Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9821 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9821 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI NAPOLI nel procedimento a carico di:
NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il 26/08/1962 il
In cui sono parti civili: COGNOME NOME
COGNOME NOME
COGNOME NOME
COGNOME
COGNOME
COGNOME NOME
COGNOME COGNOME , avverso la sentenza del 06/06/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della parte civile COGNOME avv. NOME COGNOME che si associa al ricorso del Procuratore Generale e deposita memoria e nota spese e conclusioni alle quali si riporta;
uditi i difensori di COGNOME, avv. NOME COGNOME e Prof. avv. NOME COGNOME che depositano memoria difensive sulla insistono e si associano alle richieste del Procuratore Generale chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
CI
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7.07.2021, la Prima Sezione Penale di questa Corte annullava la pronunzia della Corte di Assise di Appello di Napoli del 25.09.2019, nei confronti di NOMECOGNOME ritenuto colpevole dei delitti di omicidio premeditato di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, pluriaggravato in concorso, ascritto al capo A), con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Napoli, per procedere alla riapertura dell’istruttoria dibattimentale mediante l’espletamento dell’esame del collaboratore di giustizia COGNOME Dario e all’esito dello stesso rivalutare le dichiarazioni di costui unitamente a tutte le altre emergenze procedimentali, in particolare alle dichiarazioni di COGNOME NOMECOGNOME in relazione alle discrasie rilevanti e non marginali rilevate dalla difesa con il narrato del COGNOME.
Il processo ha per oggetto il plurionnicidio di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, di matrice camorristica, nota come la “strage di Casal di Principe”, avvenuto il 22 aprile 1989, oggetto di altri due processi (Spartacus 1 e RAGIONE_SOCIALE), conclusisi con sentenze irrevocabili, che ha costituito il terminale di una premeditata ed insistita attività delittuosa che gli appartenenti al clan dei casalesi avevano deciso di porre in essere, al fine di riaffermare il prestigio della consorteria sul territorio di Casal di Principe contrastando il rientro sul territorio di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di altri sodali della Nuova Camorra Organizzata colpendo un componente del dan avverso, obiettivo raggiunto dopo l’organizzazione e la predisposizione di mezzi per l’agguato e la costante attività di appostamento del gruppo di fuoco che, conclusivamente era sfociata nell’attentato mortale portato a termine con l’uso delle armi descritte nel capo di imputazione.
1.2 La sentenza di annullamento di questa Corte ha ritenuto fondata la censura del ricorrente con cui si critica l’iter motivazionale seguito dalla Corte di Assise di appello, in sintonia con i primi giudici, nelle valutazione delle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME alla luce di quelle del collaboratore NOME COGNOME essendo emerse dalla lettura dei verbali di interrogatorio, acquisiti nel corso del giudizio abbreviato, gravi contraddizioni
nella ricostruzione della vicenda delittuosa, e si chiede la rinnovazione della istruttoria dibattimentale, rigettata dalla Corte di merito in quanto già nel processo Spartacus 1, il collaboratore COGNOME aveva confessato la partecipazione al quadruplice omicidio, facendo riferimento all’appostamento avvenuto, per due giorni, con COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME, presso il consorzio agrario gestito dall’imputato, di fronte alla casa della vittima, NOME COGNOME, a casa di COGNOME NOME, padre di NOME, ritenendo che la ragione della più ampia descrizione del ruolo avuto dall’imputato nell’omicidio si spiega con la circostanza che il processo Spartacus 1 non vedeva imputato NOME COGNOME e pertanto nessuna domanda diretta era stata rivolta al collaboratore in merito al suo coinvolgimento nei fatti, scandagliato poi nell’interrogatorio del 2015.
Questa Corte, con la sentenza di annullamento, ha ritenuto manifestamente illogico il percorso motivazionale svolto dalla Corte di Assise di appello di Napoli per sostenere la evidente continuità delle dichiarazioni rese da COGNOME nel 2015 rispetto a quelle rese il 13.12.2000 in quanto nelle dichiarazioni rese nel processo RAGIONE_SOCIALE manca qualsiasi riferimento al ruolo assunto da NOME COGNOMEindicato esclusivamente come figlio di NOME NOME, proprietario del consorzio) durante l’appostamento presso detto consorzio, che COGNOME stava in quel momento descrivendo, con l’indicazione dei soggetti presenti nonché in quanto la spiegazione dell’omesso riferimento del COGNOME al ruolo assunto nell’occasione dall’imputato (non era imputato in quel processo) è palesemente viziata, non potendosi ragionevolmente sostenere che nel momento in cui si stava affrontando un tema probatorio di rilevante importanza ai fini della ricostruzione dei fatti e del giudizio di responsabilità degli imputati si potesse prescindere dal compiere una completa verifica degli accadimenti, ivi compresa l’esatta individuazione di tutte le persone coinvolte nella descritta fase.
1.3 Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Assise di appello di Napoli, in sede di giudizio di rinvio, provvedendo sull’appello proposto da NOME COGNOME in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli del 4.04.2018, assolveva l’imputato dal reato ascritto al capo A per non avere commesso il fatto in quanto, all’esito della rinnovazione della istruttoria dibattimentale delle dichiarazioni dei due chiamanti in correità e del confronto delle due narrazioni, risulta adeguatamente riscontrato un nucleo essenziale limitato (messa a disposizione dei locali del Consorzio agrario, gestito dal padre, per mero sopralluogo, per la vicinanza rispetto alla residenza del Pagano dopo la sua recente scarcerazione). La Corte territoriale ha rilevato che i killer resisi conto della inidoneità della postazione che li esponeva al rischio di essere notati dai passanti, come rilevato nella sentenza Spartacus 1, si spostarono presso
l’immobile messo a disposizione dal Capoluongo, nemmeno utilizzato per l’agguato, rilevando il cattivo ricordo del COGNOME che confermava che l’appostamento durava due giorni ed il Consorzio fu utilizzato come base di partenza per l’agguato.
La Corte del rinvio ha ritenuto non sussistere prova chiara ed evidente del nesso causale e psichico tra la condotta dell’imputato e l’agguato mortale in quanto, dal punto di vista materiale, i locali del Consorzio agrario si rivelarono inadeguati e non furono utilizzati, l’agguato veniva consumato a distanza di due giorni dal sopralluogo, sotto il profilo del nesso psichico, ha ritenuto non applicabile la tesi dell’azione collettiva a consumazione permanente, recepita nella sentenza Spartacus 1, in relazione a quegli affiliati impegnati anche in appostamenti e perlustrazioni il cui utilizzo si è rivelato tale da rafforzare i proposito criminoso degli esecutori, in quanto la disponibilità dell’imputato, non si sa quanto spontanea, non avrebbe inciso in alcun modo sulla solida ed irreversibile risoluzione criminosa dei killer che si sono limitati a constatare la inidoneità dei locali del Consorzio agrario e, senza esitazione, hanno fissato altrove la loro base, e dunque, secondo il giudizio controfattuale, i killer avrebbero agito indipendentemente dalla disponibilità data da NOME COGNOME alla effettuazione del sopralluogo.
Avverso la suindicata sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Napoli propone ricorso, affidato ad un unico motivo qui di seguito sintetizzato ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
Il Procuratore Generale lamenta vizio di omessa, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, deducendo il travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in punto di limitazione dei riscontri al nucleo essenziale della messa a disposizione dei locali del Consorzio agrario, per un mero sopralluogo, per la vicinanza alla residenza del COGNOME, ritenuto inadeguato dai killer che si spostarono altrove, e di esclusione del nesso causale e psichico, in quanto, sotto il primo profilo, dal confronto delle dichiarazioni dei collaboratori non si sarebbe trattato di un mero sopralluogo, ossia di una ispezione dei luoghi, bensì di un luogo scelto per la vicinanza con l’abitazione della vittima e per l’appoggio del congiunto, cui aveva rivelato l’obiettivo, su cui NOME COGNOME poteva confidare, circostanze confermate anche da COGNOME che riferisce sulla ragione della scelta del luogo (il rapporto di parentela tra NOME COGNOME e NOME COGNOME oggetto di una riunione a casa di NOME COGNOME definendo l’imputato un fiancheggiatore che non si sarebbe limitato a mettere a disposizione del clan i locali del Consorzio bensì si sarebbe trattato di una piena e
consapevole disponibilità ad ospitare il gruppo di fuoco dei Casalesi per il tempo loro necessario, durato due giorni per il De Simone, poi ritenuto inadeguato perché sarebbero stati troppo visibili.
Deduce il Procuratore Generale che la discrasia più rilevante tra le dichiarazioni dei due collaboratori (periodo di permanenza dei Casalesi e modalità dell’appostamento presso il Consorzio) non ne inficerebbe la bontà del narrato tenuto conto che si è trattato di un appostamento di persone armate per perseguire il loro obiettivo.
Il Procuratore Generale lamenta, inoltre, vizio di omessa motivazione in relazione alle dichiarazioni del collaborante NOME COGNOME che ha conosciuto l’imputato, frequentando assiduamente il Consorzio, ed ha appreso da questi che il suo opificio era stato utilizzato come base logistica per l’esecuzione dell’omicidio di Pagano e di altre persone di cui il COGNOME indicava anche i cognomi nonché i nomi di coloro che avevano effettuato l’appostamento e gli esecutori materiali del quadruplice omicidio (NOME COGNOME, NOME e COGNOME) e che l’imputato era a conoscenza del proposito delittuoso del gruppo di fuoco del clan tant’è che aveva anche svolto il ruolo di specchiettista, sovrapponendosi le dichiarazioni del Venosa a quelle di COGNOME e di COGNOME, non essendo messa in discussione l’attendibilità del testimone dall’avere riferito che nel Consorzio si svolgevano le riunioni del clan cui partecipava anche l’imputato.
Il difensore dell’imputato, Prof. avv. NOME COGNOME ha depositato memoria difensiva, articolando le deduzioni di seguito sintetizzate ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1 D difensore deduce la inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale in quanto non denuncia un vizio di travisamento della prova bensì prospetta una diversa ricostruzione dei fatti proponendo una lettura e una interpretazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia alternativa rispetto a quella fornita dalla sentenza impugnata nonché una diversa valutazione delle loro convergenze e divergenze.
3.2 II difensore dell’imputato deduce, inoltre, inammissibilità del ricorso per carenza di interesse per non avere il Procuratore Generale specificato in quale modo e per effetto di quali considerazioni, l’eventuale accoglimento dell’unico motivo di ricorso in merito all’asserito travisamento delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dovrebbe consentire di superare, sul piano logico e giuridico, le conclusioni circa l’inconfigurabilità del concorso morale di NOME COGNOME” nonché mancando la prova del rafforzamento dell’altrui proposito criminoso già in corso di esecuzione non avendo incidenza causale su una
determinazione causale ferma e determinata per la risalenza nel tempo del proposito omicidiario, già giunto ad uno stadio avanzato di esecuzione.
2.3 D difensore del ricorrente deduce, inoltre, inammissibilità del ricorso per carenza di interesse all’annullamento con rinvio della sentenza assolutoria in quanto l’eventuale esito positivo dell”impugnazione non potrebbe giungere alla condanna dell’imputato perché, in base alle disposizioni in tema di prescrizione del reato vigenti all’epoca dei fatti, l’esclusione dell’aggravante della premeditazione o, comunque, anche ritenendo l’aggravante, per effetto del riconoscimento dele circostanze attenuanti generiche anche solo equivalenti alle aggravanti contestate, sarebbe maturata la prescrizione del reato nei suoi confronti.
I difensori di fiducia dell’imputato, Prof. Avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME hanno depositato ulteriore memoria difensiva, con la quale insistono chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso e la conferma della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il motivo di ricorso è versato in fatto, finalizzato a una rivalutazione della prova e non si confronta specificamente con le argomentazioni della sentenza impugnata.
Va, innanzitutto, osservato che «eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651; Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023, Rv. 284556).
Sono, pertanto, inammissibili le deduzioni critiche che si pongono in diretto confronto con il materiale probatorio acquisito, sollecitandone un diverso apprezzamento da parte della Corte di cassazione, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dallo scrutinio delle funzioni di legittimità (cfr. Sez. 6, n.13442 dell’8.03.2016, COGNOME; Sez. 6, n.43963 del 30.09.2013, Basile).
1.1 Il Procuratore Generale ricorrente deduce il vizio del travisamento della prova e di contraddittorietà della motivazione per avere la Corte, in sede di rinvio, omesso di valutare risultanze probatorie (dichiarazioni di collaboratori), elencate in dettaglio e riportate nel ricorso.
In effetti, il ricorrente chiede di ricostruire alternativamente il fatto oggett della contestazione privilegiando la prospettiva proposta nel ricorso, rispetto a quanto ha fatto il giudice di rinvio (in conformità, peraltro, a quanto demandatogli dalla pronuncia di annullamento), ignorando la preclusione in sede di legittimità di compiere la ricostruzione del fatto ed il relativo apprezzamento e, dunque, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta in sede di merito, dovendo questa Corte limitarsi al riscontro di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
La mancata rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cosiddetto «travisamento della prova» purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato, e senza che l’esame abbia ad oggetto, invece che uno o più specifici atti del giudizio, il fatto nella sua interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911).
Il vizio di “contraddittorietà processuale” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605). L’elemento travisato deve assumere portata decisiva, ed è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, e grava
sul ricorrente l’onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere (Sez. 5 Sentenza n. 26455 del 09/06/2022; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758).
Il Procuratore Generale articola deduzioni critiche che si pongono in diretto confronto con il materiale probatorio acquisito, sollecitandone un diverso apprezzamento, senza denunziare manifeste illogicità o incongruenze della motivazione.
Peraltro, a fronte di una precisa valutazione del compendio probatorio compiuto dalla Corte di merito in sede di rinvio, nel rispetto delle indicazioni della sentenza di annullamento, il ricorrente deduce una non corretta valutazione della prova lamentando, quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) di avere limitato i riscontri al nucleo essenziale mentre dal confronto di tali dichiarazioni non si sarebbe trattato di un mero sopralluogo bensì di un luogo scelto sia per la vicinanza con l’abitazione della vittima sia per l’appoggio che il congiunto (cui era stato rivelato l’obiettivo) poteva dare a NOME COGNOME circostanze confermate anche da COGNOME che riferisce sulla ragione della scelta del luogo (il rapporto di parentela), oggetto di una riunione a casa di NOME COGNOME definendo l’imputato un fiancheggiatore con la piena consapevolezza di mettersi a disposizione ed ospitare il gruppo di fuoco dei Casalesi per il tempo loro necessario.
Il ricorrente, soffermandosi su una sola discrasia tra le dichiarazioni dei collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME, rilevata dalla sentenza della Corte del rinvio, ovvero le modalità di accesso al Consorzio da parte del gruppo di fuoco del clan dei Casalesi e il tempo trascorso presso il Consorzio (due giorni o mezza giornata), non spiega né precisa se e in che termini la valutazione effettuata dalla Corte sia affetta da vizio di travisamento della prova o sia manifestamente illogica in relazione alla diversa valutazione delle prove ritenute decisive dai giudici di merito.
Deduce, altresì, il Procuratore Generale vizio di omessa motivazione in relazione alle dichiarazioni del collaborante NOME COGNOME che riferisce di avere appreso dall’imputato che il suo opificio era stato utilizzato come base logistica per l’esecuzione dell’omicidio di Pagano, dichiarazioni che si aggiungerebbero a quelle di COGNOME e di COGNOME, non essendo messa in discussione l’attendibilità del testimone dall’avere riferito che nel Consorzio si svolgevano le riunioni del clan a cui partecipava anche l’imputato.
Con riferimento al collaboratore NOME COGNOME il ricorso non contiene la trascrizione integrale delle dichiarazioni rese nel verbale di interrogatorio al PM del 18.02.2015 né allega, in copia, il verbale di interrogatorio limitandosi a riportare, nel corpo del ricorso, uno stralcio della testimonianza ritenuta decisiva,
senza adempiere all’onere di allegazione richiesto dal principio di autosufficienza del ricorso che si presenta, pertanto, generico ed incompleto in quanto si risolve nella deduzione di un travisamento della prova dichiarativa, senza l’allegazione della stessa.
In tema di ricorso per cassazione, la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma 1, lett. d), e 591 , cod. proc. pen. (Sez. 4, Sentenza n. 3937 del 12/01/2021) Rv. 280384 01).
Il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, in quanto, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, Rv. 274816).
Ovviamente le indicate modalità non impediscono al ricorrente di procedere alla integrale allegazione o trascrizione nel ricorso degli atti di cui lamenta l’inadeguata valutazione da parte del giudice di merito (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019 COGNOME, Rv. 276432), allegazione che, per quanto è stato possibile verificare, nel caso di specie, difetta.
Il principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165 bis, co. 2, D. Lgs 28 luglio 1989, n. 271, inserit dall’art. 7, D. Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, in quanto, come correttamente affermato in un condivisibile arresto di questa Corte, “sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l’onere di indicare puntualmente nel ricorso gli atti che si assumono travisati da inserire nel fascicolo, dei quali si ritiene necessaria l’allegazione delegata alla Cancelleria, organo amministrativo al quale non può essere delegato il compito di identificazione degli atti attraverso la lettura e
l’interpretazione del ricorso” (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432- 01; Sez. 5, Sentenza n. 5897 del 03/12/2020, dep. 15/02/2021, Rv. 280419 – 01).
La Corte territoriale, conformandosi a quanto richiesto in sede rescindente, con decisione congrua ed immune da vizi e censure, spiega la ragione per cui l’accusa non sarebbe supportata da ulteriori elementi di fatto per ritenere, nella specie, sussistente prova chiara ed evidente del concorso di persone nel reato, anche sotto il profilo del nesso causale e psichico, in quanto all’esito della rinnovazione della istruttoria dibattimentale delle dichiarazioni dei due chiamanti in correità (NOME COGNOME e NOME COGNOME e del confronto delle due narrazioni, risulta adeguatamente riscontrato soltanto un nucleo essenziale (l’avere l’imputato messo a disposizione i locali del Consorzio agrario, gestito dal padre, per un mero sopralluogo da parte del gruppo di fuoco del clan dei casalesi, incaricato della esecuzione dell’omicidio, luogo scelto per la vicinanza con l’abitazione in cui Pagano si era rifugiato dopo la sua recente scarcerazione, per verificare se esso potesse costituire una buona base per verificare gli spostamenti delle vittime designate, e, constatata l’inidoneità del luogo di osservazione, lasciato per utilizzare altro luogo come base, rivelatasi anch’essa inidonea allo scopo perseguito).
La Corte del rinvio, dunque, basandosi sulla ricostruzione della dinamica dell’omicidio avvenuto il 22 aprile 1989 nei pressi dell’incrocio tra INDIRIZZO e INDIRIZZO di Casal di Principe, come recepita nella sentenza irrevocabile del processo Spartacus 1, che richiama un incontro nell’aprile 1989 in relazione alla recente scarcerazione (otto giorni prima) di NOME COGNOME la organizzazione degli appostamenti effettuati nei giorni successivi (20 e 21 aprile), nei pressi dei luoghi in cui era stata avvistata la vettura della vittima (abitazione della madre, esercizio adibito a salumeria gestito dalla sorella), mediante due gruppi di fuoco, tenendo conto degli orari in cui usciva la vittima (la sera), e delle modalità di esecuzione dell’agguato mortale, ha rilevato che i killer resisi conto della inidoneità della postazione, che li esponeva al rischio di essere notati dai passanti, si spostarono presso altro immobile, nemmeno utilizzato per l’agguato, ed ha ritenuto che tra la condotta dell’imputato e l’appostamento dei killer presso il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non sussisteva alcun nesso causale, in ragione della materiale inadeguatezza del Consorzio al raggiungimento dello scopo, tanto che non veniva utilizzato per l’agguato, consumato a distanza di due giorni dal sopralluogo, e psichico, ritenendo che “la disponibilità, non si sa quanto spontanea, non avesse inciso in alcun modo sulla solida e irreversibile risoluzione criminosa dei killer che nello specifico si sono limitati a constatare l’inidoneità dei locali del Consorzio agrario e senza esitazione hanno fissato altrove la loro base”, e dunque, secondo
il giudizio controfattuale, i killer avrebbero agito indipendentemente dalla disponibilità data da NOME COGNOME alla effettuazione del sopralluogo, ritenendo, dunque, non applicabile, nella specie, la tesi dell’azione collettiva a consumazione permanente, recepita nella sentenza Spartacus 1, in relazione a quegli affiliati impegnati anche in appostamenti e perlustrazioni il cui utilizzo si è rivelato tale da rafforzare il proposito criminoso degli esecutori.
La Corte territoriale rilevando delle discrasie nelle dichiarazioni del collaboratore COGNOME con quelle di NOME COGNOME sulla durata (due giorni/ mezza giornata) e sul luogo di partenza per l’agguato indicato soltanto da COGNOME nel Consorzio, in contrasto con le univoche risultanze processuali, desumibili dalle sentenze di condanna irrevocabili (Spartacus 1 e Spartacus End), ritiene su tali punti trattarsi di un cattivo ricordo del COGNOME, e definisce come sopralluogo quello effettuato dai componenti del gruppo del fuoco del clan dei casalesi, presumibilmente senza che NOME COGNOME potesse concretamente opporsi alla suddetta iniziativa (data la forza di intimidazione esercitata da simili soggetti nei confronti dell’attuale imputato, riconosciuto già dalla sentenza di appello estraneo all’organizzazione criminale), e concluso con l’accertamento dell’inidoneità del luogo a costituire la base per l’esecuzione del delitto.
A fronte di tale definizione, il Procuratore Generale, richiamando le complessive dichiarazioni rese dai collaboratori nei procedimenti relativi al quadruplice omicidio, desume che il tempo di permanenza nel consorzio sarebbe stato più lungo di quanto ritenuto in sentenza e che, pertanto, non si è trattato di una mera messa a disposizione dei locali del Consorzio, come si afferma in sentenza, ma di una piena e consapevole disponibilità dell’imputato al gruppo di fuoco dei Casalesi per il tempo loro necessario, nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti, sulla scorta di una lettura alternativa delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e di una diversa valutazione delle loro convergenze e divergenze. Il richiamo contenuto nel ricorso ad una elencazione di tutti gli elementi del compendio probatorio di cui sarebbe stata omessa la valutazione non si confronta con la sentenza di appello, né l’aver ripercorso la diversa valutazione compiuta dalla Corte di Assise sulla decisività e rilevanza degli elementi su cui si è fondata la pronuncia di condanna può ritenersi sufficiente ad integrare il vizio di travisamento della prova ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in quanto inammissibile in sede di legittimità.
Invero, a fronte di una valutazione del compendio probatorio, compiuta, dalla Corte di merito in sede di rinvio, in ottemperanza a quanto disposto da questa Corte, in sede rescindente, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, tenendo conto della ricostruzione dell’agguato come accertata nelle
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sentenze irrevocabili in atti e con le quali il Procuratore Generale non si confronta, il ricorrente deduce una non corretta valutazione degli elementi di prova sollecitando a questa Corte una inammissibile rivalutazione degli stessi. In relazione agli esiti negativi del luogo dell’appostamento, ritenuto inadeguato dal gruppo di fuoco, nel ricorso non è specificato il nesso causale tra l’appostamento presso il Consorzio agrario e le modalità di commissione del reato, avvenuto in modo svincolato da quello. Non è dato comprendere se il gruppo di fuoco sia stato informato dall’imputato, se questi abbia svolto o meno quella funzione di fiancheggiatore riferita da uno dei collaboratori, manca la costanza e la univocità delle dichiarazioni degli stessi.
Questa Corte ha, infatti, stabilito, con orientamento espresso a Sezioni unite, che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità estrinseca dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto po fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. un., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822; Sez. 2, Sentenza n. 51531 del 19/11/2019, Rv. 277811 – 01).
E’ stato altresì precisato, successivamente all’arresto espresso dalle Sezioni Unite, che affinché il motivo devoluto possa ritenersi specifico, è necessario che il ricorrente non si limiti a contestare sic et simpliciter il punto della pronuncia di cui chiede la riforma ma che prenda posizione rispetto ad esso indicando le ragioni di fatto o di diritto per cui non ne condivide la valutazione, così da porre il giudice dell’impugnazione nella condizione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato di merito; ma che ciò non implica tuttavia che le censure svolte debbano diffondersi in analitiche e particolareggiate disquisizioni sulle ragioni dell’invocata riforma, non potendo l’essenzialità del motivo ricadere sul requisito della sua specificità che postula invece l’identificabilità, con accettabile precisione, dei punti cui si riferiscono le doglianze e le ragioni essenziali per le quali viene contestato il ragionamento seguito dal primo giudice (Sez.3, n.12727 del 21/2/2019, COGNOME RV. 275841; Sez. 4, Sentenza n. 36154 del 12/09/2024, Rv. 287205 – 01).
Le deduzioni del ricorrente non si confrontano con la valutazione effettuata dalla Corte del rinvio del compendio probatorio in punto di ritenuti riscontri oggettivi esterni e di decisività della prova, non risultando esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di di poste a fondamento della sentenza impugnata.
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In ragione di tutte le suesposte argomentazioni il ricorso va dichiar inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del PG. Così deciso in Roma il 17/01/2025.