Ricorso Inammissibile: la Cassazione e i Limiti del Giudizio
Quando un caso approda in Corte di Cassazione, non tutte le porte sono aperte. Un’ordinanza recente ci offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile venga respinto, delineando i confini invalicabili del giudizio di legittimità. Questo provvedimento è un’importante lezione sulla necessità di formulare correttamente i motivi di appello fin dai primi gradi di giudizio e sulla natura specifica del ruolo della Cassazione, che non è un “terzo grado” di merito.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dai ricorsi presentati da due individui avverso una sentenza della Corte d’Appello.
Il primo ricorrente contestava la sua condanna sotto due profili: un vizio di motivazione e una violazione di legge nell’applicazione della recidiva qualificata, sostenendo che non vi fossero i presupposti per un aggravamento della pena.
Il secondo ricorrente, invece, sollevava due questioni distinte relative al reato di rapina (art. 628 c.p.) per cui era stato condannato. In primo luogo, negava la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, proponendo una lettura alternativa delle prove. In secondo luogo, chiedeva che il reato venisse riqualificato come semplice furto (art. 624 c.p.), una fattispecie meno grave.
La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile su Tutta la Linea
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, dichiarandoli inammissibili per ragioni diverse ma ugualmente significative dal punto di vista procedurale. Analizziamo le motivazioni che hanno portato a questa decisione.
Il Ricorso sulla Recidiva e i Limiti di Valutazione
Per quanto riguarda il primo ricorrente, la Corte ha stabilito che il motivo relativo alla recidiva era manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito che la valutazione sulla pericolosità del reo e sulla sua inclinazione a delinquere, basata sull’esame dei precedenti penali (art. 133 c.p.), spetta al giudice di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella già compiuta nei gradi precedenti, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria, cosa che in questo caso non è stata riscontrata.
Il Ruolo della Cassazione non è Rivalutare i Fatti
Il primo motivo del secondo ricorrente è stato respinto perché, di fatto, chiedeva alla Corte di Cassazione di agire come un giudice di merito. L’imputato proponeva una diversa ricostruzione dei fatti e una differente valutazione dell’attendibilità delle prove. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il suo compito non è quello di riesaminare il materiale probatorio, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. È precluso alla Cassazione “sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi”.
La Riqualificazione del Reato: un Motivo Nuovo e Tardivo
Il secondo motivo, relativo alla richiesta di riqualificazione del reato da rapina a furto, è incappato in un ostacolo procedurale insormontabile. La Corte ha rilevato che questa specifica censura non era mai stata sollevata nel precedente atto di appello. L’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale, stabilisce a pena di inammissibilità che i motivi di ricorso non possono essere presentati per la prima volta in Cassazione. Si tratta di una richiesta ex novo, e come tale, proceduralmente inaccettabile.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su principi cardine del nostro sistema processuale. Primo, la netta distinzione tra giudizio di merito (primo grado e appello), dove si accertano i fatti, e giudizio di legittimità (Cassazione), dove si controlla la corretta applicazione del diritto. Qualsiasi tentativo di far “rivedere i fatti” in Cassazione è destinato a fallire. Secondo, il principio della devoluzione, secondo cui il giudice d’appello può decidere solo sui punti della sentenza specificamente contestati. Ne consegue che non si possono introdurre motivi di doglianza completamente nuovi nel successivo ricorso per cassazione. La Corte, citando una nota sentenza delle Sezioni Unite (Jakani, 2000), ha riaffermato l’impossibilità di saggiare la tenuta logica di una sentenza attraverso il confronto con modelli di ragionamento esterni al provvedimento stesso.
Conclusioni
Questa ordinanza è un monito sull’importanza della strategia difensiva e della tecnica processuale. Evidenzia che un ricorso inammissibile non è solo un ricorso che viene respinto, ma un ricorso che non viene neppure esaminato nel merito. Le conseguenze sono severe: oltre alla conferma della condanna, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, la lezione è chiara: il processo ha regole precise e i gradi di giudizio non sono interscambiabili. Ogni argomentazione deve essere presentata al momento giusto e nel modo corretto, altrimenti si rischia di perdere la partita prima ancora di giocarla.
Perché la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti di un processo?
La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria. Non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella dei giudici dei gradi precedenti (Tribunale e Corte d’Appello).
Cosa succede se un motivo di ricorso viene presentato per la prima volta in Cassazione?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per quel motivo. L’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, vieta di introdurre in Cassazione censure che non siano state precedentemente dedotte come motivi di appello, a meno che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio.
Su quali basi il giudice valuta la recidiva?
Il giudice valuta la recidiva non solo sulla base della gravità dei fatti passati, ma esaminando in concreto il rapporto tra il nuovo reato e le precedenti condanne. Deve verificare, secondo i criteri dell’art. 133 c.p., se la pregressa condotta criminale sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che ha influito sulla commissione del nuovo reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33604 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33604 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) nato a POGGIBONSI il DATA_NASCITA COGNOME (CUI 05FATOO) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/12/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letti i ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, ritenuto che l’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse del primo ricorrente, con cui si deduce la ricorrenza del vizio di motivazione in tutte le sue forme e quello di violazione di legge per l’applicazione della recidiva qualificata di cui all’art. 99, comma secondo, cod. pen., non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in diritto;
che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione della legge penale e dei principi della giurisprudenza di legittimità (si veda p. 9 della sentenza impugnata, con riferimento ai criteri dai quali dedurre la maggior riprovevolezza e pericolosità del ricorrente), secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e l precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, nell’interesse del secondo ricorrente, che deduce il vizio di violazione della legge penale posta a fondamento della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 628 cod. pen., e che rileva l’insussistenza degli elementi costitutivi di reato sulla base della diversa lettura dei dati processuali o di una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova, non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (ex multis, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
che il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento relativamente alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di rapina (si veda, in particolare, pag. 10 della sentenza impugnata in ordine al carattere violento della condotta) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato;
ritenuto infine che secondo il motivo di ricorso nell’interesse del secondo ricorrente, con cui deducendo il vizio di violazione di legge, si chiede la riqualificazione del reato di rapina nella fattispecie di cui all’art. 624 cod. pen. non
è consentito in sede di legittimità, perché la censura non risulta essere statg, previamente dedotbl come moti-vo di appello, secondo -quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.;
che, come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (si veda pag. 6 dell’impugnata sentenza), l’odierno ricorrente contesta la riqualificazione del reato ex novo specificamente nell’odierno ricorso;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 12 settembre 2025.