La Questione della Confisca e la Carenza di Interesse
Infine, il motivo sulla revoca della confisca è stato dichiarato inammissibile per “carenza di interesse”. I beni confiscati erano di proprietà della società e non della persona fisica dell’imputata. Di conseguenza, la ricorrente, in qualità di individuo, non aveva la legittimazione a impugnare un provvedimento che colpiva il patrimonio di un soggetto giuridico distinto, sebbene da lei rappresentato.
Le Conseguenze Economiche di un Ricorso Inammissibile
L’esito del processo non si è limitato a confermare la condanna. In applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, la Corte, dichiarando inammissibile il ricorso e non ravvisando una mancanza di colpa in tale proposizione, ha condannato la ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte sono cristalline: il ricorso presentato era palesemente volto a ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda, un compito che esula completamente dalle funzioni della Corte di Cassazione. I giudici hanno sottolineato come i motivi di ricorso debbano denunciare vizi tassativamente indicati dalla legge (art. 606 c.p.p.), come la violazione di norme o il vizio logico della motivazione, e non contestare la ricostruzione dei fatti operata nei gradi precedenti. La decisione del Tribunale sul trattamento punitivo è stata considerata ben argomentata, logica e fondata su elementi concreti come la persistenza dell’illecito e i precedenti penali. L’inammissibilità della questione sulla confisca deriva da un principio procedurale fondamentale: si può impugnare un provvedimento solo se si ha un interesse diretto e personale.
Le conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale per chiunque intenda adire la Suprema Corte: un ricorso inammissibile non è un tentativo privo di conseguenze. Proporre un’impugnazione basata su motivi che non rientrano nelle competenze della Cassazione comporta un’inevitabile condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria. La decisione serve da monito sulla necessità di una valutazione attenta e rigorosa, da parte dei legali, circa la reale sussistenza dei presupposti per un ricorso di legittimità, al fine di evitare ulteriori aggravi economici per i propri assistiti.
Perché il motivo di ricorso basato sul ‘travisamento dei fatti’ è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché non mirava a evidenziare un vizio della motivazione della sentenza, ma a ottenere una nuova ricostruzione dei fatti, attività che non è consentita nel giudizio di legittimità davanti alla Corte di Cassazione, la quale si occupa solo di errori di diritto.
Quali sono le conseguenze economiche dirette di un ricorso dichiarato inammissibile?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro, in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri l’assenza di colpa nel proporre l’impugnazione.
Per quale motivo è stata respinta la richiesta di revoca della confisca?
La richiesta è stata respinta per ‘carenza di interesse’, poiché i beni oggetto di confisca appartenevano alla società, che è un soggetto giuridico distinto, e non alla persona fisica della ricorrente. Pertanto, quest’ultima non aveva la legittimazione a impugnare il provvedimento a titolo personale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25614 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25614 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LAVAGNA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2023 del TRIBUNALE di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME – che deduce il travisamento dei fatti – è inammissibile perché, lungi dall’evidenziare un vizio della motivazione che emerge dal testo della sentenza impugnata, attacca profili ricostruttivi del fatto, il che esula dai motivi tassativamente indicati dall’art. cod. proc. pen.;
considerato che il secondo e il terzo motivo, che deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento punitivo, sono inammissibili, in quanto, con una valutazione di fatto non manifestamente illogica – e quindi non censurabile nel giudizio di legittimità – il tribunale, per un verso, ha fissa la pena base, individuata nella pena pecuniaria, tenendo conto della reiterazione nel tempo delle condotte illecite e, per altro verso, ha escluso i presupposti per concedere il benefici di legge, compresa l’applicazione delle attenuanti generiche, posto che l’attività illecita è stata ritenuta non occasionale ed essendo proseguita anche dopo il sopralluogo effettuato dagli operanti, né l’imputata si è mai attivata per sanare la carenza autorizzativa, e tenendo conto dei precedenti penali, anche specifici in materia ambientale;
rilevato che il quarto motivo, che invoca la revoca della confisca, è inammissibile per carenza di interesse, posto i beni sono di proprietà della società, di cui l’imputata è legale rappresentante;
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2024.