Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 51798 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 51798 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GEMONA DEL FRIULI il 25/06/1961
avverso la sentenza del 12/12/2018 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data 12 dicembre 2018, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Udine, in data 9 dicembre 2016, nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 640 cod. pen. commesso in data 23 febbraio 2015.
Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:
1. violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta responsabilità avendo, in particolare la sentenza impugnata ignorato la cronologia della ricostruzione fattuale che avrebbe dovuto portare a diverse conclusioni;
2. vizi di motivazione in quanto erroneamente l’agire dell’imputato tipico nella prassi degli accordi contrattuali è stato interpretato come connotante gli estremi di una truffa.
Il ricorso è manifestamente infondato in entrambe le sue articolazioni e quindi deve essere dichiarato inammissibile.
Va detto subito che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre detta motivazione, non è certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudic del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni ìn fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenz probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili d colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così dec. o in Roma il 03/12/2019.