Ricorso Inammissibile: la Cassazione e la Minaccia a Pubblico Ufficiale
Quando si impugna una sentenza, specialmente davanti alla Corte di Cassazione, non basta semplicemente dissentire dalla decisione. È fondamentale presentare motivi di ricorso chiari, specifici e giuridicamente pertinenti. Un caso recente, definito con l’ordinanza n. 37274/2024, ci offre un chiaro esempio di come la genericità delle argomentazioni porti a una declaratoria di ricorso inammissibile, confermando la condanna per minaccia a pubblico ufficiale. Analizziamo insieme questa decisione.
I Fatti del Processo
Il procedimento trae origine da una condanna per il reato previsto dall’articolo 336 del codice penale, ovvero violenza o minaccia a un pubblico ufficiale. Un cittadino era stato ritenuto colpevole sia in primo grado sia in appello per aver pronunciato una frase minacciosa nei confronti di un pubblico ufficiale.
La difesa dell’imputato, non condividendo la valutazione dei giudici di merito sul significato e sulla rilevanza penale della frase incriminata, decideva di presentare ricorso per cassazione, contestando la ritenuta responsabilità penale del proprio assistito.
Il Ricorso Inammissibile Secondo la Cassazione
La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputato, ma si ferma a un livello precedente: l’analisi dei requisiti formali e sostanziali del ricorso stesso.
I giudici hanno stabilito che i motivi addotti dalla difesa non erano ammissibili in sede di legittimità. Le argomentazioni presentate erano state definite “aspecifiche” e “manifestamente infondate”. In pratica, il ricorso si limitava a riproporre le stesse censure già sollevate e respinte dalla Corte d’Appello, senza individuare vizi logici o giuridici specifici nel ragionamento della sentenza impugnata.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha evidenziato come i giudici di merito (sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello) avessero già ampiamente e correttamente analizzato tutti gli aspetti della vicenda. In particolare, la sentenza di appello aveva vagliato e disatteso con argomenti corretti i profili di censura sollevati dalla difesa.
La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti come un terzo grado di giudizio, ma di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione delle sentenze precedenti. Poiché il ricorso non faceva altro che riproporre una diversa interpretazione dei fatti, già valutata e motivatamente esclusa, è stato ritenuto inidoneo a superare il vaglio di ammissibilità.
Di conseguenza, al rigetto del ricorso è seguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione prevista proprio per i casi di ricorsi inammissibili.
Conclusioni
Questa ordinanza sottolinea un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione deve basarsi su critiche precise e puntuali alla sentenza impugnata, evidenziando errori di diritto o vizi logici manifesti. Non può essere una semplice riproposizione delle stesse argomentazioni già discusse e respinte nei gradi di merito. La decisione serve da monito sull’importanza di redigere atti di impugnazione tecnicamente validi, pena la dichiarazione di inammissibilità e l’imposizione di ulteriori sanzioni economiche, con la conseguente cristallizzazione della condanna.
Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano considerati dalla Corte ‘aspecifiche’ e ‘manifestamente infondate’. In sostanza, il ricorrente si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza sollevare valide questioni di legittimità.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non esamina il caso nel merito. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una sanzione di 3.000 euro.
Qual era il reato contestato nel caso di specie?
All’imputato era stato contestato il reato previsto dall’art. 336 del codice penale, che punisce chi usa violenza o minaccia per costringere un pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri o a omettere un atto del suo ufficio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37274 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37274 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ACIREALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
n
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da doglianze aspecifiche e manifestamente infondate rispetto al ragionamento giustificativo dei giudici del merito, che dimostra come siano stati vagliati e complessivamente disattesi con corretti argomenti i profili di censura sollevati con il gravame (si veda pag. 2 della sentenza impugnata sulla ritenuta responsabilità per il contestato reato ex art. 336 cod. pen. ed in particolare sulla frase minacciosa pronunciata dall’imputato; quanto al significato e rilevanza della frase riportata a pag. 3 del ricorso, si veda come già in primo grado – pag. 2 della sentenza di primo grado – la stessa sia stata analizzata e valutata in chiave accusatoria, valutazione alla quale la Corte di appello ha fatto rinvio);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/07/2024.