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Ricorso inammissibile: minaccia a pubblico ufficiale

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per minaccia e porto d’armi abusivo contro un pubblico ufficiale. Il ricorso è stato respinto perché basato su una mera rivalutazione dei fatti e sulla riproposizione di censure già esaminate e rigettate in appello, confermando così la condanna.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione non Riesamina i Fatti

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. Quando un ricorso si limita a riproporre le stesse questioni di fatto già valutate nei gradi precedenti, il suo destino è segnato. In questo articolo, analizzeremo un caso emblematico di ricorso inammissibile, che ha visto la conferma di una condanna per minaccia aggravata nei confronti di un pubblico ufficiale.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo grado e in appello per i reati di minaccia (art. 612 c.p.) e porto abusivo di armi (art. 697 c.p.). I reati erano stati unificati nel regime della continuazione e aggravati dal fatto di essere stati commessi ai danni di un pubblico ufficiale. La condanna, confermata dalla Corte d’Appello di Palermo anche ai fini civili, si basava sull’invio di una missiva minatoria accompagnata da un proiettile.

L’imputato, non rassegnandosi alla decisione, proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Corte

Il ricorrente contestava la sentenza d’appello su due fronti:

1. Vizio di motivazione sulla responsabilità penale: Sosteneva una mancata riconducibilità della lettera e del proiettile alla sua persona.
2. Vizio di motivazione sulla qualificazione del reato: Affermava che il reato di minaccia avrebbe dovuto essere qualificato come tentato e non consumato.

La Suprema Corte ha esaminato entrambi i motivi, giungendo a una conclusione netta: il ricorso è inammissibile.

Il Ricorso Inammissibile per la Rivalutazione dei Fatti

Con riferimento al primo motivo, i Giudici hanno sottolineato come le argomentazioni dell’imputato costituissero “mere doglianze in punto di fatto”. In altre parole, il ricorrente non stava denunciando un errore di diritto commesso dalla Corte d’Appello, ma stava chiedendo alla Cassazione di effettuare una nuova valutazione delle prove, un’operazione che è preclusa al giudice di legittimità.

Inoltre, la Corte ha rilevato che tali censure erano una mera riproduzione di questioni già adeguatamente esaminate e respinte con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, senza che il ricorrente muovesse una critica specifica e puntuale alla motivazione della sentenza impugnata.

La Ripetitività dei Motivi e la Consumazione del Reato

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha constatato che si trattava, ancora una volta, della riproposizione di argomenti già vagliati e disattesi. La Corte ha colto l’occasione per chiarire un punto di diritto cruciale: il reato di minaccia si considera consumato nel momento in cui la persona offesa riceve il messaggio intimidatorio. Poiché nel caso di specie la vittima aveva ricevuto la missiva, non vi era alcun dubbio sulla consumazione del reato, rendendo infondata la richiesta di qualificarlo come mero tentativo.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione netta tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio dove si rivalutano le prove e la ricostruzione dei fatti. L’imputato, attraverso i suoi motivi, cercava proprio questo: una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie. La Corte ha evidenziato che i profili di censura erano stati già esaminati e motivatamente respinti in appello. La mancanza di una critica specifica alle argomentazioni della sentenza impugnata rende il ricorso generico e, pertanto, inammissibile.

La decisione sulla consumazione del reato di minaccia è altrettanto chiara: la ricezione della missiva da parte del destinatario è l’elemento che perfeziona il reato, facendo passare l’azione dalla fase del tentativo a quella della consumazione. Qualsiasi argomentazione contraria, in questo contesto, era destinata a fallire.

Conclusioni: L’Insegnamento della Corte

Questa ordinanza offre un importante monito per chi intende adire la Corte di Cassazione. Un ricorso inammissibile non solo non porta alla riforma della sentenza, ma comporta anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro in favore della Cassa delle ammende). Per avere successo in sede di legittimità, è indispensabile formulare censure che attengano a vizi di legge o a difetti di motivazione manifesti e decisivi, evitando di riproporre questioni fattuali già decise nei gradi di merito.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Perché si basava su una richiesta di rivalutazione dei fatti, non consentita in Cassazione, e sulla riproposizione di motivi già esaminati e correttamente respinti dalla Corte d’Appello, senza una critica specifica alla motivazione di quest’ultima.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come la paternità di una lettera?
No. In base a questa ordinanza, la Corte di Cassazione si occupa solo della corretta applicazione della legge (questioni di diritto) e non può riesaminare le prove o ricostruire i fatti (questioni di merito), compiti che spettano esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.

Quando si considera consumato il reato di minaccia?
Il provvedimento chiarisce che il reato di minaccia si considera consumato, e non solo tentato, nel momento in cui la persona offesa riceve effettivamente il messaggio minatorio. Nel caso specifico, la ricezione della missiva ha perfezionato il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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