Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46123 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46123 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a MELFI il 22/11/1978
avverso la sentenza del 24/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il concorso nel reato di truffa ascritto all’odierno ricorrente, non risulta connotato dai requisiti, richiesti, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., poiché fondato su profili di censura (in particolar l’asserita insufficienza di materiale probatorio) che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dai giudici di merito (si vedano in particolare le pagg. 2-3), dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto con le ragioni poste a base della ritenuta integrazione da parte del ricorrente del delitto lui attribuito, e dunque non specifici ma soltanto apparenti, omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, infatti, i giudici di appello – confermando la ricostruzione dei fatti e la decisione del primo giudice e sottolineando come la difesa non sia stata in grado di fornire una adeguata e fondata spiegazione alternativa in grado di superare i rilievi accusatori – hanno indicato congruamente gli elementi fattuali e le non illogiche argomentazioni in base ai quali deve ritenersi pienamente integrato il concorso nel reato ex art. 640 cod. pen., che, invero, il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., quale quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento, non è qui riscontrabile;
che, infatti, a fronte di doglianze che risultano anche finalizzate a prefigurare un diverso apprezzamento e/o un’alternativa rilettura degli elementi probatori valorizzati dal giudice di merito e posti a base del proprio convincimento, prospettando criteri di valutazione diversi da quelli adottati da quest’ultimo, va anche osservato come l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074);
osservato che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’eccessività della pena irrogata nei confronti del ricorrente, non è consentito in sede di legittimità oltre che manifestamente infondato, poiché con tale censura si è lamentato un inesistente diritto al minimo edittale, dovendosi invece ribadire che ; ,,..7 secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione del
trattamento sanzionatorio, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e a titolo di continuazione, oltre che per fissare la pena base, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché nel giudizio di cassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione, come nel caso di specie, non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico;
che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si vedano, in particolare pag. 4 della sentenza impugnata);
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 novembre 2024.