Ricorso inammissibile: i rischi di impugnare sentenze del Giudice di Pace
Un ricorso inammissibile può avere conseguenze significative, non solo sull’esito della causa, ma anche economiche per chi lo propone. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione illumina i rigidi limiti procedurali per impugnare le sentenze relative a reati di competenza del Giudice di Pace, ribadendo un principio fondamentale: non tutti i motivi di doglianza sono ammessi in ogni contesto.
Il caso analizzato riguarda l’appello di una parte civile contro l’assoluzione di un imputato dal reato di minaccia. La Corte Suprema ha chiuso la porta a ogni discussione nel merito, dichiarando l’impugnazione inammissibile e condannando la ricorrente a pagare una somma alla Cassa delle ammende.
Il caso: dall’assoluzione al ricorso per cassazione
La vicenda processuale ha origine da un’imputazione per minaccia (art. 612 c.p.). In appello, il Tribunale aveva ribaltato la decisione di primo grado, assolvendo l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Contro questa sentenza, la parte civile, ritenendosi danneggiata, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione. Il suo ricorso si basava su un unico motivo: un presunto vizio di motivazione. Secondo la ricorrente, il giudice d’appello non avrebbe ricostruito i fatti in modo corretto e approfondito, giungendo a una conclusione errata.
I motivi del ricorso inammissibile: una questione procedurale
La Corte di Cassazione non è entrata nel vivo della questione, ovvero se la minaccia ci fosse stata o meno. La sua attenzione si è concentrata su un aspetto puramente procedurale. Il reato di minaccia semplice rientra nella competenza del Giudice di Pace. La legge (in particolare l’art. 39-bis del D.Lgs. 274/2000) stabilisce regole speciali per i ricorsi contro le sentenze emesse in questi procedimenti.
In questi casi, il ricorso in Cassazione è consentito solo per motivi specifici, elencati nell’art. 606, comma 1, lettere a), b) e c) del codice di procedura penale. Questi motivi riguardano errori di diritto, come la violazione di legge o la competenza. È escluso, invece, il cosiddetto “vizio di motivazione” (previsto dalla lettera e) dello stesso articolo), che era proprio il fondamento dell’impugnazione della parte civile.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha spiegato che la scelta del legislatore di limitare i motivi di ricorso per le sentenze del Giudice di Pace risponde a un’esigenza di efficienza e rapidità per i reati minori. Contestare la logicità o la completezza della motivazione non è un’opzione percorribile in questo ambito.
Poiché il ricorso si basava su un motivo non consentito dalla legge, è stato dichiarato ricorso inammissibile senza alcuna valutazione nel merito. La Corte ha inoltre sottolineato che questa inammissibilità era “evidente”, il che denota una colpa da parte della ricorrente nel presentare un’impugnazione priva dei presupposti legali.
Questa valutazione di colpa ha portato all’applicazione dell’art. 616 c.p.p., che prevede non solo la condanna al pagamento delle spese processuali, ma anche il versamento di una somma alla Cassa delle ammende, in questo caso quantificata in tremila euro.
Conclusioni: cosa insegna questa ordinanza
Questa decisione offre un importante monito: prima di impugnare una sentenza, è cruciale verificare attentamente i presupposti e i limiti procedurali specifici per quel tipo di procedimento. Per i reati di competenza del Giudice di Pace, le possibilità di ricorso in Cassazione sono notevolmente ristrette. Insistere su motivi non ammessi dalla legge non solo è inutile ai fini del giudizio, ma espone anche a sanzioni economiche. La conoscenza delle regole processuali si conferma, ancora una volta, un elemento imprescindibile per tutelare efficacemente i propri diritti.
È sempre possibile contestare la motivazione di una sentenza d’appello in Cassazione?
No. Come chiarito dall’ordinanza, per i reati di competenza del Giudice di Pace, il ricorso in Cassazione non può essere basato su un “vizio di motivazione”, ma solo su specifici errori di diritto previsti dalla legge.
Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile alla Corte di Cassazione?
La Corte dichiara l’inammissibilità e, come in questo caso, può condannare chi ha proposto il ricorso (il ricorrente) al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Perché la parte civile è stata condannata a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
Perché la Corte ha ravvisato una colpa nel proporre l’impugnazione, dato che la sua inammissibilità era evidente sulla base delle norme procedurali che limitano i motivi di ricorso per le sentenze emesse nei procedimenti di competenza del Giudice di Pace.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2174 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2174 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile COGNOME NOME nato a GIRIFALCO il 23/12/1968 nel procedimento a carico di:
COGNOME nato a COGNOME il 08/06/1972
avverso la sentenza del 26/10/2023 del TRIBUNALE di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che la parte civile NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro che, in riforma della decisione di primo grado, ha assolto NOME COGNOME dall’imputazione di minaccia (art. 612, comma 1, cod. pen.) perché il fatto non sussiste;
premesso che:
non deve tenersi conto della memoria depositata nell’interesse dell’imputato il 9 settembre 2024 e, dunque, tardivamente rispetto all’udienza del giorno 11 settembre 2024 (art. 611, comma 1, cod. proc. pen.; cfr. Sez. 7, ord. n. 23092 del 18/02/2015, Fratello, Rv. 263641 – 01);
ed è inammissibile l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata il 5 settembre 2024 nell’interesse dello stesso Vonella (Sez. 5, n. 3538 del 17/12/2018 – dep. 2019, Liban, Rv. 275413 – 01: «è inammissibile l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata davanti alla Corte di cassazione, atteso che gli artt. 93 e 96 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, riservano ai giudici di merito la competenza a provvedere; ne consegue che, quando procede la Corte di cassazione, l’istanza deve essere presentata all’ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, al quale spetta disporre l’ammissione al beneficio qualora ne ricorrano le condizioni»);
considerato che l’unico motivo di ricorso che ha dedotto soltanto un’erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta da parte del Giudice di appello (in particolare, poiché non sarebbe stato effettuato un rigoroso esame del contesta in cui il fatto ha avuto luogo alla luce del compendio probatorio) ha prospettato un vizio di motivazione (cfr. Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, COGNOME, Rv. 268404 01; cfr. pure Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01) che non può essere ritualmente denunciato in quanto, contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per i motivi di cui all’art. 606, comma 1, lettere a), b) e c), cod. proc. pen. (artt. 606, comma 2-bis, cod. proc. pen. e 39-bis d. Igs. 28 agosto 2000, n. 274);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/09/2024.