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Ricorso inammissibile: motivazione generica della pena

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato contro una condanna per reati di stupefacenti. La ricorrente lamentava una pena superiore al minimo edittale senza un’adeguata giustificazione. La Suprema Corte ha ritenuto il motivo di ricorso vago e non specifico, non costituendo una critica argomentata alla sentenza impugnata. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Critica alla Sentenza è Troppo Generica

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12272/2024, ha ribadito un principio fondamentale in materia processuale: per contestare efficacemente una sentenza, è necessario formulare critiche specifiche e argomentate. Un’impugnazione basata su doglianze vaghe e generiche è destinata a sfociare in una declaratoria di ricorso inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese e di una sanzione. Questo caso offre un chiaro esempio di come la genericità dei motivi di ricorso, specialmente in relazione al trattamento sanzionatorio, non possa superare il vaglio di legittimità.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Rimini e successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Bologna. L’imputata era stata riconosciuta responsabile dei reati di detenzione illecita e cessione di sostanze stupefacenti, qualificati come violazioni dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti (d.P.R. 309/1990). In entrambi i gradi di giudizio, le erano state concesse le attenuanti generiche, ma la pena finale, pur tenendo conto della continuazione tra i reati, era stata fissata in una misura superiore al minimo edittale.

La Decisione della Corte di Cassazione e le Motivazioni del Ricorso Inammissibile

L’imputata, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a un unico motivo: la violazione dell’art. 133 del codice penale e il vizio di motivazione riguardo alla determinazione della pena. Secondo la difesa, la Corte d’Appello aveva errato nel confermare una pena superiore al minimo senza fornire una giustificazione adeguata e specifica.

La Suprema Corte ha respinto categoricamente tale impostazione, dichiarando il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. La decisione si basa su due pilastri argomentativi principali.

L’Onere di una Critica Specifica e Argomentata

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno sottolineato che l’impugnazione presentava deduzioni “vaghe e non specifiche”. Un ricorso in Cassazione non può limitarsi a una lamentela generica, ma deve assolvere alla funzione di una critica argomentata, puntuale e precisa contro la decisione impugnata. Nel caso specifico, la ricorrente non aveva instaurato un reale confronto con le motivazioni della Corte d’Appello, che invece aveva giustificato in modo congruo e logico il lieve scostamento dal minimo della pena.

In sostanza, non è sufficiente affermare che la pena sia “eccessiva” o “ingiustificata”; è onere del ricorrente analizzare la motivazione del giudice di merito e dimostrare, punto per punto, perché essa sia illogica, contraddittoria o carente. Omettendo questo doveroso confronto, il ricorso si svuota della sua funzione critica e diventa inammissibile.

Le Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche della Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità ha comportato due conseguenze dirette per la ricorrente. In primo luogo, la condanna è divenuta definitiva. In secondo luogo, in assenza di una prova di “assenza di colpa” nella determinazione della causa di inammissibilità (secondo i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale), la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Questa ordinanza serve da monito: la redazione di un ricorso per cassazione richiede rigore e precisione. Le censure devono essere mirate e capaci di incrinare la logicità del provvedimento impugnato, altrimenti il rischio concreto è quello di una declaratoria di ricorso inammissibile che, oltre a precludere l’esame nel merito, comporta un ulteriore aggravio economico per l’imputato.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso viene dichiarato inammissibile quando prospetta deduzioni vaghe e non specifiche, che non assolvono alla funzione di una critica argomentata e puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione.

È sufficiente lamentare una pena superiore al minimo legale per ottenere una revisione della sentenza?
No, non è sufficiente. L’ordinanza chiarisce che il ricorso deve confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata, dimostrando perché la giustificazione fornita dal giudice per lo scostamento dal minimo edittale sia illogica o incongruente. Una lamentela generica non è ammissibile.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri un’assenza di colpa nella causazione dell’inammissibilità stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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