Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17015 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17015 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Castrovillari (CS) il 20/01/1993
avverso l’ordinanza del 10/12/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME è indagato e sottoposto a custodia cautelare in carcere per i delitti di partecipazione, con il ruolo di promotore, ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, per vari “reati-scopo”, nonché per tentativo di estorsione aggravata dall’impiego del metodo mafioso.
Con atto del proprio difensore, impugna l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro in epigrafe indicata, che ha respinto la sua richiesta di riesame del provvedimento applicativo della misura cautelare per quei reati.
Sono tre i motivi di ricorso.
2.1. Con il primo si deducono violazione di legge e vizi di motivazione in punto di gravità indiziaria per il delitto associativo.
Il Tribunale – si sostiene – ha valorizzato essenzialmente il contenuto di poche e frammentarie conversazioni intercettate, dalle quali non emergerebbero né l’esistenza di una struttura organizzata, né il ruolo di promotore dell’indagato, ma, al più, un accordo occasionale tra alcuni individui, semplicemente prodromico ad eventuali attività economiche, solo congetturalmente qualificabili come illecite.
In ogni caso, mancherebbe nell’ordinanza impugnata l’indicazione di dati sintomatici del ruolo qualificato assegnato all’indagato, che presuppone un’attività gestoria del sodalizio, un potere decisionale e compiti di reclutamento di nuovi adepti, dovendo perciò trattarsi di un contributo indispensabile per l’esistenza dell’associazione.
2.2. La seconda doglianza riguarda i medesimi vizi, ma in relazione al tentativo di estorsione in danno di tale COGNOME, rispetto al quale la difesa censura l’erronea svalutazione delle dichiarazioni liberatorie rese sia da costui che da sua moglie, i quali hanno escluso l’esistenza del reato e, comunque, un diretto coinvolgimento del ricorrente nella vicenda.
Gli elementi di prova tenuti in considerazione dal Tribunale, invece, non illustrerebbero né l’oggetto della pretesa estorsiva, né le ragioni per le quali essa non sarebbe andata a buon fine, ipotizzando l’accusa una volontà oppositiva del Falcone, di cui, tuttavia, non si rinviene traccia in atti. L’ordinanza, quindi, no avrebbe contestualizzato i colloqui intercettati, non ne avrebbe ricostruito logicamente i contenuti, non avrebbe cercato, e quindi individuato, riscontri esterni, non avrebbe chiarito quale sarebbe stato il ruolo del ricorrente.
2.3. L’ultimo motivo di ricorso denuncia i medesimi vizi in punto di esigenze cautelari, rilevando che il Tribunale si sarebbe limitato a dar valore alla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., senza individuare specifici elementi di fatto da cui desumere la concretezza e l’attualità dei pericoli ritenuti, no potendo trovare applicazione la regola della tendenziale stabilità dell’adesione al sodalizio criminale, valevole per le consorterie mafiose.
Ha depositato requisitoria scritta la Procura generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivi non consentiti e, per di più, con doglianze del tutto generiche.
Esso, infatti, non denuncia contraddittorietà o cesure logiche del percorso giustificativo del provvedimento impugnato, né evidenzia palesi fraintendimenti o
pretermissioni di risultanze probatorie decisive per un diverso esito del giudizio, bensì si limita a pure e semplici manifestazioni di dissenso dalle valutazioni del
materiale istruttorio compiute dai giudici del riesame, senza il minimo confronto critico con le stesse, fondate, invece, su un compendio investigativo robusto,
diffusamente illustrato e dal significato piano.
Egualmente dicasi per le valutazioni in tema di esigenze cautelari, rispetto alle quali l’ordinanza, diversamente da quanto dedotto in ricorso, non si è limitata a
dar atto dell’esistenza della presunzione legale, ma ha dato rilievo all’ampiezza dell’organizzazione dell’attività di commercio degli stupefacenti, al ruolo di vertice
del ricorrente all’interno di essa, all’esistenza di canali di rifornimento stabili
“metodo mafioso” impiegato nella vicenda estorsiva, al breve tempo trascorso dai fatti (meno di un anno, al momento dell’esecuzione del provvedimento cautelare),
alla tipologia delle condotte ed alla loro possibilità di reiterazione anche in costanza di arresti domiciliari e di controllo elettronico: tutte osservazioni alle quali il ric
nulla replica.
5. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.