Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8452 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8452 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 20/06/1975 NOME COGNOME nato il 01/01/1972
avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Giova premettere in diritto che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura di elementi di fatto posti a fondamento del decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come , maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati giudice di merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482); né è sindacabile in questa sede, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sull rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti tra le dichiarazion persone informate dei fatti o coindagati, e la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
Sempre in premessa, va ricordato che la mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu ocull, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate, in modo logico e adeguato, le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
1.1. Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte ritiene che il ricorso NOME COGNOME non sia consentito in sede di legittimità, essendo costituito da mere doglianze in punto di fatto. Va evidenziato, infatti, come le doglianze sollevate sono tese a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai decidenti di merito, più che a denunciare un vizio rientrante in una delle categorie individuate dall’art. 606 cod. proc. pen.
In particolare, il ricorrente non tiene conto della ricostruzione dei fat effettuata dalla Corte di appello, secondo la quale non era plausibile che l’imputato si fosse prestato per un apprezzabile arco di tempo a svolgere un ruolo chiave nell’ambito del sistema, facendo da tramite per decine di connazionali indiani, senza esser mai venuto a conoscenza del vero contenuto dell’accordo, fondato sull’inesistenza di alcuna effettiva prospettiva di lavoro per gli stranieri una volta giunti sul territorio dello Stato.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, poi, il giudice di appello, fornendo sul punto una motivazione ineccepibile, ha ritenuto attendib li le
dichiarazioni rilasciate da COGNOME il quale aveva pienamente ammesso la fondatezza dell’ipotesi accusatoria e aveva confermato di essersi avvalso del contributo dell’imputato, il quale aveva reclutato all’estero propri connazionali interessati a ottenere il visto di ingresso, dopo aver descritto dettagliatamente il ruolo svolto da quest’ultimo.
Secondo la Corte di appello, quindi, il numero di pratiche riconducibili all’imputato doveva quantificarsi quantomeno in 40 unità, come emerso dalla conversazione prog. 1021 del 21 dicembre 2009, nella quale lo stesso imputato aveva fatto riferimento al numero di pratiche da lui svolte.
1.2. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Con riferimento alla circostanza aggravante del fine di lucro, il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata, nella parte in cui il giudice di merito ha accertato che, dalla lettura delle telefonate intercettate, era emerso che l’imputato fosse stato consapevole degli importi di denaro richiesti da COGNOME ai cittadini extracomunitari a fronte delle richieste di nulla osta e che – in più stesso avesse svolto da tramite per la loro riscossione.
Sul punto, la Corte di appello ha ritenuto non credibile la versione difensiva dell’imputato, secondo la quale lo stesso, dopo aver riscosso tali importi, li aveva integralmente consegnati a COGNOME senza partecipare in alcun modo alla spartizione del profitto; secondo il giudice di appello, infatti, l’imputato avev certamente tratto un profitto dall’attività illecita, anche considerando che lo stesso si era dedicato a tale attività per mesi e aveva coinvolto nel sistema anche alcuni suoi parenti.
Con riferimento alle circostanze aggravanti relative al numero di cittadini extracomunitari coinvolti nella condotta e al concorso di più di tre persone nella realizzazione del reato, si evidenzia che il ricorrente non tiene conto della ricostruzione del fatto fornita dalla Corte di appello, secondo la quale, dalla lettura degli atti di causa, appariva pacificamente accertato che la condotta dell’imputato avesse riguardato le pratiche relative a ‘più di cinque cittadini extracomunitari (in particolare, aveva riguardato la posizione di sei persone, come anche confermato dalle dichiarazioni rilasciate da COGNOME; nel reato, inoltre, avevano concorso più di tre persone, come oggettivamente emerso dalla lettura degli atti acquisiti dal giudice di primo grado.
A fronte di ciò, il ricorso tende a reiterare le deduzioni già svolte in sede d appello, sulle quali la Corte territoriale si è pronunziata motivatamente e correttamente: l’ipotesi stessa coltivata nell’impugnazione de qua si mostra con connotazioni di congetturalità, limitandosi ad essere confutativa ma aspecifica in modo evidente, poiché non si confronta realmente con la motivazione censurata, bensì reitera le argomentazioni già non accolte, imperniando le censure sul
presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna dei ricorrent4 al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024