Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4850 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 4850  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI GENOVA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a BORDIGHERA il DATA_NASCITA
inoltre:
NOME
NOME
NOME COGNOME
NOME CONCETTA
NOME
REGNIER NOME
avverso la sentenza del 24/01/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di GENOVA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata con riferimento alla circostanza aggravante e il rigetto nel resto.
uditi i difensori
L’AVV_NOTAIO conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso del Procuratore Generale, deposita conclusioni scritte e nota spese.
L’AVV_NOTAIO COGNOME NOME conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
L’AVV_NOTAIO COGNOME conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/01/2023, la Corte di Assise di Appello di Genova ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova che, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME alla pena di venti anni di reclusione per i reati di omicidio aggravato di NOME COGNOME, alias NOME COGNOME, e di detenzione e porto illegale d’arma da fuoco, escludendo l’aggravante del metodo mafioso ex art. 416 bis.l. cod. pen., e concedendo all’imputato le circostanze attenuanti generiche; aveva quindi rideterminato la pena inflitta in tredici anni e sei mesi di reclusione.
L’imputato è reo confesso in ordine all’omicidio del NOME, commesso il 20/09/2020 in Ventimiglia; egli in particolare, successivamente al rinvenimento del cadavere del NOME, avendo avuto contezza del fatto che le indagini si stavano concentrando sulla sua persona, il 23/12/2020 si costituì agli inquirenti ammettendo di essere l’autore dell’omicidio; riferì che, dopo aver conosciuto il NOME in Francia nel maggio 2020, ed avendo deciso di acquistare la sua Mercedes corrispondendogli la metà della somma richiesta, pari a C 5.000, si incontrò nuovamente con la vittima il 20/09/2020 in territorio di Ventimiglia; NOME salì sul suo furgone e chiedette il saldo; NOME, che non disponeva del denaro, chiese a quel punto la restituzione di quanto già versato; NOME estrasse una pistola per minacciare NOME, il quale, con una frenata improvvisa, riuscì a far cadere l’arma dalle mani del NOME, e ad impossessarsene; nacque una colluttazione nel corso della quale NOME esplose due colpi d’arma da fuoco alla testa della vittima, che decedette sul colpo.
Tale versione, osservava la Corte territoriale, risultava tuttavia smentita dalle risultanze probatorie; in particolare il consulente tecnico balistico del PM, AVV_NOTAIO, aveva concluso i suoi accertamenti affermando che la tesi difensiva del COGNOME era incompatibile con l’angusto abitacolo del furgone.
La sentenza impugnata fonda l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. valorizzando le incertezze sulle ragioni dell’incontro tra il NOME e il NOME, ed osservando come la tesi esposta dall’imputato risulti insuscettibile di verifica; la Corte territoriale ha inoltre evidenziato come non risultasse provato che NOME, che abitava in Francia, fosse a conoscenza che il NOME fosse imparentato con esponenti della ‘ndrangheta del Ponente Ligure o che egli avesse millantato di essere un sodale.
Quanto alle modalità, tipiche degli appartenenti alla ‘ndrangheta, dell’omicidio (avvenuto con un colpo alla parte superiore del cranio ed un secondo colpo alla nuca), la Corte evidenziava come, pur essendo inverosimile la ricostruzione dell’omicidio da parte del COGNOME, cionondimeno nell’abitacolo del veicolo furono rinvenute tracce di sangue in corrispondenza del posto anteriore del passeggero, con la conseguenza che non si poteva negare con assoluta certezza che l’omicidio fosse avvenuto nell’abitacolo; quand’anche tuttavia si ritenesse, come argomentato dai primi Giudici, che l’omicidio fosse avvenuto all’esterno, in luogo isolato, con la vittima inginocchiata e prona «non è possibile ravvisare in ragione soltanto di tali modalità di esecuzione del reato che l’omicida avesse agito allo scopo di porre in essere un crimine dettato dal contesto mafioso», in quanto «il sovrastamento della vittima da pare dell’assassino non è una modalità del tutto tipica degli omicidi consumati da appartenenti alla criminalità organizzata» (pag. 11).
La Corte ha infine concesso le circostanze attenuanti generiche valorizzando lo stato di incensuratezza del COGNOME, il suo rammarico per il grave reato, manifestato sin dal principio, e ribadito sia nel primo grado di giudizio, sia ancora in appello; nonchè l’essersi presentato spontaneamente dinanzi alla P.G., per ammettere i fatti, ricostruirli, accompagnando gli inquirenti sul luogo del fatto.
Ricorre il Procuratore generale della Corte d’appello di Genova che articola due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi della lett. 606, c. 1, lett. e) cod. proc. pen. il vizio di mancanza/contraddittorietà/manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in relazione alla ritenuta insussistenza della aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Quanto alle incertezze sulle ragioni dell’incontro tra il NOME e il NOME, la sentenza non ha considerato le dichiarazioni rese da NOME COGNOME alla polizia francese (il 20.07.2021), in cui lo stesso ebbe a riferire che: – il giorno dell’omicidio i NOME avrebbe dovuto incontrarsi con degli “italiani” per mostrare un campione di stupefacente; – il giorno prima il NOME, in sua presenza, avrebbe incontrato il COGNOME.
Con riferimento alla conoscenza o meno dei legami parentali del COGNOME con esponenti della ‘ndrangheta del Ponente Ligure, si duole il Procuratore ricorrente che la
Corte non abbia valutato che COGNOME lo stesso COGNOME, in sede di interrogatorio, aveva dichiarato di avere comunicato alla futura vittima che il padre era stato arrestato per mafia.
NOME sapeva quindi della caratura criminale della famiglia e aveva un appuntamento finalizzato a smerciare droga, di talchè l’aggravante sarebbe palesemente applicabile, concretizzandosi il metodo anche nelle modalità esecutive, con sottomissione della vittima.
2.2. Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione in merito alla concessione delle attenuanti generiche. In particolare si duole il Procuratore della motivazione lacunosa e generica resa dai Giudici di merito, non avendo la Corte territoriale valutato correttamente le modalità di compimento del delitto ed il comportamento serbato dall’imputato in epoca immediatamente successiva allo stesso (con spostamento dell’autovettura in uso a NOME dall’Italia alla Francia, e con il tentativo di bruciare i furgone utilizzato il giorno dell’omicidio).
Con memoria telernaticamente depositata, il difensore dell’imputato ha chiesto il rigetto del ricorso evidenziando, quanto al primo motivo, plurimi vizi nell’esposizione della doglianza da parte del PG. In primo luogo, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, come da giurisprudenza della Corte di legittimità.
La difesa denuncia anche la mancanza di autosufficienza del ricorso, non essendo allo stesso stati allegati (o integralmente riportati) i due atti menzionati nel ricorso (ossia l’interrogatorio reso dal COGNOME il 23.12.2021 e le dichiarazioni rilasciate dal COGNOME il 20.07.2021).
Argomenta infine sull’infondatezza del ricorso e insiste per il suo rigetto.
Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO NOME COGNOME ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza in accoglimento del primo motivo ed il rigetto del secondo, riportandosi alla memoria precedentemente depositata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 COGNOME Il ricorso proposto dalla parte pubblica è inammissibile in quanto fondato su motivi generici, aspecifici, e volti a sollecitare a questa Corte una rivisitazione in fatto, non consentita.
Quanto al primo motivo, si afferma che la Corte di secondo grado avrebbe male interpretato la rilevanza dei dati dimostrativi che, se correttamente valutati, avrebbero condotto i Giudici di merito a ritenere integrata l’aggravante di cui all’art. 416 bis.l. cod. pen., contestata sotto il profilo dell’aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis cod. pen..
Va preliminarmente osservato che, per generale e condiviso principio, questa Corte di legittimità, nell’esaminare il contenuto dell’atto di ricorso non è vincolata alla sua ‘rubrica’, ossia dalla prospettazione della parte circa la tipologia di vizio denunziato (nel caso in esame, mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen.). Ciò che rileva è, infatti, il contenuto specifico delle doglianze, non potendosi privilegiare l’aspetto formale su quello contenutistico.
Ebbene, le censure dedotte si sviluppano sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione, la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, rv. 234148).
Va ricordato come il compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Ciò premesso, il Procuratore generale nel suo ricorso si duole che la Corte territoriale abbia pretermesso nella sua valutazione l’analisi delle dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio del 23/12/2021 dal medesimo COGNOME nonché di quanto dichiarato alla polizia francese il 20/07/2021 da NOME COGNOME.
Ebbene, come correttamente evidenziato dalla difesa dell’imputato in seno alla memoria depositata, il ricorso si appalesa non autosufficiente, non avendo il
ricorrente né trascritto integralmente il contenuto dei due atti, né allegato una loro copia.
Si è, infatti, chiarito che «in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7 comma 1, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020 – dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; analogamente in precedenza Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796).
Quanto alle doglianze avanzate dalla parte pubblica in relazione alle modalità di perpetrazione dell’omicidio, che, secondo il ricorrente, presupporrebbero «necessariamente una posizione prona – almeno inginocchiata – della vittima rispetto al suo omicida», le stesse risultano tutte versate in fatto, ed offrono una rilettura, non consentita, delle risultanze probatorie: il giudice a quo ha dato conto adeguatamente – come illustrato nella narrativa che precede – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità. Questa Corte non rileva nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, né la contraddittorietà della motivazione, né l’illogicità manifesta, che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale e/o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 cod. proc. pen., ovvero alla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione. Per vero i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dal Procuratore ricorrente, benché prospettati come vizi della motivazione e del travisamento dei fatti, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito.
Peraltro non è ultroneo ricordare, come anche evidenziato dalla difesa nella già citata memoria, il consolidato principio (Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, Aguì, Rv. 283351 – 02; Sez. 1, n. 27050 del 09/05/2017, PG/Oriti, Rv. 270616 – 01; sez. 1 n. 14638 del 9.1.2014, Ronnero Espinoza, Rv. 262145) che, al di là del diverso coefficiente psicologico di imputazione, anche le circostanze aggravanti sono componenti fattuali del giudizio di responsabilità che vanno accertate ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’, concorrendo in modo rilevante alla quantificazione della sanzione.
Versato in fatto risulta, poi, il secondo motivo di ricorso.
La Corte di assise di appello ha dedicato al riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche una motivazione specifica: ha osservato in particolare come l’imputato sia un «giovane incensurato» che «ha dimostrato rammarico per il gravissimo reato commesso»; ha ancora valorizzato il comportamento serbato post delictum, allorquando si costituì spontaneamente, accompagnando gli inquirenti sul luogo del delitto e fornendo una ricostruzione dei fatti.
Il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, peraltro concesse non nella loro massima estensione, pare essersi conformata i principi secondo cui «al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549 – 02) e «il giudice del merito, per giustificare il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabil dagli atti, essendo necessario e sufficiente che egli – con motivazione insindacabile in sede di legittimità, ove essa sia non contraddittoria – dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione» (Sez. 2, n 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 – 01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163 01).
La Corte di assise di appello si è attenuta a tale regola con l’esposizione di una motivazione non scalfita dalla critica del ricorrente, tesa inammissibilmente al superamento dell’assunto in chiave essenzialmente rivalutativa del corrispondente merito.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso avanzato dalla parte pubblica, consegue che non deve darsi corso alla condanna dell’imputato, in quanto non soccombente, alle spese sostenute dalle parti civili che hanno depositato nota spese.
P.Q.M.
i c h i a r a inammissibile il ricorso.
osì deciso, il 18 ottobre 2023