Ricorso inammissibile: quando la Cassazione non può riesaminare i fatti
L’ordinanza n. 6481 del 2025 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti del giudizio di legittimità, chiarendo perché un ricorso inammissibile viene respinto quando mira a una nuova valutazione dei fatti già decisi nei gradi di merito. Questo principio è cruciale per comprendere la differenza tra il ruolo del giudice di merito e quello della Suprema Corte.
I fatti del processo
Il caso trae origine da una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Roma. L’imputato, ritenuto responsabile di un reato, decideva di impugnare la decisione presentando ricorso per Cassazione, confidando in un ribaltamento del verdetto o, in subordine, in un trattamento sanzionatorio più mite.
I motivi del ricorso
L’imputato basava il proprio ricorso su due argomenti principali:
1. Errata valutazione delle prove: Sosteneva che la motivazione della sentenza di condanna fosse errata e che, di conseguenza, avrebbe dovuto essere assolto. In pratica, chiedeva alla Cassazione di riesaminare le prove e giungere a una conclusione diversa da quella dei giudici di merito.
2. Mancata applicazione delle attenuanti: Contestava la decisione della Corte d’Appello di non applicare le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente sulle aggravanti e di non riconoscere l’attenuante specifica della minima importanza del suo contributo al reato, prevista dall’art. 114 del codice penale.
La decisione della Corte di Cassazione sul ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le richieste del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel vivo della questione (colpevolezza o innocenza), ma si ferma a un livello procedurale, stabilendo che le richieste avanzate non potevano essere esaminate in quella sede. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni
La Suprema Corte ha articolato la sua decisione sulla base di principi consolidati del nostro ordinamento processuale.
Il divieto di rivalutazione dei fatti in sede di legittimità
Il primo motivo di ricorso è stato respinto perché la Corte di Cassazione non è un “terzo giudice di merito”. Il suo compito non è quello di ricostruire i fatti o di valutare le prove in modo diverso da quanto fatto dal Tribunale e dalla Corte d’Appello. La Cassazione interviene solo se la motivazione della sentenza impugnata è palesemente illogica, contraddittoria o basata su un’errata applicazione della legge. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse motivato in modo logico e coerente il proprio convincimento, rendendo la richiesta di una “rilettura” dei fatti inammissibile.
La discrezionalità del giudice sulle circostanze attenuanti
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La valutazione e la comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale scelta non può essere sindacata in Cassazione, a meno che non sia il frutto di un puro arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. La Corte d’Appello aveva giustificato la scelta di considerare le attenuanti equivalenti alle aggravanti (e non prevalenti), ritenendola la soluzione più adeguata a garantire una pena congrua. Tale motivazione, secondo la Cassazione, era sufficiente e non censurabile.
Infine, per quanto riguarda l’attenuante della minima importanza (art. 114 c.p.), la Corte ha rilevato una “preclusione normativa”, ovvero un ostacolo legale specifico (legato all’art. 112, n. 1 c.p.) che impediva a priori la sua applicazione nel caso concreto, a prescindere dalla reale entità del contributo dell’imputato.
Le conclusioni
Questa ordinanza riafferma con forza la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La decisione insegna che un ricorso per Cassazione deve concentrarsi esclusivamente su vizi di legittimità (violazioni di legge o difetti gravi di motivazione) e non può essere utilizzato come un terzo tentativo per ottenere una diversa valutazione delle prove. La ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo e secondo grado, se supportata da una motivazione logica e coerente, diventa definitiva e non può essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile senza entrare nel merito della colpevolezza?
Perché il ricorrente non ha lamentato un errore di diritto o un vizio logico della motivazione, ma ha chiesto alla Corte di Cassazione una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, un’attività che è riservata esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
La Corte di Cassazione può modificare la valutazione sulle circostanze attenuanti fatta da un altro giudice?
No, di regola non può farlo. La comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti è una valutazione discrezionale del giudice di merito. La Cassazione può intervenire solo se tale valutazione è manifestamente illogica, arbitraria o priva di una motivazione sufficiente, cosa che non è avvenuta in questo caso.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso viene respinto senza essere esaminato nel suo contenuto. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6481 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6481 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 27/01/1956
avverso la sentenza del 21/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME
Ritenuto che il primo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità e la mancata assoluzione, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pag. 4);
che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione circa la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza è manifestamente infondato tenuto conto che le statuizioni relative al giudizio’ di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendosi ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena inflitta in concreta (Sez. U., n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931);
che il secondo motivo di ricorso contesta inoltre la mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen è inammissibile stante l’ontologica preclusione normativa all’applicazione della diminuente (art. 114, comma 2 in relazione all’art. 112, n. 1 c.p.) e tanto a prescindere dall’assenza di profili di “minima importanza” esclusi dalle sentenze di merito;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.