Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19866 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19866 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Torre del Greco il 18/09/1974; COGNOME nato a Napoli il 28/03/1978; COGNOME NOME, nato a Pollena Trocchia il 03/07/1991; . COGNOME nato a Napoli il 28/02/1991; NOMECOGNOME nato a Napoli il 03/10/1976; NOME COGNOME nato a Napoli il 23/08/1963; COGNOME NOME, nato a Napoli il 23/01/1986; COGNOME NOME, nato a Pozzuoli il 15/05/1982; COGNOME Giuseppe, nato a Torre del Greco il 07/03/1985; NOMECOGNOME nato a Pompei il 30/01/1993; avverso la sentenza del 06/06/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi;
A-)’
uditi i difensori: avv. NOME COGNOME per COGNOME, COGNOME Giuseppe, COGNOME NOME; avv. NOME COGNOME per COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME; avv. NOME COGNOME per COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 aprile 2023, il Gup del Tribunale di Napoli ha condannato, con l’aggravante della recidiva reiterata, , specifica ed infraquinquennale, per COGNOME, e reiterata e specifica, per NOME, e previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME: COGNOME NOME alla pena di anni 6 e mesi 10 di reclusione, COGNOME NOME alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, COGNOME alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 4.100 di multa, NOME alla pena di anni 7 di reclusione, NOME alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed euro 11.000,00 di multa, NOME alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, NOME alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 4.500,00 di multa, NOME alla pena di anni 3 di reclusione ed euro 8.000,00 di multa, NOME alla pena di anni 3 di reclusione ed euro 4.200,00 di multa, NOME alla pena di anni 5 di reclusione, per i reati in materia di stupefacenti, diversamente aggravati, analiticamente descritti nell’imputazione.
1.1. All’esito del giudizio di secondo grado, la Corte di appello di Napoli, in parziale accoglimento delle richieste di concordato in appello avanzate, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., da COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME COGNOME e COGNOME, e, decidendo sul merito per COGNOME e COGNOME, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, rideterminando le pene nei seguenti termini:
nei confronti di NOME NOME previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nella misura di anni 5 e mesi 5 di reclusione, in relazione ai capi 1) – art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 – 62), 66) e 67) – artt. 81, 110 cod. pen., 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990;
-nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle contestate aggravanti, nella misura di anni 1 e mesi 8 di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, per il reato di cui al capo 65) dell’imputazione – artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990.
-nei confronti di NOMECOGNOME previa riqualificazione dei reati di cui ai cap 56), 57), 59), 61), 64), 75), 76), 79) e 81), nell’ipotesi di cui all’art. 73, com
5, del d.P.R. n. 309 del 1990, nella misura di anni 4, mesi 1 e giorni 20 di reclusione, anche con riguardo ai capi 1) – art. 74, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990 – 90), 93), 94), 95), 96), 97), 98), 99) e 100) – art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;
-nei confronti di NOMECOGNOME previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle contestate aggravanti, nella misura di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 6.400,00 di multa, relativamente ai reati di cui ai capi 41), 50), 51) e 54) – artt. 81, 110 cod. pen., 73, commi 1 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990;
-nei confronti di NOME COGNOME con le già concesse circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza alla contestata recidiva, nella misura di anni 4 di reclusione ed euro 4.800,00 di multa, in ordine ai capi 4), 5), 9), 11), 29), 33), 34), 37), 38), 39), 49), 52) – artt. 81, 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990;
-nei confronti di COGNOME NOME, con le già concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, nella misura di anni 2, mesi 9 e giorni 10 di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, in relazione ai capi 29), 33), 37), 38), 39), 49) – artt. 81, 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990;
-nei confronti di NOME con le già concesse circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con le contestate aggravanti, nella misura di anni 2 e mesi 8 di reclusione, con riguardo ai capi 10) e 53) – artt. 81, 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990;
-nei confronti di NOMECOGNOME con le già concesse circostanze attenuanti generiche, nella misura di anni 4, mesi 8 e giorni 20 di reclusione, relativamente ai capi 1) – art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 – 27), 28), 30), 42), 55), 56), 59), 61), 62), 66), 67), 68), 81) – artt. 81, 110 cod. pen., 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990 – nonché 45) e 65) – artt. 81, 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990.
La Corte di appello ha, invece, confermato la sentenza di condanna nei confronti di COGNOME alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione, in relazione ai reati a lui ascritti ai capi 1) – art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 – e 83 – artt. 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 – e di COGNOME GiuseppeCOGNOME alla pena di anni 3 di reclusione ed euro 4.200,00 di multa, con riguardo ai capi 69) e 71) – artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso la sentenza, hanno innanzitutto proposto ricorsi per cassazione, mediante difensore, NOME NOME e NOME COGNOME i quali, con un unico motivo di censura, lamentano il vizio di motivazione con riguardo alla dosimetria
della pena, per entrambi, ed in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, per il solo Annunziata.
Secondo la prospettazione difensiva, nel quantificare la pena sulla sola base della mera gravità dei fatti e sui precedenti a carico dell’imputato – senza peraltro specificarne in alcun modo il rapporto di contiguità con i fatti di causa – la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di considerare gli specifici ed attuali elementi di segno contrario emersi nel corso del giudizio, a favore di un trattamento sanzionatorio più mite, quali: a) i segnali di resipiscenza mostrati da entrambi i ricorrenti durante il processo di appello; b) la loro buona condotta processuale; c) la presenza di un non allarmante vissuto giudiziario, per l’Annunziata, e l’incensuratezza, per il Toscano; d) l’ampia e spontanea confessione della totalità degli addebiti da entrambi fornita; e) l’intervenuta recisione dei legami con la criminalità organizzata, corroborata dall’assenza di condotte antigiuridiche poste in essere in epoca successiva ai fatti per i quali si procede.
Vi è, in secondo luogo, l’impugnazione di NOME COGNOME il quale, tramite difensore, deduce, con un unico motivo di impugnazione, la violazione dell’art. 62bis cod. pen., in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva, non essendosi considerata la buona condotta processuale tenuta dall’imputato.
La sentenza è stata poi impugnata, mediante il difensore, da NOME COGNOME
4.1. Con un primo motivo di doglianza, si censurano i vizi della motivazione relativamente alla mancata esclusione della contestata recidiva reiterata.
A parere del ricorrente, i giudici di merito avrebbero erroneamente negato l’esclusione della contestata recidiva sul mero presupposto degli specifici precedenti penali a carico dell’imputato, senza tuttavia considerare né la lontananza nel tempo dei precedenti penali – comunque di per sé soli inidonei a fondare l’applicazione dell’aumento di pena – né il buon comportamento processuale e l’atteggiamento resipiscente dell’imputato, pur debitamente valorizzati in sede di concessione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto all’aggravante contestata ex art. 99, comma 4, cod. pen.
4.2. Con un secondo motivo di gravame, invece, si denuncia la mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale, ritenuta sproporzionata rispetto alle modalità del fatto ed alla gravità della condotta.
Avverso la sentenza anche NOME COGNOME e NOME Giuseppe, tramite unico difensore, hanno proposto ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento, per vizi di motivazione in relazione alla mancata specificazione dei singoli aumenti di pena operati per la continuazione da parte della Corte territoriale.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME anche separatamente, con un secondo ricorso a cura dell’avv. COGNOME
6.1. In primo luogo, si denunciano la violazione di legge ed il connesso . difetto di motivazione, per avere i giudici di merito erroneamente negato l’esclusione della contestata recidiva, senza considerare, in particolare, la lontananza nel tempo dei precedenti penali e dei fatti in contestazione, risalenti al 2019, e la scarsa significatività delle condotte materiali ascrivibili al ricorrente, sotto il profilo più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo.
6.2. In secondo luogo, si censurano la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 546 cod. proc. pen. e 133 cod. pen., ed il correlato vizi motivazionale in punto di trattamento sanzionatorio, per avere la sentenza impugnata erroneamente omesso qualsivoglia specificazione delle ragioni per le quali abbia ritenuto di discostarsi dalla pena base prevista dal legislatore per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Analogamente, avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento, anche COGNOME Giorgio.
7.1. Con un primo motivo di impugnazione, si contestano i vizi della motivazione con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, essendosi la Corte territoriale fallacemente limitata a considerare la sola gravità del reato in contestazione.
7.2. Con un secondo motivo di gravame, invece, si lamentano la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 546 cod. proc. pen. e 133 cod. pen., e la carenza di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, e, segnatamente, con riguardo all’irrogazione di una pena base superiore al minimo edittale.
Vi è, poi, l’impugnazione di COGNOME Luigi, il quale, con un unico motivo di ricorso, eccepisce la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione, sul rilievo che nel caso di specie l’apparato argomentativo sarebbe generico, perché erroneamente si riferisce alle sole modalità del fatto.
La sentenza è stata impugnata, infine, con distinti ricorsi per cassazione, anche da COGNOME NOME e COGNOME NOME, per i quali, diversamente dagli altri imputati, non erano state formulate rinunce in appello.
9.1. COGNOME COGNOME propone un unico motivo di censura, con il quale, dolendosi della nullità del provvedimento gravato per motivazione meramente apparente, denuncia l’omessa valutazione dei plurimi, documentati e pacifici profili di contraddittorietà della pronuncia di primo grado, evidenziati dalla difesa ed indebitamente pretermessi dalla Corte di merito.
In particolare, i giudici dell’appello avrebbero erroneamente disatteso le doglianze difensive afferenti alla carenza della prova certa in ordine al contributo effettivo che il Di COGNOME avrebbe offerto con la condotta, a lui ascritta al capo 83) artt. 110 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 – all’esistenza ed al rafforzamento del sodalizio criminale in contestazione, con lo specifico ruolo talvolta di pusher, talvolta di corriere della sostanza stupefacente ovvero di sentinella in favore del coimputato COGNOME e, conseguentemente, del COGNOME, mancando specificamente di considerare l’insussistenza, nel caso in esame, degli elementi costitutivi del predetto delitto associativo, non potendosi ritenere di per sé solo sufficiente a tali fini il mero concorso nel singolo episodio delittuoso a lu ascritto ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
9.2. La difesa di COGNOME NOME denuncia i vizi della motivazione della sentenza impugnata, rappresentando, nello specifico, la mancanza di un’autonoma valutazione da parte dei giudici di merito delle risultanze probatorie, con riferimento: a) alla incerta identificazione del ricorrente, per quanto concerne il capo 69); b) alla incerta identificazione del ricorrente e alla incerta consumazione dell’episodio in contestazione, con riguardo al capo 71); c) alle contestate aggravanti della partecipazione di tre o più persone e della ingente quantità.
In primo luogo, mancherebbe la prova certa della identificazione del ricorrente così come effettuata dalla polizia giudiziaria operante, sia con riguardo al capo 69) che con riferimento al capo 71). I giudici di merito, in particolare, si sarebbero limitati a riproporre il percorso indiziario degli operatori che trascrissero contenuto delle conversazioni whatsapp, anche vocali, intercorse tra il titolare dell’utenza intercettata, tale COGNOME NOMECOGNOME e il telefono attribuito alla COGNOME, moglie dell’odierno imputato, .deducendo la riferibilità al COGNOME della voce maschile captata dal solo rapporto di coniugio con la COGNOME, pur in assenza di alcun effettivo riconoscimento vocale. Non si sarebbe considerato che, per un verso, la voce maschile in esame sarebbe stata quella del COGNOME, che informava la interlocutrice di aver dimenticato i documenti personali presso di lei, e che, per altro verso, l’utilizzazione del maschile nei messaggi intercettati sarebbe stata giustificata dal ricorso ad una terminologia generale e neutra rivolta al potenziale
acquirente, stante l’impossibilità per il Russo di sapere chi fosse l’effettivo su interlocutore, trattandosi di messaggi scritti.
Con esclusivo riferimento all’episodio delittuoso di cui al capo 71), mancherebbe altresì la prova del reale perfezionamento della cessione dello stupefacente, non essendo mai stata rinvenuta la presunta sostanza oggetto del reato ed essendo state intercettate alcune conversazioni nelle quali proprio il Russo affermava più volte, e in due differenti giorni, di non essere mai riuscito a portare a termine lo scambio con il suo interlocutore.
Quanto, infine, alle contestate aggravanti, censura la difesa che: in punto di ingente quantità, si sarebbe dovuto considerare non solo il dato quantitativo, riferito a 5 presunti chili di stupefacente – peraltro mai ritrovati e, dunque, d dubbia consumazione a prescindere dal mancato sequestro – ma anche la circostanza che, in ogni caso, si sarebbe trattato di sostanza di tipo leggero e di presumibile mero “passaggio di mano”, riconducibile a due soli episodi; mentre, con riguardo alla partecipazione di tre o più persone, ex art. 73, comma 6, del d.P.R. n. 309 del 1990, si sarebbe dovuta valorizzare l’incertezza del coinvolgimento di un ulteriore soggetto oltre all’interlocutore della coppia COGNOME/COGNOME rappresentando questi ultimi un unico centro effettivo di interesse, unitariamente operativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Va premesso che è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei li edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Rv. 276102). Anche le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Rv. 284481), del resto, hanno sottolineato come il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen. né sull’insussistenza di ipotesi di nullit assoluta o di inutilizzabilità delle prove, perché si deve rapportare l’obbligo della
motivazione all’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione in quanto, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia.
Fatte queste premesse, i ricorsi di COGNOME NOME e NOME COGNOME, afferenti al difetto motivazionale con riguardo alla dosimetria della pena, devono essere dichiarati inammissibili, poiché manifestamente infondati e parzialmente attinenti a motivi oggetto di rinuncia, avendo entrambi gli imputati scelto di insistere sui soli motivi di gravame afferenti al trattamento sanzionatorio.
3.1. Quanto alla complessiva commisurazione della pena a loro irrogata, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, la Corte territoriale abbia compiutamente applicato, con coerenza, i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., così arrestando il sindacato del giudice di legittimità.
In punto di diritto, infatti, la graduazione della pena rientra nell discrezionalità del giudice di merito, per il quale è sufficiente dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pen congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto allorquando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex plurimis, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243). Con la conseguenza che, nei casi in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua (ex multis, Sez. · 2, n. 28852 del 08/65/2013, Rv. 256464; · Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995). Sul punto, inoltre, si è ulteriormente precisato che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288).
Ebbene, nel caso di specie, le pene concretamente inflitte – nella misura di anni 5 e mesi 5 di reclusione per NOME, e di anni 5 per NOME – sono state applicate dai giudici di merito muovendo proprio dal minimo edittale – pari ad anni 10 di reclusione ex art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990 – ragion per cui, sul punto, non può ravvisarsi alcuna carenza motivazionale.
3.2. Quanto, invece, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione censurata nell’interesse di Annunziata, ritiene il Collegio che vi sia preclusione sul punto per intervenuta rinuncia.
Ed invero, è assolutamente pacifico che la rinuncia a tutti i motivi di appello, diversi dalla misura della pena, non può che ritenersi comprensiva della rinuncia anche all’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., che costituisce un punto autonomo della decisione (Sez. 1, n. 5182 del 15/01/2013, Rv. 254485): infatti, il trattamento sanzionatorio e le circostanze attenuanti generiche sono tra loro autonomi, in quanto disciplinati da normativa distinta, tenuto altresì conto del fatto che le ripercussioni cui danno luogo non costituiscono una connessione in senso tecnico, ma un effetto riflesso (ex multis, Sez. 6, n. 6583 del 22/01/1991, Rv. 187426; Sez. 5, n. 7646 del 28/05/1984, Rv. 165794; Sez. 5, n. 2179 del 07/12/1983, Rv. 163043).
E ciò a prescindere dal fatto che, in ogni caso, la motivazione al riguardo appare logica e coerente, nella parte in cui fonda la mancata concessione delle invocate attenuanti nella loro massima estensione, sulla personalità dell’imputato e sulla reiterazione degli episodi criminosi in contestazione.
Il ricorso, avanzato nell’interesse di NOME COGNOME a cura dell’avv. NOME COGNOME relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con regime di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti, è, anch’esso, inammissibile, poiché proposto da soggetto privo di legittimazione, e cioè da difensore non abilitato al patrocinio in cassazione; onde la sussistenza della causa di inammissibilità del ricorso prevista dall’art. 591, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.
4.1. Anche a prescindere da ciò, giova comunque precisare, in via preliminare, che il ricorrente, nel corso del giudizio di secondo grado, aveva rinunciato a coltivare tutti i motivi di merito, limitando il gravame a quelli attinent trattamento sanzionatorio ed alla invocata riqualificazione dei reati nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990. L’intervenuta rinuncia rende dunque inammissibile qualsivoglia rilievo riguardante le circostanze attenuanti generiche, per le considerazioni già svolte sub 3.2. da intendersi qui integralmente richiamate.
4.2. La doglianza in esame, peraltro, appare formulata in maniera del tutto aspecifica, essendosi il ricorrente astenuto da qualsivoglia riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, non essendo a tal proposito sufficiente il solo riferimento alla condotta processuale dell’imputato per la necessità di considerare anche gli altri indici desumibili dall’art. 133 cod. pen.
Parimenti inammissibile è il ricorso proposto da NOME COGNOME.
5.1. Il primo motivo di censura, concernente i vizi della motivazione in relazione alla mancata esclusione della contestata recidiva reiterata, è
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inammissibile, poiché precluso al sindacato di questa Corte e, in ogni caso, manifestamente infondato.
5.1.1. Anche in questo caso, infatti, ritiene preliminarmente il Collegio che l’intervenuta rinuncia a tutti i motivi di appello ad esclusione di quelli riguardan il trattamento sanzionatorio – risultante dal verbale di udienza dell’Il marzo 2024 – impedisca di poter considerare qualsivoglia doglianza ad essa relativa.
Invero, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, Sez. 4, n. 46150 del 15/10/2021, Rv. 282413; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, Rv. 268385; Sez. 1, n. 19014 dell’11.04.2012, Rv. 252861), la rinuncia a tutti i motivi di appello, diversi dalla misura della pena, non può che ritenersi comprensiva della rinuncia anche ad una circostanza: questo deve necessariamente valere anche per la recidiva che, pur confluendo nella determinazione della pena come ogni altra circostanza, costituisce capo autonomo della decisione. D’altra parte, se, come già chiarito sub 3.2, non può contestarsi che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, trattamento sanzionatorio e concorso di circostanze attenuanti siano punti della decisione tra loro distinti ed autonomi, in quanto disciplinati da normativa separata e distinta e le ripercussioni cui danno luogo non costituiscono una connessione in senso tecnico, ma un effetto riflesso, ciò ha come conseguenza che la rinuncia a tutti i motivi di gravame, con esclusione del trattamento sanzionatorio, non può non coinvolgere anche le statuizioni in merito al riconoscimento o all’esclusione delle circostanze attenuanti. Alle medesime conclusioni occorre giungere anche con riferimento al concorso di circostanze aggravanti e della recidiva attesa la medesima ratio sottesa.
In particolare, per quanto riguarda la recidiva, occorre evidenziare come nella stessa vengano in rilievo i soli profili soggettivi afferenti all’autore del reato e, particolare, gli indici della sua pericolosità reale e potenziale, attraverso i quali giustifica o s’impone l’aumento della sanzione attraverso parametri di riferimento che, solo in parte, finiscono per coincidere con quelli fissati dall’art. 133 cod. pen., non assumendo rilievo a tal fine i dati relativi all’oggettività del fatto commesso: da qui la distinzione e l’autonomia concettuale rispetto al trattamento sanzionatorio delle questioni relative alla recidiva rispetto alle quali l’intervenut rinuncia impone in questa sede una preclusione valutativa (ex plurimis, Sez. 6, n. 54431 del 25/10/2018, Rv. 274315; Sez. 2, n. 11761 del 30/01/2014, Rv. 259825).
5.1.2. Nel caso di specie, peraltro, risulta che i giudici di merito abbiano compiutamente motivato (pag. 57 della sentenza impugnata) la mancata esclusione della contestata recidiva, evidenziando che la sussistenza di specifici precedenti penali e la gravità dei fatti in contestazione risultano sintomatici di una
più spiccata pericolosità e di una maggiore riprovevolezza della condotta dell’imputato.
5.2. Il secondo motivo di doglianza – con il quale si lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale – è inammissibile.
Nel caso di specie, infatti, la motivazione del giudice di merito deve ritenersi certamente congrua ed adeguata, giacché ancorata ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e, segnatamente, alla gravità dei fatti ed alla personalità dell’imputato.
Come già chiarito sub 3.1., del resto, la giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell’affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di all’art. 133 cod. pen. (ex multís, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Rv. 265283)
Né, peraltro, può in questa sede attribuirsi alcun rilievo al confronto, pur operato dalla difesa, con la pena irrogata ad altro imputato. Ed invero, costituisce ius receptum che, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, nell’ipotesi di più soggetti imputati in concorso tra loro dello stesso reato non è gravato dall’onere motivazionale di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine all’eventuale differenziazione delle pene inflitte (Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269317), dovendo il trattamento sanzionatorio essere definito sulla base di parametri squisitamente individuali.
I ricorsi di NOME COGNOME e NOME, con i quali si contestano i vizi della motivazione in relazione alla mancata specificazione dei singoli aumenti di pena operati per la continuazione, sono inammissibili poiché manifestamente infondati.
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, se hanno chiarito che, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, hanno al contempo precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 co che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U., n. 47127 del 24/06/2021, Rv. 282269).
Ciò che, in altri termini, equivale a dire che, in tema di reato continuato, i giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, Rv. 284005; Sez. 5, n. 32511 del 14/10/2020, Rv. 279770).
Ebbene, nel caso di specie, l’assai modesta entità degli aumenti disposti nella misura di mesi 4 di reclusione ed euro 200,00 di multa, per NOME COGNOME e di mesi 2 di reclusione ed euro 100,00 di multa, per NOME Giuseppe consente di affermare che sono stati rispettati i criteri sopraindicati.
Anche il secondo ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME a cura dell’avv. COGNOME deve essere ritenuto inammissibile.
7.1. La prima doglianza – relativa alla violazione di legge ed al connesso difetto di motivazione, con riguardo alla mancata esclusione della contestata recidiva – è inammissibile, perché in parte manifestamente infondata e in parte generica, in quanto afferente al trattamento punitivo, che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, appare sorretto da logica ed adeguata motivazione.
Premesso che il motivo di censura non costituisce oggetto di rinuncia, avendo il ricorrente espressamente rinunciato ai motivi di appello presentati in punto di merito – insistendo su quelli concernenti il trattamento sanzionatorio e volti ad ottenere l’esclusione della contestata recidiva, la concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. nella loro massima estensione, nonché la riduzione dell’aumento di pena per la continuazione – va rilevato come la decisione del giudice di secondo grado ben rappresenti e giustifichi le ragioni per le quali si è ritenuto di confermare la contestata recidiva.
Nel caso di specie, infatti, la Corte di appello ha correttamente reputato che la sussistenza di plurimi precedenti penali e la loro gravità fossero da ritenersi circostanze ostative ad un positivo giudizio prognostico di futura astensione dal commettere reati, essendo, all’opposto, tali da delineare una personalità dell’imputato certamente negativa che, a prescindere dalla lontananza nel tempo di detti precedenti e dalla disomogeneità dei reati commessi, appare ragionevolmente tipica di una persona che ha fatto dell’illegalità il proprio stile d vita, anche tenuto conto della permanente assenza di ulteriori fonti lecite di guadagno.
7.2. Il secondo motivo di impugnazione, con il quale si censurano la violazione di legge ed il difetto di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, è parimenti inammissibile. Come già anticipato sub 3.1., in tema di dosimetria della
pena, non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge ed ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati dagli art. 132 e 133 cod. pen., tale dovendosi certamente ritenere quella dell’impugnata sentenza (pag. 61). Nel caso in esame, infatti, la Corte territoriale ha dato adeguatamente rimarcato, nello specifico, come la scelta di applicare una pena base che si discosta dai minimi edittali risulti giustificata dalla gravità dei fatti in contestazione, dalla reiterazione delle condotte criminose e dagli ingenti quantitativi di sostanza stupefacente commercializzati.
Il ricorso avanzato dal difensore di COGNOME Giorgio è, del pari, inammissibile.
8.1. Il primo motivo di censura, riferito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, è inammissibile.
La prospettazione difensiva, infatti – oltre che manifestamente infondata per le considerazioni già svolte sub 4.2.2., da intendersi qui interamente richiamate per ragioni di sintesi – appare formulata in maniera del tutto generica, non menzionandosi in alcun modo – come invece necessario per rendere specifico il mezzo di impugnazione – le ragioni per le quali con l’appello si erano richieste le circostanze attenuanti generiche in prevalenza rispetto alle aggravanti; mancando altresì di confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato, il quale, a pag. 67, evidenzia espressamente l’ostatività della particolare gravità dei fatti in contestazione rispetto all’invocato giudizio di prevalenza.
8.2. Il secondo motivo di gravame, riguardante la violazione di legge ed il difetto di motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio, è parimenti inammissibile. Anche in questo caso, la Corte territoriale ha dato adeguatamente conto del ragionamento seguito nella determinazione della pena, apprezzando, in particolare, la particolare gravità dei fatti, e precisando che la scelta di applicar una pena base che si attesta vicino al massimo edittale appare giustificata dal non trascurabile allarme sociale dimostrato dal fatto commesso, tenuto conto del più che elevato quantitativo di stupefacente detenuto, idoneo a soddisfare numerosissimi acquirenti, e della professionalità criminale dimostrata.
Parimenti inammissibile per genericità deve dichiararsi il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME con il quale si eccepisce la nullità della sentenza impugnata per mancanza di motivazione.
La censura risulta prospettata in maniera del tutto generica, allorché omette non solo la puntuale indicazione dei singoli passaggi motivazionali che si assumono
generici, ma anche la precisa argomentazione delle considerazioni sulla base delle quali fondare l’effettiva sussistenza della denunciata carenza di motivazione.
Del resto, il requisito della specificità dei motivi, implica, a carico della part impugnante, non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il propr sindacato, mancando altrimenti di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso.
Devono infine dichiararsi inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME Giuseppe, per i quali, si ricorda, non erano state formulate rinunce in appello.
11. L’unico motivo di censura, proposto nell’interesse di COGNOME, afferente all’invocata nullità della sentenza per motivazione meramente apparente, segnatamente con riguardo alla carenza di prova certa della sussistenza del delitto associativo ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, è inammissibile perehé formulato in modo non specifico, oltre che diretto ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, infatti, il ricorrente non offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati, omettendo di confrontarsi realmente con le argomentazioni spese in sentenza e prospettando, in ogni caso, argomentazioni del tutto generiche.
A questo proposito, deve ricordarsi, in punto di diritto, che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710); sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato.
Inoltre, va segnalato che, alla Corte di cassazione, sono precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, che l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito (ex multis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
11.1. Con riferimento alla generica posizione di soggetto inserito nel sodalizio, peraltro, va osservato, in punto di diritto, che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (ex multis, Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Rv. 282139). Ciò significa che, se è necessaria e sufficiente una qualsiasi azione, eseguita con qualsiasi modalità che arrechi un contributo causale rispetto all’evento tipico, non può, però, prescindersi da un contributo, apprezzabile e concreto sul piano causale, all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione, con la conseguenza che, per affermare la sussistenza del reato, occorre concretamente individuare e specificare la parte svolta dal compartecipe e, cioè, quel contributo, anche minimo ma non insignificante, alla vita della struttura e in vista del perseguimento del suo scopo.
Cionondinneno, ai fini dell’integrazione della condotta di partecipe, è comunque sufficiente anche l’adesione e l’apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Rv. 276677).
Peraltro, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione sodalizio e, in particolare, dell’affectio di ciascun aderente, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento, anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (ex plurimis, Sez. 3, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Rv. 278440-02). Per la configurabilità della condotta di partecipazione, inoltre, non è richiesto alcun atto di investitura formale, ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza stessa dell’associazione in un dato momento storico (ex multis, Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, Rv. 257905; Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, Rv. 263662).
11.2. Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente non si confronta minimamente con il provvedimento impugnato, la cui motivazione, alle pagg. 51-53, risulta
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adeguatamente articolata, perché congruamente illustra l’organigramma e i ruoli ricoperti dai vari soggetti, opportunamente rappresentando la rilevanza della figura del COGNOME che, insieme a tale COGNOME, agiva come frangia operativa dell’associazione facente capo al COGNOME, incaricato di fungere da corriere dello stupefacente e, all’occorrenza, da sentinella della zona entro cui venivano effettuati i traffici illeciti, presidiando le zone interessate al fine di vigil eventuali controlli da parte della polizia giudiziaria.
Dirimente, sul punto, è apparsa, in particolare, la copiosa attività di intercettazione telefonica effettuata, chiara nei contenuti nonostante le cautele ed il linguaggio criptico e simbolico sovente utilizzato dagli interlocutori, adeguatamente riscontrata da molteplici elementi emersi nel corso degli accertamenti svolti dagli operanti. Come opportunamente rilevato dalla sentenza gravata, dalle conversazioni intercettate, emerge lo stretto rapporto di dipendenza dell’odierno imputato rispetto al COGNOME, considerato dal primo alla stregua di un referente a cui chiedere prestiti ed anticipazioni della paga settimanale, data come regolare rennunerazione per i compiti svolti dal sodale nell’interesse della consorteria criminale; elementi, questi, che la difesa non contrasta mai espressamente, nemmeno in via di mera prospettazione.
11.3. In materia di intercettazioni, d’altra parte, l’interpretazione e l valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce proprio questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389). A ciò si aggiunga che, nell’attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni – siano esse conversazioni telefoniche, ovvero sms – il giudice del merito deve esplicitare i criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro, utilizzando iter argomentativo che è censurabile in cassazione, soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (ex multis, Sez. 5, n. 1532 del 09/09/2020).
12. Anche l’unico motivo di doglianza avanzato dalla difesa di Terrone – con il quale si denuncia i vizi della motivazione della sentenza impugnata – deve essere dichiarato inammissibile, poiché orientato, con argomentazioni in parte generiche in parte manifestamente infondate, a sollecitare una diversa lettura delle
risultanze probatorie concretamente restituite dagli atti di indagine, come tale preclusa al sindacato di legittimità.
A pag. 63 del provvedimento impugnato, del resto, la Corte territoriale, in maniera pienamente esaustiva, ha correttamente ritenuto il compendio probatorio acquisito al fascicolo tale da fondare il convincimento del giudice di merito in ordine all’effettiva identificazione dell’imputato quale interlocutore ed acquirente del Russo, tenuto conto non solo della circostanza che alcuni dei messaggi intercettati sull’utenza telefonica in uso alla moglie «amo game over», «come si fa fra aiutami ho perso», «han preso», «butta tel, vieni da vicin» essendo stati inviati al Russo nell’immediatezza dell’arresto della COGNOME, non avrebbero potuto essere scritti da costei, ma anche del fatto che proprio l’interlocutore del Russo abbia utilizzato un’espressione verbale coniugata al plurale «amo avevamo il gps in auto occhio» come tale ragionevolmente dimostrativa del coinvolgimento, nella vicenda processuale in esame, di entrambi; non apparendo peraltro verosimile che il Russo fosse all’oscuro del soggetto con cui stava parlando, avendo costui già intrattenuto in precedenza conversazioni telefoniche con quella specifica utenza e non essendosi mai preoccupato di capire con chi stesse interloquendo.
Con motivazione parimenti logica e scevra da contraddizioni, inoltre, i giudici merito hanno correttamente desunto l’avvenuto perfezionamento dell’accordo sotteso allo scambio di sostanza stupefacente di cui al capo 71) dal contenuto dei messaggi intercettati – dai quali si evince come l’odierno imputato ed il Russo avessero stabilito che, in data 14 giugno 2020, si sarebbe concretizzato l’affare avente ad oggetto la vendita, da parte del Russo al Terrone e alla moglie, di 5 chili di sostanza stupefacente del tipo hashish, che sarebbe stata prelevata specificamente dalla COGNOME – dando corretta applicazione al consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il reato di cessione di sostanze stupefacenti si consuma nel momento in cui è raggiunto il consenso tra venditore e acquirente, indipendentemente dall’effettiva consegna della merce e dal pagamento del prezzo (ex plurimis, Sez. 2, n. 30374 del 16/05/2019, Rv. 276981).
Del tutto coerente e congrua appare, infine, la motivazione del provvedimento impugnato con riguardo alle aggravanti contestate ex artt. 73, comma 6, e 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990. Come opportunamente rilevato dai giudici di secondo grado, infatti, da un lato, non può certamente ritenersi indiviso il binomio composto dalla coppia COGNOME/COGNOME; dall’altro, l’aggravante della ingente quantità risulta essere già stata esclusa dal Giudice per le indagini preliminari (pagg. n. 65 del provvedimento impugnato e n. 20 della sentenza di primo grado) in ragione della mancanza di accertamenti tecnici certi dal punto di vista chimico-tossicologico.
13. Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato
che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/02/2025.