Ricorso Inammissibile in Cassazione: il Ruolo della “Vedetta” nello Spaccio
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 258/2024, ha fornito importanti chiarimenti sui limiti del giudizio di legittimità, dichiarando un ricorso inammissibile e confermando la condanna per spaccio di stupefacenti. Questa decisione ribadisce principi fondamentali sulla distinzione tra giudizio di merito e di legittimità, e qualifica il ruolo di “vedetta” come una forma di concorso a pieno titolo nel reato.
I Fatti del Processo: Dal Ruolo di “Vedetta” alla Condanna
Il caso trae origine da una condanna per spaccio di sostanze stupefacenti emessa dalla Corte d’Appello. L’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione, contestando la sua responsabilità penale e il trattamento sanzionatorio ricevuto. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato svolgeva un ruolo specifico all’interno dell’attività di spaccio: quello di “vedetta”. Il suo compito era controllare le strade e indirizzare gli acquirenti verso le persone materialmente incaricate della vendita della droga. Nonostante il suo ruolo non prevedesse la manipolazione diretta dello stupefacente, le corti di primo e secondo grado avevano ritenuto tale condotta sufficiente a integrare una partecipazione piena al reato.
Il Ricorso Inammissibile e i Limiti della Cassazione
La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni, tutte riconducibili a un principio cardine del nostro sistema processuale: la Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Questo significa che il suo compito non è rivalutare i fatti o l’attendibilità delle prove, ma verificare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e coerente.
La Valutazione del Merito: Competenza Esclusiva dei Giudici Precedenti
La difesa aveva tentato di rimettere in discussione la ricostruzione dei fatti e la valutazione del materiale probatorio. La Corte ha respinto queste censure, definendole “non consentite nel giudizio di legittimità”. I giudici hanno sottolineato che, in presenza di una “doppia conforme” (cioè due sentenze, di primo e secondo grado, che giungono alla medesima conclusione), e di una motivazione adeguata e priva di vizi logici, la valutazione del fatto è insindacabile in sede di Cassazione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva logicamente spiegato perché il ruolo di vedetta costituisse un contributo essenziale all’attività di spaccio.
La Motivazione del Trattamento Sanzionatorio
Anche le doglianze relative alla pena sono state respinte. La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito di negare le attenuanti generiche fosse ben motivata. La negazione si basava sull’assenza di elementi positivamente valutabili a favore dell’imputato e sulla particolare offensività della condotta, caratterizzata da un’organizzazione non rudimentale e dalla disponibilità di diverse sostanze stupefacenti ad elevata purezza. Allo stesso modo, l’applicazione della recidiva è stata giustificata in modo non illogico, facendo leva sui precedenti penali dell’imputato che ne attestavano una “persistente pericolosità”.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha basato la sua decisione sul principio secondo cui il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto. Le censure proposte erano una mera riproposizione di argomenti già vagliati e disattesi dai giudici di merito con motivazioni corrette e giuridicamente fondate. La Corte d’Appello aveva riscontrato in modo logico l’esistenza di una comune attività di spaccio, nella quale il ruolo di vedetta, finalizzato a garantire la sicurezza dell’operazione e a facilitare l’incontro tra venditori e acquirenti, rappresenta un contributo causale rilevante e quindi una forma di concorso nel reato. Per quanto riguarda la sanzione, la motivazione della sentenza impugnata è stata giudicata idonea e non illogica, poiché ancorata a elementi concreti come la gravità del fatto e la personalità dell’imputato.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida due principi fondamentali. Primo, il ricorso inammissibile è la sanzione processuale per chi tenta di sottoporre alla Corte di Cassazione questioni di fatto già decise nei gradi di merito. Il giudizio di legittimità si limita al controllo sulla corretta applicazione della legge. Secondo, viene ribadito che qualsiasi contributo che agevoli la commissione di un reato, anche senza un contatto diretto con l’oggetto materiale (in questo caso, la droga), costituisce concorso punibile. Il ruolo di “vedetta” non è una condotta marginale, ma una partecipazione attiva ed essenziale al successo dell’attività criminale. La decisione comporta per il ricorrente la condanna definitiva, il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
È possibile contestare la ricostruzione dei fatti davanti alla Corte di Cassazione?
No, non è possibile. Il giudizio della Corte di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non può riesaminare i fatti o valutare le prove, ma solo verificare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico.
Il ruolo di “vedetta” è considerato partecipazione allo spaccio di droga?
Sì. Secondo la decisione, assumere il ruolo di “vedetta”, controllando le strade e indirizzando gli acquirenti verso gli spacciatori, costituisce una piena partecipazione al reato di spaccio, in quanto rappresenta un contributo essenziale al successo dell’attività criminale.
Su quali basi può essere negata la concessione delle attenuanti generiche?
Le attenuanti generiche possono essere negate sulla base di una valutazione complessiva della condotta e della personalità dell’imputato. Nel caso specifico, sono state negate per l’assenza di elementi positivamente valutabili, la particolare offensività del reato (organizzazione, disponibilità di diverse droghe pure) e la persistente pericolosità del soggetto, attestata dai suoi precedenti penali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 258 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 258 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/11/2023
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERCOLA il 29/01/1979
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso sentenza recante l’affermazione di responsabilità in ordine al reato ascritto è inammissibile, perché contenente censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazio del fatto nonché l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito che ha fornito, nella cd. “doppia conforme”, una congrua e adeguata motivazione, immune da censure di manifesta illogicità perché basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.
Quanto alla prima doglianza, in punto di mancata assoluzione, è appena il caso di rilevare che essa è riproduttiva di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, considerato che la Corte d’appello ha logicamente riscontrato la comune attività di spaccio di stupefacenti, in cui il COGNOME aveva assunto un ruolo di “vedetta”, poiché addetto al controllo delle strade e ad indirizzare gl acquirenti verso le persone materialmente addette alla vendita della droga.
Quanto al motivo inerente al trattamento sanzionatorio, si osserva che la sentenza impugnata è sorretta da idonea e non illogica motivazione sul punto, avendo il giudice di merito escluso la concessione delle attenutati generiche per via dell’assenza di elementi positivamente valutabili e della particolare offensività della condotta, caratterizzata da una non rudimentale organizzazione e dalla disponibilità di diverse sostanze stupefacenti, connotate da un elevato grado di purezza; l’applicazione della recidiva è stata giustificata, non illogicamente, sulla scorta dei precedenti penali dell’imputato, attestanti la sua persistente pericolosità in rapporto al fatto per cui si procede.
Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di € 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 novembre 2023