Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33737 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33737 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato in NIGERIA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 28/11/2024 della CORTE d’APPELLO di BARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la memoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanz richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto da articoli 610 co. 5 e 611 co. 1 bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza emessa il 13 aprile 2023 dal Tribunale di Foggia con cui l’imputato è st condannato alla pena di giustizia per il reato di rapina aggravata e di lesioni aggr
Presentando ricorso per cassazione, la difesa dell’imputato ha dedotto quatt motivi.
2.1 Con il primo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione p violazione del diritto di difesa e del principio di contraddittorio in relazione alle m con le quali è stato condotto il controesame in primo grado, avendo il collegio dichia inammissibili le domande difensive.
2.2 Con il secondo motivo, si lamenta il travisamento della prova e la manifesta illogicità della motivazione poiché la Corte d’appello ha omesso di valutare le contraddizioni emergenti dalla deposizione della persona offesa.
2.3 Con il terzo motivo si lamenta l’errata applicazione della legge penale in relazione alla mancanza della condizione di procedibilità per il reato di lesioni.
2.4 Infine, con il quarto motivo si lamenta l’errata determinazione della pena e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in prevalenza rispetto alle contestate aggravanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi addotti.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Come osservato correttamente dalla Corte d’appello (ed emergente dall’esame diretto del verbale ‘incriminato’, consentito a questa Corte data la natura in procedendo della questione sottoposta – Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, COGNOME, Rv. 220092 nonché, da ultimo, Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, non mass. sul punto) l’esame ed il controesame si sono svolti secondo le fisiologiche modalità imposte dal contraddittorio ed all’interno delle logiche del dibattimento, senza comportamenti debordanti o prevaricatori del Presidente del Collegio, il cui unico interesse era quello di garantire l’integrità e la comprensibilità dell’esame del testimone (reso difficoltoso dal modesto livello culturale del testimone e dall’uso della lingua straniera, con conseguente necessità di ricorrere ad un interprete), messo a rischio dalla convoluta formulazione delle domande da parte della difesa, dalla insistenza nel premettere alle domande, il contenuto delle dichiarazioni già rese (del tipo: “lei ha già detto che…”) e dalla confusione che ne era conseguita.
Nessuna significativa compressione del diritto di difesa risulta quindi ‘perpetrata’, tanto che al termine dell’esame – e nonostante la richiesta, rivolta dal Presidente alle parti, se vi fossero ulteriori domande o questioni – nessuna eccezione è stata sollevata dalla parte che ora, tardivamente, se ne lamenta. Infatti, è stato da questa Corte chiarito che “l’indebita compressione (nel caso concreto, come detto, nemmeno sussistente) da parte del Presidente del collegio, del diritto dell’imputato ad effettuare il controesame testimoniale, non determina l’inutilizzabilità della deposizione ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen., ma integra una nullità relativa ai sensi dell’art. 181 cod proc. pen., sanata ove la parte presente nulla eccepisca” (Sez. 3, n. 14245 del 17/03/2021, COGNOME, Rv. 280923 – 01).
Il secondo motivo è formulato senza una reale comprensione delle categorie evocate (travisamento della prova e manifesta illogicità della motivazione), in una sorta di deduzione aliud pro alio il cui unico risultato concreto è offuscare (allo stesso istante) che ciò che in realtà pretende è la rivalutazione della testimonianza della persona offesa, essendo insoddisfatto di quella fornita dalla Corte di appello, che, si sostiene, “ha ritenuto di confermare la sentenza di condanna sulla base di elementi probatori viziati” (pg. 3).
In realtà, il vizio di travisamento della prova – evocato erroneamente nel caso concreto, per la errata comprensione del reale significato dell’istituto – chiama in causa le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio, declinandosi in tre ipotesi: la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione); l’utilizzazione di una prova sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo “significante” (cd. travisamento delle risultanze probatorie); l’utilizzazione di una prova non acquisita al processo (cd. travisamento per invenzione). I questi casi non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se dett elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215), in quanto il travisamento della prova vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605).
Quello che invece la difesa richiede con il secondo motivo di ricorso è la rivalutazione (la terza!) del materiale probatorio, quasi che la Corte di cassazione dovesse essere ridotta ad un giudice di merito, invece che di legittimità. Si tratta, naturalmente, di una pretesa irricevibile, non consentita e non prevista tra i motivi di ricorso elencati dall’art 606, comma 1, cod. proc. pen., e pertanto non permessa ex art. 606, comma 3 cod. proc. pen..
Il terzo motivo è meramente ripetitivo della questione formulata e correttamente risolta dalla Corte d’appello, alla cui motivazione è sufficiente richiamarsi. De hoc, satis.
Il quarto motivo di ricorso, che chiede un più favorevole giudizio di comparazione tra circostanze, è manifestamente infondato e non consentito poiché pretende di condurre la Corte ad un giudizio che non può esprimere in quanto esula dalle competenze proprie del vaglio di legittimità.
È noto, infatti, costituendo jus receptum di questa Corte, che ogni aspetto relativo al trattamento sanzionatorio, dalla commisurazione della pena, all’applicazione e comparazione delle circostanze, dal riconoscimento del reato continuato, alla concessione dei benefici, e così via, rientra nella discrezionalità propria del giudice di merito e non può essere sindacata dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, pena la violazione delle attribuzioni ordinamentali, se si manifesta in una motivazione immune da contraddizioni o manifeste illogicità.
Nel caso specifico, va ulteriormente ribadito che la valutazione di equivalenza o di prevalenza delle circostanze sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931). Nel caso oggi in esame, la conferma dell’assetto sanzionatorio è adeguatamente fondata (pg. 10) sulla gravità della condotta, sulla straordinaria veemenza e brutalità dell’aggressione, sulle conseguenze lesive, sul numero degli aggressori e sulla presenza di armi. Da tale descrizione viene composto un quadro motivazionale del tutto sufficiente a giustificare l’adozione della decisione contestata.
Per le predette ragioni, il ricorso è inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa nella dichiarazione di inammissibilità, alla ammenda di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 24 giugno 2025
Il Consigliere relatore
La Presidente