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Ricorso inammissibile: limiti e motivi in Cassazione

Un imputato, condannato per minaccia aggravata, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge. I motivi del ricorso sono stati giudicati generici, ripetitivi e mirati a una rivalutazione delle prove non consentita in sede di legittimità, portando alla conferma della condanna e a sanzioni pecuniarie per il ricorrente.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile in Cassazione: i limiti invalicabili del giudizio di legittimità

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile venga trattato nel nostro ordinamento. Spesso si crede, erroneamente, che la Cassazione rappresenti un terzo grado di giudizio dove poter ridiscutere l’intera vicenda. In realtà, il suo ruolo è ben diverso: è un giudice di legittimità, non di merito. Questo significa che il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non rivalutare i fatti. L’ordinanza analizzata ribadisce con forza questi principi.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa nei confronti di un imputato per i reati di minaccia aggravata (art. 612, comma 2, c.p.) e porto di oggetti atti ad offendere. La Corte di Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, dichiarando prescritto il reato relativo al porto di oggetti e rideterminando la pena per la minaccia in nove mesi di reclusione.

Non soddisfatto della decisione, l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, articolando diverse censure contro la sentenza d’appello.

I motivi del ricorso e la valutazione della Corte

Il ricorrente ha basato la sua impugnazione su cinque motivi principali, tutti respinti dalla Suprema Corte perché non conformi ai requisiti richiesti per un giudizio di legittimità. Esaminiamoli nel dettaglio:

1. Genericità e richiesta di rivalutazione dei fatti

Il primo motivo lamentava un’errata affermazione di responsabilità. La Corte lo ha giudicato generico e meramente riproduttivo di censure già esaminate e respinte nei gradi di merito. Si trattava, in sostanza, di un tentativo di sollecitare una nuova e diversa lettura delle prove, attività preclusa in sede di Cassazione.

2. Mancata assunzione di prove in appello

Il secondo motivo criticava la mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello. La Corte ha definito il motivo manifestamente infondato, ricordando che la rinnovazione dell’istruttoria è un istituto eccezionale, rimesso alla discrezionalità del giudice d’appello e possibile solo quando non si possa decidere sulla base degli atti esistenti.

3. Esclusione della particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.)

Il terzo motivo contestava la motivazione sul mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Anche in questo caso, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, poiché mirava a una rivalutazione fattuale. Inoltre, ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente rilevato l’esistenza di precedenti penali a carico dell’imputato, circostanza che di per sé osta all’applicazione di tale beneficio.

4. Il trattamento sanzionatorio e il ricorso inammissibile

Il quarto e il quinto motivo erano focalizzati sulla determinazione della pena e sul diniego delle attenuanti generiche. La Corte ha ribadito che la quantificazione della pena è una prerogativa del giudice di merito. Un ricorso inammissibile è la conseguenza naturale quando si cerca di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione sulla congruità della pena, a meno che quella inflitta non sia frutto di un ragionamento palesemente illogico o arbitrario. Nel caso di specie, la pena era prossima al minimo edittale e la decisione era stata sufficientemente motivata, così come il diniego delle attenuanti.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione della Suprema Corte si fonda su un principio cardine della procedura penale: la netta separazione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. I giudici hanno chiarito che il ricorso presentato era un tentativo, neanche troppo velato, di ottenere una terza valutazione dei fatti, mascherando le censure di merito sotto l’apparenza di vizi di legge.

Ogni motivo è stato smontato evidenziando la sua natura fattuale e la sua genericità. La Corte ha ribadito la propria giurisprudenza consolidata: non è possibile, in sede di legittimità, sollecitare una “rilettura” alternativa delle prove o contestare la discrezionalità del giudice di merito nella valutazione della gravità del fatto e della personalità dell’imputato, se la motivazione fornita è congrua e non manifestamente illogica.

Le conclusioni

L’ordinanza si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa decisione non è priva di conseguenze per il ricorrente, che è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 Euro alla Cassa delle ammende. Questo caso insegna che un ricorso per cassazione deve essere fondato su precisi vizi di diritto e non può trasformarsi in un appello mascherato. Proporre doglianze generiche o fattuali non solo non porta al risultato sperato, ma comporta anche un ulteriore onere economico.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici, ripetitivi di questioni già valutate nei precedenti gradi di giudizio e miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove di un processo?
No, di regola la Corte di Cassazione non riesamina le prove. Il suo compito è quello di giudicare la legittimità della sentenza, verificando se la legge è stata applicata correttamente. Può intervenire sulla motivazione solo se questa presenta vizi di illogicità manifesta o travisamenti evidenti.

Cosa accade quando la pena inflitta è vicina al minimo previsto dalla legge?
Secondo la giurisprudenza citata nell’ordinanza, quando il giudice irroga una pena vicina al minimo edittale, non è tenuto a fornire una motivazione particolarmente dettagliata. È sufficiente un richiamo generico ai criteri di adeguatezza della pena, come previsto dall’art. 133 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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