Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37707 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37707 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato in Albania il DATA_NASCITA NOME nato in Albania il DATA_NASCITA NOME nata in Albania il DATA_NASCITA NOME nata in Albania il DATA_NASCITA NOME nato in Albania il DATA_NASCITA NOME nato in Albania il DATA_NASCITA COGNOME NOME nata in Albania il DATA_NASCITA nel procedimento nei confronti di NOME nato in Albania il DATA_NASCITA e da: COGNOME NOME nato in Albania il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a Bari il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 13/03/2024 della Corte di assise di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi ricorsi trattati in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis, cod. proc.
pen.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/03/2024 la Corte di assise di appello di Bari, ai fini
che qui rilevano, confermava la sentenza emessa dalla Corte di assise di Bari il 20/04/2023, che aveva condannato NOME COGNOME per i reati ascrittigli, escludendo la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. e, in parziale riforma di detta sentenza, riconosciute le circostanze attenuanti generiche a NOME COGNOME ed a NOME COGNOME, rideterminava la pena.
NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME, a mezzo del difensore, hanno interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alle richieste avanzate dalla parte civile Osservano che la Corte territoriale ha errato nel non quantificare il danno subito dalle parti civili, pur avendo a disposizione tutti gli elementi; che, invero, lungo tempo si protraevano i diverbi tra COGNOME NOME ed il COGNOME in relazione alle pretese di quest’ultimo di riscuotere il canone di locazione, pur in assenza di un contratto; che il NOME in più occasioni aveva fatto minacciare il nipote da terze persone, tra le quali NOME COGNOME; che tali comportamenti avrebbero dovuto indurre la Corte di merito a considerare la situazione conflittuale che si era determinata nei mesi precedenti all’omicidio dello COGNOME; che sussiste la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. esclusa da entrambi i giudici di merito, atteso che l’omicidio è stato commesso in ragione della occupazione dell’immobile da parte della persona offesa, che ne precludeva l’ingresso al NOME, dunque, per motivi abietti; che, in ogni caso, trattasi di un reazione sproporzionata rispetto all’alterco avuto con la vittima, per cui il motivo sarebbe futile, con la conseguenza che sarebbe comunque configurabile la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen.; che il rapporto d parentela tra il COGNOME e lo NOMEdeve essere valutato nel calcolo del risarcimento del danno patito da genitori e familiari stretti, nonché della accordata provvisionale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con il secondo motivo eccepiscono la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 61 n. 1 cod. pen. Rilevano che sentenza impugnata, nel respingere le richieste del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, che aveva evidenziato la sproporzione tra la reazione del NOME rispetto alla provocazione patita, afferma che l’azione non può considerarsi determinata da motivi abietti, potendo la sproporzione tra l’offesa ricevuta e quella arrecata rilevare al fine di escludere la circostanza attenuante della provocazione; che una siffatta conclusione è errata, in quanto non fa corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità sul punto; che, invero, il giudizio sulla futilità può essere astratto, ma va ancorato a tutti gli elementi concreti della fattispecie,
tenendo conto delle connotazioni culturali dei soggetti giudicati, del contesto sociale e dei fattori ambientali che possono aver condizionato le condotte.
NOME COGNOME, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 62 -bis cod. pen. Rileva che le circostanze attenuanti generiche non sono state riconosciute al ricorrente nella loro massima estensione; che la motivazione sul punto è contraddittoria, atteso che la Corte territoriale, da un lato, ha valorizzato contegno collaborativo serbato dal COGNOME, la sua sostanziale incensuratezza e la volontà di riparare parzialmente il danno cagionato e, dall’altro, ha valutato ai fini della commisurazione della pena – il carattere solo parziale dell’offert risarcitoria; che lo sforzo economico sostenuto dall’imputato è stato rilevante, tenuto conto delle sue modeste capacità economiche, dato questo che avrebbe dovuto indurre i giudici di appello ad applicare le circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, anche in considerazione del fatto che dall’istruttoria dibattimentale il danno subito dalle persone offese è risultato più contenuto (molti occupanti le abitazioni non corrispondevano da mesi il canone all’odierno ricorrente); che, in ogni caso, anche l’atteggiamento collaborativo tenuto dall’imputato ed il suo stato di incensuratezza costituiscono elementi che avrebbero dovuto imporre la massima diminuzione di pena ai sensi dell’art. 62bis cod. pen.
NOME COGNOME, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
4.1. Con il primo motivo deduce difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., nonché travisamento delle prove. Osserva che, a fronte di una specifica richiesta, la Corte territoriale ha omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla invocata applicazione della circostanza attenuante introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023, nonostante le dichiarazioni della persona offesa COGNOME, che nel corso del dibattimento ha ridimensionato i fatti; che, invero, gli incontri con il COGNOME erano del tutto occasionali e mai accompagnati da minacce, anche in considerazione del rapporto di amicizia intercorrente con il ricorrente, per cui sotto questo profilo si è verificato un evidente travisamento della prova.
4.2. Con il secondo motivo eccepisce violazione di legge per difetto e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio ed al mancato riconoscimento della ipotesi della lieve entità del
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fatto. Rileva che la Corte territoriale, ai fini dell’adeguamento della pena al caso concreto, ha attribuito rilievo ai precedenti penali dell’imputato; che, invece, fatta eccezione per un precedente del 2020 di scarso rilievo, sul certificato penale del COGNOME l’ultima condanna annotata è relativa a fatti risalenti al 1998-1999, a far data dai quali il ricorrente risulta estraneo a qualsivoglia contesto criminale; che anche il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione si fonda su un errata interpretazione dei fatti, che non risultano connotati da elementi violenti, come si evince dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa; che, dunque, la risalenza dei precedenti penali e le concrete modalità della condotta criminosa avrebbero dovuto condurre ad una diversa dosimetria della pena.
4.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 133 cod. pen. per difetto e illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della unitarietà della condotta. Rappresenta che la Corte territoriale non ha escluso la continuazione in relazione alla vicenda estorsiva di cui al capo 5), nonostante dall’istruttoria dibattimentale fosse emersa l’unitarietà della condotta posta in essere, essendo il COGNOME presente in una sola occasione, quella della stipula del contratto di locazione, che avrebbe poi prodotto l’effetto dell’indebito versamento dei canoni mensili. Evidenzia, infine, come la sentenza impugnata abbia erroneamente condannato il ricorrente alla rifusione delle ulteriori spese di giudizio sostenute dalle parti civili, tenuto conto che ne confronti del COGNOME non vi è stata costituzione di parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi delle parti civili sono inammissibili.
1.1. Il primo motivo non è consentito. Ed invero, è reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del material probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale, per cui sotto questo profilo è aspecifico confrontandosi solo apparentemente con la trama argomentativa del provvedimento impugnato; senza tacere che è costituito da doglianze in fatto, che appaiono prevalentemente finalizzate a richiedere al giudice di legittimità una diversa ed alternativa lettura degli elementi di prova, a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato che nel complesso non presenta evidenti criticità logiche e/o giuridiche.
Va innanzitutto premesso che la sentenza di appello oggetto di ricorso costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente
costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella della Corte di assise sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, dep. 2021, Capozio, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218 – 01).
Orbene, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Cor di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Corte di cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fin della decisione. In altri termini, eccede dai limiti di cognizione del giudice legittimità ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattando di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso a detto giudice è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predet vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (cfr., Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556 – 01; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità
dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica.
Tanto premesso, osserva il Collegio che, nel caso oggetto di scrutinio, la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto di dover confermare le statuizioni civili della Corte di assise con motivazione congrua, diffusa ed esaustiva, oltre che scevra da vizi logici, evidenziando, con riferimento alla quantificazione del danno, un deficit probatorio che ne impedisce la liquidazione (pag. 11 della sentenza impugnata).
Ebbene, la difesa si misura solo in apparenza con gli argomenti spesi dalla Corte territoriale, che risultano dirimenti.
Tenuto conto della peculiare modalità di redazione del ricorso, che ha sostanzialmente riprodotto il contenuto dei motivi di appello, si osserva che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce; tale revisione critica si realizza attraverso presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del ricorso in cassazione è, pertanto, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento oggetto di impugnazione (per tutte, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01).
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 268385 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849 – 01; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, COGNOME, Rv. 236945 – 01).
Inoltre, con riferimento alla doglianza relativa all’entità della provvisionale liquidata, si rileva che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa al riconoscimento ed alla quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sezione 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773 – 02; n. 43886 del 26/4/2019, Saracino, Rv. 277711 – 01; Sezione 3, n. 18663 del 27/1/2015, D. G., Rv. 263486 – 01).
1.2. Nemmeno il secondo motivo è consentito.
Va innanzitutto premesso l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza con riguardo ai punti relativi alla sussistenza di circostanze aggravanti (o di circostanze attenuanti) del reato che incidano sul danno patrimoniale o non patrimoniale (Sez. U, ric. E.M.H., R.G. n. 18402/2024, ud. 26/06/2025, di cui allo stato si dispone solo della informazione provvisoria n. 8/2025). Sussiste nel caso di specie detto interesse, atteso che il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 1, cod. pen. può incidere sulla misura del risarcimento del danno.
Tuttavia, rileva il Collegio che l’appello delle parti civili era stato affidato un unico motivo, con il quale si contestava solo l’omessa pronuncia inerente alla liquidazione del danno e l’entità della provvisionale, senza alcun riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., già esclusa dal giudice di prime cure. Dunque, la Corte territoriale non è stata specificamente investita dalle parti civili della questione relativa alla ritenuta sussistenza della circostan dei futili motivi, per cui detto tema non poteva essere introdotto per la prima volta con il ricorso per cassazione. Ed invero, è in gioco il rispetto dei principi ch governano il sistema delle impugnazioni e in particolare di quello devolutivo, per cui la Corte di legittimità non può essere sollecitata, sostanzialmente in prima istanza, ad affrontare un determinato profilo, se prima lo stesso non è stato sottoposto al giudice del merito. In buona sostanza, il tema di cui si discute, essendo stato proposto soltanto con il ricorso in cassazione, ha determinato una inammissibile interruzione della catena devolutiva, che non consente l’esame in questa sede della nuova doglianza.
2. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Invero, questa Corte di legittimità in più occasioni ha avuto modo di affermare che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione di un terzo non impone al giudice di considerare necessariamente gli elementi favorevoli dedotti dall’imputato, sia pure per disattenderli, essendo sufficiente che nel riferimento a quelli sfavorevoli di preponderante rilevanza, ritenuti ostativi al riconoscimento delle predette attenuanti nella massima estensione, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ai sensi dell’art. 27 Cost. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217 – 01; Sez. 7, ord. n. 39396 del 27/05/2016, COGNOME, Rv. 268475 – 01). Del resto, nell’applicazione di un criterio eminentemente discrezionale, come quello concernente la determinazione della riduzione della pena conseguente al riconoscimento di una circostanza
attenuante, non si può pretendere dal giudice di merito la precisazione di specifiche ragioni, essendo sufficiente che possa desumersi dalla motivazione che il giudice ha esercitato il suo potere discrezionale con senso di equità e di proporzione e di ciò la Corte territoriale ha dato ampiamente atto, sottolineando come l’offerta reale fosse stata solo parziale, comportando ciò una ragione più che sufficiente ad inibire l’ingresso di ulteriori abbattimenti.
Né si ravvisa la denunciata contraddittorietà della motivazione, tenuto conto che il contegno collaborativo serbato dal COGNOME, la sua sostanziale incensuratezza e la volontà di riparare parzialmente il danno cagionato rappresentano gli elementi sui quali la Corte di merito ha fondato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, mentre la misura della riduzione di pena è stata determinata tenuto conto del carattere solo parziale dell’offerta risarcitoria e dell’elevata intensità del dolo (pag. 12 della sentenza impugnata), dato quest’ultimo con cui la difesa non si misura, con la conseguenza che, sotto questo profilo, il motivo è anche aspecifico.
In ogni caso, trattasi di motivazione congrua, ma soprattutto esente da vizi logici, che di conseguenza non è censurabile in sede di legittimità.
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato nei limiti che seguono.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Osserva il Collegio che, in tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata dalla parte, ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, atteso che non è necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 3, n. 3239 del 04/10/2022, dep. 2023, T., Rv. 284061 – 01): questo è appunto ciò che è avvenuto nel caso che si sta scrutinando, ove l’esclusione della configurabilità dell’ipotesi attenuata introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023 emerge dalla complessiva struttura della motivazione, che ha evidenziato, da un lato, la reiterazione delle condotte minacciose poste in essere ai danni di COGNOME NOME e l’intensità del dolo, mentre, dall’altro, non ha individuato profili di meritevolezz tali da consentire l’applicazione della circostanza attenuante “creata” dal Giudice delle leggi invocata con il presente ricorso.
Quanto alla rilettura delle emergenze processuali, proposta dalla difesa, finalizzata a ridimensionare il ruolo ricoperto nella presente vicenda estorsiva dal
COGNOME, è sufficiente evidenziare che la Corte territoriale ha più volte sottolineato l’intervenuta rinuncia ai motivi sulla responsabilità, con l conseguenza che sul punto le sentenze di merito non possono più esser messe in discussione.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di merito ha fondato l’entità della pena sui numerosi precedenti penali da cui il ricorrente risulta gravato e sul ruolo non marginale ricoperto nella presente vicenda estorsiva, desunto anche dalla reiterazione e gravità delle minacce profferite. Rispetto al primo elemento le considerazioni difensive risultano generiche, tenuto conto che si limitano a mettere il risalto la risalenza nel tempo delle condanne definitive riportate dal COGNOME, senza contestare che siano numerose, dato questo ritenuto rilevante dai giudici di merito.
Con riferimento al secondo aspetto, il motivo contesta la gravità delle modalità della condotta criminosa, circostanza questa che, per essere relativa alla ricostruzione dei fatti, non può esser più messa in discussione, essendo intervenuta la rinuncia ai motivi in punto di responsabilità.
3.3. Il terzo motivo è fondato nei limiti che seguono.
È inammissibile nella parte in cui contesta la pluralità di episodi estorsivi, al fine di escludere l’applicazione della disciplina del reato continuato, atteso che, a seguito della rinuncia ai motivi sulla responsabilità, il reato continuato cristallizzato come contestato e ritenuto dal giudice di prime cure.
La doglianza coglie, invece, nel segno nella parte in cui censura la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, atteso che NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME si sono costituiti parti civili nei confronti di NOME COGNOME per il reato omicidio commesso in danno di NOME, rispetto al quale il COGNOME è del tutto estraneo.
Per contro, COGNOME, persona offesa del reato di estorsione contestato nel presente procedimento al ricorrente, non ha inteso costituirsi parte civile.
La statuizione relativa alla rifusione delle spese in favore delle parti civili NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME deve, dunque, essere revocata.
All’inammissibilità del ricorso delle parti civili e del COGNOME segue, sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di detti ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alle statuizioni civili, che elimina; dichiara inammissibile nel rest il ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME e NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 30 settembre 2025.