Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32740 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32740 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione degli artt. 192, 533 e 606 lett. e) cod. proc. pen. Oer manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato e travisamento della prova con riferimento al reato contestato di cui al capo a), violazione degli artt. 99 e 133 c.p. e 192, 533 e 606 lett. e) cod. proc. pen. per illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in relazione all’integrazione della contestata recidiva e conseguente eccessività della pane nonché violazione degli artt. 61 n. 5, 133 cod. pen. e 192, 533 e 606 lett. e) cod. proc. pen. per illogicità e carenza della motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla errata circostanza aggravante applicata ed eccessività della pena.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Quanto alla denunzia di violazione dell’art 192 cod. proc. pen. va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, la mancata osservanza di una norma processuale ha rilevanza solo in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutiliziabilità, inammissibilità.
Le Sezioni Unite hanno recentemente chiarito che in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04 che a pag. 29 richiama Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998, dep. 1999, Condello, Rv. 212248; Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, COGNOME, Rv. 254274; Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277518; vedasi anche Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 278196; Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, COGNOME, Rv. 195306).
Condivisibilmente, per Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, COGNOME Rv. 280027 (pag. 29) « la specificità del motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), dettato in tema di ricorso per cassazione al fine di definirne l’ammissibilità per ragioni
connesse alla motivazione, esclude che l’ambito della predetta disposizione possa essere dilatato per effetto delle citate regole processuali concernenti la motivazione, utilizzando la “violazione di legge” di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), e ciò sia perché la deducibilità per cassazione è ammissibile solo per la violazione di norme processuali “stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza”, sia perché la puntuale indicazione di cui alla lettera e) ricollega a tale limite ogni vizio motivazionale. D’altro canto, la riconduzione dei vizi di motivazione alla categoria di cui alla lettera c) stravolgerebbe l’assetto normativo delle modalità di deduzione dei predetti vizi, che limita la deduzione ai vizi risultanti “dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” , laddove, ove se fossero deducibili quali vizi processuali ai sensi della lettera c), in relazione ad essi questa Corte di legittimità sarebbe gravata da un onere non selettivo di accesso agli atti. Queste Sezioni Unite (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092) hanno, infatti, da tempo chiarito che, nei casi in cui sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., un error in procedendo, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può procedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, al contrario, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e) del citato articolo (oltre che dal normativamente sopravvenuto riferimento ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame), quando risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione».
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata. E, quanto al secondo e al terzo, afferiscono al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
3.1. Quanto al primo motivo, i giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed
in particolare hanno ricordato che i due imputati sono stati riconosciuti senza ombra di dubbio da una collaboratrice della gioielleria in cui alle ore 18 dello stesso 4 dicembre 2008 e stato effettuato un acquisto con una delle carte di credito rubate quello stesso pomeriggio, il riconoscimento e avvenuto previa esibizione di due album fotografici contenenti ciascuno nove foto di soggett8i di sesso maschile e femminile e i due imputati sono stati riconosciuti come gli autori dell’acquisto con assoluta certezza.
Analogo riconoscimento, questa volta della sola COGNOME NOME, e stato effettuato anche dalla titolare di un alto negozio di ottica, in cui alle ore 18,30 del 4 dicembre 2008 era stato effettuato altro acquisto con la medesima carta di credito rubata alla persona offesa.
Nessuna ricostruzione sommaria dei fatti – si legge in sentenza – è stata peraltro effettuata in dibattimento, ove sono stati escussi sia i testimoni oculari degli acquisti effettuati sia il personale di p.g. operante, che ha anche effettuato l’acquisizione delle immagini dei sistemi di videosorveglianza presenti nei pressi dei van negozi in cui gli acquisti sono stato effettuati.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente motivazione il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
3.2. Meramente ripropositivo è il secondo motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, che ha ritenuto sussistente la contestata recidiva nei confronti di NOME COGNOME, il quale vanta innumerevoli precedenti penali, anche specifici, ed è stato già sottoposto alla sorveglianza speciale di PS (che ha anche violato riportando condanna definitiva), per, come emerge dal casellario giudiziale in atti.
Ciò perché una valutazione congiunta e complessiva dei fatti oggetto del presente procedimento e di quelli oggetto delle sentenze di condanna definitive impone un giudizio di pericolosità qualificata in atti dell’imputato, denotando una personalità altamente allarmante ed incline a delinquere.
I giudici del gravame del merito hanno, dunque, operato una concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del reo, di talché la sentenza impugnata non presenta i denunciati profili di censura.
Va ricordato, infatti, che secondo il dictum di questa Corte di legittimità, l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, su cui incombe solo l’onere di fornire adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova
condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo che giustifichi l’aumento di pena (Cfr. Corte Cost. sent. n. 185 del 2015 nonché, ex plurimis, sez. 2, n. 50146 del 12/11/2015, caruso ed altro, Rv. 265684).
La Corte territoriale, adempiendo al suo onere di motivazione, ha anche dato atto che la pena inflitta a NOME COGNOME deve ritenersi congrua, tenuto conto di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., e, in particolare, delle gravi modalità fatti, denotanti una professionalità nell’agire delittuoso ed una notevole intensità del dolo
3.3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso, laddove la Corte territoriale ha logicamente già confutato il secondo motivo di gravame nel merito con cui si chiedeva l’esclusione delle contestate aggravanti della violenza sulle cose e di aver profittato delle circostanze di tempo e di luogo in quanto, per un verso, non sarebbe emerso alcun danno dell’armadietto ove erano riposti i beni oggetto di furto e, per altro verso, non sarebbero state neppure accertate le circostanze di tempo, luogo e persona volte a dimostrare la particolare vulnerabilità della situazione del soggetto passivo.
Come si rileva nella sentenza impugnata, l’armadietto della persona offesa era chiuso a chiave ed è stato forzato e il furto è stato commesso, tra le 14,30 e le 18 del 4 dicembre 2008, mentre la persona offesa, medico dell’ospedale di Giarre, era impegnato nel suo turno di lavoro in sala operatoria a causa di un’emergenza. Il fatto è stato quindi commesso su cose presenti all’interno di un edificio pubblico (ospedale di Giarre) e mentre la persona offesa si trovava in sala operatoria ad operare in una situazione di emergenza ed il reparto era sguarnito di personale di guardia perché chiuso al pubblico.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Se.z U. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2025