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Ricorso inammissibile: motivi di fatto e condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una condanna per guida in stato di ebbrezza, poiché basato su motivi di fatto non consentiti nel giudizio di legittimità. Il ricorrente contestava la validità del consenso informato per l’accertamento alcolemico, ma la Corte ha ritenuto tale doglianza una rivalutazione dei fatti già decisi nei gradi di merito. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando le Doglianze di Fatto Portano alla Condanna

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: presentare un ricorso inammissibile, basato su contestazioni dei fatti già accertati, non solo è un’azione destinata al fallimento, ma comporta anche significative conseguenze economiche per il ricorrente. Questa decisione chiarisce i limiti del giudizio di legittimità e le responsabilità di chi decide di adire la Suprema Corte.

Il Contesto del Caso Giudiziario

Il caso trae origine da una condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza, aggravata da diverse circostanze, ai sensi dell’art. 186 del Codice della Strada. La Corte di Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, concedendo all’imputato il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale, ma confermando la sua responsabilità penale.

Nonostante ciò, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, contestando un aspetto specifico della vicenda: la validità del “consenso informato” che aveva prestato in ospedale per il prelievo ematico finalizzato all’accertamento del tasso alcolemico. Secondo la difesa, tale consenso non era stato validamente acquisito.

I Motivi del Ricorso Inammissibile in Cassazione

La Suprema Corte ha stroncato sul nascere le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. Il motivo è puramente procedurale ma di importanza cruciale. Il ricorso alla Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. È, invece, un “giudizio di legittimità”, il cui scopo è verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge.

Le contestazioni sollevate dall’imputato erano “doglianze in fatto”, ovvero un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento fattuale già compiuto dalla Corte di Appello. I giudici di merito avevano infatti già esaminato la questione del consenso informato, concludendo che era stato prestato e validamente firmato dall’imputato in ospedale. Tentare di ottenere una nuova valutazione di questo elemento in Cassazione è un’operazione non consentita dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.

Le Conseguenze Economiche della Decisione

La declaratoria di inammissibilità non è priva di conseguenze. L’articolo 616 del codice di procedura penale stabilisce che, in questi casi, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questa vicenda, la Corte ha quantificato tale somma in tremila euro. Questa sanzione ha una duplice funzione: risarcire lo Stato per l’impiego di risorse in un procedimento superfluo e disincentivare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o non consentiti.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando consolidati principi giurisprudenziali, incluse sentenze delle Sezioni Unite. Ha sottolineato che l’atto di impugnazione deve contenere una critica argomentata della decisione contestata, evidenziando specifici errori di diritto e non limitandosi a riproporre le stesse questioni di fatto già respinte nei gradi di merito. Nel caso di specie, il ricorso era generico e non si confrontava criticamente con le ragioni esposte dalla Corte di Appello sulla validità del consenso informato. La Cassazione, quindi, non ha fatto altro che applicare rigorosamente le norme che definiscono i limiti del suo potere di revisione, dichiarando il ricorso inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito importante per tutti gli operatori del diritto. La scelta di impugnare una sentenza in Cassazione deve essere ponderata e basata su vizi di legittimità concreti e specifici. Insistere su questioni di fatto già esaminate e decise non solo non porta a un esito favorevole, ma espone il proprio assistito a una sicura condanna al pagamento di spese e sanzioni pecuniarie. La corretta qualificazione dei motivi di ricorso è, dunque, essenziale per evitare un dispendio inutile di tempo e risorse e per rispettare la funzione nomofilattica della Suprema Corte.

Perché un ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava su “doglianze in fatto”, cioè contestava la ricostruzione degli eventi (nello specifico, la validità del consenso informato per un prelievo), materia che non può essere riesaminata dalla Corte di Cassazione, il cui compito è solo verificare la corretta applicazione della legge.

Quali sono le conseguenze finanziarie di un ricorso inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la persona che ha presentato il ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in 3.000 euro.

È possibile contestare la validità del consenso informato in Cassazione?
Non è possibile se la contestazione richiede un nuovo esame dei fatti. Se i giudici di primo e secondo grado hanno già valutato le prove (come la firma sul modulo) e concluso per la validità del consenso, la Cassazione non può rimettere in discussione tale accertamento fattuale. Si potrebbe contestare solo un errore nell’applicazione della legge sul consenso informato, non la sua effettiva prestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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