Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36421 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36421 Anno 2025
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso l ‘ordinanza del 13/06/2025 del TRIBUNALE di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica dell’AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso, con annullamento dell’ordinanza; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5, e 611, comma 1 bis , e segg. cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame presentata dall’imputato avverso l’ordinanza 20 maggio 2025 con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli aveva applicato nei confronti di COGNOME la misura cautelare della custodia cautelare in carcere in relazione a reati di usura ed estorsioni aggravate.
Il ricorso dell’indagato formula tre motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione di legge (art. 606, lett. b, in relazione agli artt. 291, comma 1 quater e 274, lett. a e b, cod. proc. pen.) per omesso espletamento dell’interrogatorio preventivo di garanzia, nonché carenza assoluta di motivazione (art. 606, lett. e, cod. proc. pen.) sul punto.
Il provvedimento impugnato non ha affrontato il tema, puntualmente sollevato con l ‘ istanza di riesame (pg. 5 – 8), dell’omesso espletamento dell’interrogatorio di garanzia preventivo. Il ricorrente aveva segnalato l’impossibilità di riconoscere nel caso concreto alcuna delle ipotesi di esclusione dell’ambito applicativo dell’istituto in ragione della (i) mancata deduzione del pericolo di fuga e della (ii) omessa indicazione di eventuali ‘ specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini in relazione a situazioni ‘ c oncrete, da indicarsi nel provvedimento a pena di nullità. Su tali aspetti, l’ordinanza è silente.
2.2 Con il secondo motivo si lamenta la violazione di legge (art. 606, lett. b, in relazione a ll’ art. 274, lett. a e c, cod. proc. pen.) mancanza di concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, nonché carenza di motivazione (art. 606, lett. e, cod. proc. pen.) sul punto.
L’ordinanza applicativa della misura non ha risposto al tema dedotto nell’istanza di riesame (pg. 8 -11) della carenza di attualità delle esigenze cautelari ipotizzate atteso (i) lo iato temporale di un anno e mezzo intercorrente tra l’ultimo contatto dell’indagato con la persona offesa e la applicazione della misura cautelare, nonché (ii) il completamento dell’attività investigativa con conseguente superamento di ogni pericolo di inquinamento probatorio.
2.3 Il terzo motivo, infine, è incentrato sulla carenza di motivazione (art. 606, lett. e, cod. proc. pen .) perché l’ordinanza non si è confrontata con le censure formulate in relazione alla credibilità della persona offesa.
Pur presentando una elaborata esposizione degli elementi indiziari a ‘ carico ‘ dell’indagato, l’ordinanza non si confronta con le critiche dell’istanza di riesame (pg. 12 e seg.) in ordine alla attendibilità intrinseca del narrante, periclitante per le omissioni, negazioni e dilazioni nel riferire, ed eventualmente ammettere, circostanze rilevanti che avrebbero potuto vulnerare la credibilità del propalante o dare alla vicenda una diversa chiave di interpretazione giuridica.
Con memoria inviata per mail, la difesa dell’imputato ha insistito nelle argomentazioni e nelle conclusioni già formulate con il ricorso introduttivo, in particolare evidenziando che la istanza di giudizio immediato rivela il deperimento, se non l’originaria assenza, di esigenze cautelari attinenti a necessità di protezione delle prove.
Il Sostituto Procuratore generale ha inviato memoria con cui ha contraddetto i motivi di ricorso, chiedendone conseguentemente il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi addotti, nonché per genericità degli stessi, determinata dal fatto che essi costituiscono la pedissequa ripetizione delle doglianze già formulate con l’istanza di riesame, avendo trovato adeguata risposta da parte del Tribunale.
Quanto al dedotto mancato espletamento del preliminare interrogatorio di garanzia, è sufficiente rilevare che le contestazioni riguardano delitti aggravati ex art. 416 bis 1 cod. pen.. In tali ipotesi non è necessario l’incombente preventivo ex art. 291, comma 1 -quater e 407, comma 2, numero 3, cod. proc. pen. qualora sussista l’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lett. c) cod. proc. pen., come ritenuto nel caso di specie anche dal Tribunale con motivazione che – come si dirà – risulta incensurabile.
Il punto è menzionato, seppure con l’evidente omissione di una clausola di negazione, nel terzo paragrafo di pg. 23 del provvedimento impugnato.
Il secondo motivo, attinente alla permanenza delle esigenze cautelari, è manifestamente infondato e comunque formulato in maniera non consona ad un giudizio di cassazione, e quindi non consentito.
Infatti, dati i limiti connessi al giudizio sulla motivazione dei provvedimenti giudiziali da parte di questa Corte (ammesso solo in caso di assenza, di contraddittorietà motivazionale o di manifesta illogicità), esso avrebbe dovuto enucleare ed enunciare il vizio motivazionale lamentato, con riferimento ad una delle categorie ammesse per il giudizio di Cassazione (art. 606, lett. e, cod. proc. pen.).
Di tale operazione preliminare non vi è traccia, a conferma di un motivo formulato senza una chiara comprensione delle caratteristiche del giudizio di legittimità. Nella rubrica del motivo, in relazione alle esigenze cautelari, si parla (oltre che di erronea applicazione della legge penale, citando l’art. 606, lett. b, in relazione all’art. 274, lett. a e c, cod. proc. pen. aspetto su cui si tornerà in breve) di motivazione carente: si tratta di una categoria concettuale estranea al giudizio di legittimità, perché afferente al merito, non ad uno di quegli standard (mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità) che, anche in relazione alla motivazione dei provvedimenti cautelari, sono idonei a ‘spostare’ il giudizio dal
fatto, cioè dal merito, alla legittimità, perché ‘aggrediscono’ non ‘l’intrinseco’ della decisione (cioè il nucleo discrezionale della stessa, non sindacabile da un terzo grado di giudizio) ma la sua manifestazione esteriore, cioè il risultato del discorso giustificativo effettuato dal giudice, che, per dar conto razionale del proprio percorso decisionale, deve esprimersi con coerenza e (sufficiente) logica. Categorie come l’insufficienza mo tivazionale (adombrata nel motivo) o la valutazione della forza per suasiva dell’argomentazione, poiché attengono al merito, non interessano in questa sede, in assenza di una ficcante critica alla tenuta logica del provvedimento.
Ebbene, nel caso concreto, la Corte ha affrontato il tema delle esigenze cautelari e della loro attualità alla pg. 22 dell’ordinanza, ove vengono evidenziate concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione di simili condotte, in ragione della gravità delle minacce e della complessiva sua condotta allusiva all’appartenenza a gruppi malavitosi organizzati (circostanza ‘spesa’ già in occasione della commissione del reato, tanto da guadagnargli la contestazione dell’aggravante) ed alla ingente disponibilità di denaro per cui non è tracciabile origine diversa da quella illecita. Non vi è traccia di illogicità in tale giustificazione, che dall’esperienza pregressa trae argomento per fondare l’attualità del periculum , alla luce della regola d’esperienza per cui l’appartenenza al gruppo criminale organizzato rappresenta una causa di pericolo ‘endemico’, permanente e perdurante che il passaggio di un ‘tempo silente’ non è sufficiente a dissipare.
Quanto alla deduzione della violazione di legge, nei termini sopra riportati, essa è duplicemente errata.
Ad un primo livello, che si potrebbe dire concettuale, poiché essa solo strumentalmente viene indicata, laddove ci si duole, invece, (come dimostrato dal prosieguo della rubrica e dall’intero argomentare del motivo) di una motivazione che non soddisfa.
Ed in secondo luogo, perché non è consentita in giurisprudenza la deduzione di una violazione di legge per innervare un motivo attinente alla motivazione, né deducendo (come nel presente caso) la violazione di legge penale (lett. b dell’art. 606, cod. proc. pen.) né lamentando la violazione di una norma procedurale (lett. c della medesima disposizione).
Infatti, in relazione al primo profilo, è utile ribadire che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricorso deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano
idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla alla previsione di legge (Sez. 2, n. 11283 del 03/02/2023 Gallone Rv. 284600 -01). Se, come nel presente caso, non viene contestato il primo aspetto, la critica alla motivazione (nei termini indicati dall’art. 606, lett. e, cod. proc. pen., e non certo a ‘forma libera’, come nel caso concreto) cioè al riflesso concreto della decisione , è l’unica strada percorribile in Cassazione.
In relazione poi alla violazione di legge processuale, utilizzata per ‘scardinare’ una motivazione (aspetto menzionato per completezza pur non essendo questo il caso), sia sufficiente in questa sede ricordare che i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, poiché ciò stravolgerebbe l’assetto normativo delle modalità di deduzione dei predetti vizi, che limita la deduzione ai vizi risultanti “dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, laddove, ove se fossero deducibili quali vizi processuali ai sensi della lettera c), in relazione ad essi questa Corte di legittimità sarebbe gravata da un onere non selettivo di accesso agli atti (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 -04).
Non consentito e, comunque, manifestamente infondato, è anche l’ultimo motivo di ricorso che denuncia, nuovamente, il vizio -buono per un giudizio di appello, ma non per la legittimità -di carenza motivazionale.
Lamentando il carente vaglio delle censure alla motivazione ed in particolare alla credibilità della persona offesa, la difesa contesta la possibilità di enucleare, dagli indizi acquisiti, gli elementi di fatto a sostegno -in relazione alla tipica fase cautelare – della tesi accusatoria, operazione prettamente riservata al giudice di merito, cioè l’approdo decisionale cui sono pervenuti i giudici di merito, sottoponendo alla Corte di legittimità una serie di argomentazioni che si risolvono nella formulazione di una diversa ed alternativa ricostruzione ovvero nella proposizione di diverse e rinnovate chiavi di lettura del compendio probatorio. Tutto questo, tuttavia, è merito, come si è già detto e come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità ( ex multis , Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 -01), ed alla Cassazione non può e non deve interessare.
Della congruenza delle dichiarazioni della persona offesa e della ‘tenuta’ complessiva delle stesse, l’ordinanza impugnata si occupa a partire da pg. 10, evidenziando, oltre alle modalità ed alla tempistica stesse delle propalazioni, quali
indici della loro credibilità, altresì i numerosi riscontri intercettivi e documentali che ‘suffragano pienamente le dichiarazioni … in merito alla richiesta … di soldi’ (pg. 12) e che non si conciliano in alcun modo con le giustificazioni addotte dalla difesa e dall’indagato in sede di interrogatorio. A ciò si aggiungono le pagine successive della motivazione, caratterizzate da una attenta analisi degli elementi indiziari ulteriori, a composizione di un mosaico completo e nitido della vicenda dedotta, che si sottrae ad ogni possibile critica di legittimità.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Alla mancata liberazione del ricorrente a seguito della decisione consegue altresì la trasmissione di copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario di custodia del ricorrente per l’inserimento nella cartella personale del detenuto ex art. 94 commi 1 bis e 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 10 ottobre 2025
Il Consigliere relatore Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME COGNOME