Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37308 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37308 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TRINITAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/09/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari che ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale il ricorrente era stato ritenuto responsabile del delitto furto pluriaggravato;
Considerato che il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente denunzia l’inosservanza della legge penale e delle altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge contestando la legittimità delle operazioni realizzate per il riconoscimento dell’imputato quale autore del delitto e la valenza probatoria attribuitogli dal giudice di merito, oltre a non essere consentito dalla legge in sede di legittimità perché costituito da mere doglianze in punto di fatto, è altresì manifestamente infondato poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argonnentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento;
che, invero, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074);
che la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pag. 5) non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.;
Considerato che il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente censura la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla genericità del trattamento sanzionatorio, oltre a non essere consentito dalla legge in sede di legittimità e ad essere manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito,
che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argonnentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata), è altresì contrastante con la consolidata giurisprudenza di legittimità a tenore della quale la motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, Rv. 261839 – 01);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11 settembre 2024.