Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43110 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43110 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Lugo il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 10.10.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16.12.2021 il Tribunale di Ravenna aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei reati di cui ai capi A), B), C), D), E), F) ed H) della rubrica e, con le circostanze attenuanti generiche e ritenuto tra le diverse violazioni di legge il vincolo della continuazione, l’aveva condannato alla pena complessiva e finale di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed euro 4.600 di multa, ltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali; aveva applicato all’imputato la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’aveva condannato al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili in cui favore aveva liquidato le provvision indicate in dispositivo;
la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del COGNOME per i reati di cui ai capi A), B) e C), per difetto di tempestiva querela; lo aveva assolto dai capi F) ed H) perché il fatto non sussiste; aveva revocato le relative statuizioni civili e confermato invece la condanna per i fatti di cui ai capi D) ed E) rideterminando la pena, con le già ritenute circostanze attenuanti generiche e la continuazione, in anni 2 di reclusione ed euro 1.000 di multa, concedendo il beneficio della sospensione condizionale; aveva inoltre confermato le statuizioni civili relative a tali capi;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
3.1 violazione di legge (con riguardo all’art. 603 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta maggiore attendibilità della consulenza grafologica prodotta dalla parte civile: ripercorse le diverse ricostruzioni della vicenda proposte dall’accusa e dalla difesa, segnala che il Tribunale aveva seguito la prima privilegiando, in particolare, la consulenza grafologica prodotta dalla parte civile; aggiunge che la Corte d’appello ha disatteso la richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la nomina di un perito terzo; segnala, inoltre, la illogicità della motivazione con cui i giudici di merito hanno dato rilievo alla consulenza della parte civile sul rilievo secondo cui la difesa non aveva potuto disporre di saggi grafici ad essa inaccessibili;
3.2 mancanza di motivazione con riguardo al delitto di truffa di cui al capo B) in danno di NOME COGNOME con riguardo alle argomentazioni difensive: segnala il carattere meramente apparente della motivazione iessendosi la Corte d’appello limitata a condividere l’apprezzamento del primo giudice senza confrontarsi con gli argomenti difensivi relativi sia alla asserita sproporzione del compenso che alla identità del COGNOME rispetto alle prestazioni erogate dalla società RAGIONE_SOCIALE nonché alle altre deduzioni indicate;
3.3 mancanza di motivazione in ordine alla domanda di rinnovazione della istruttoria con riguardo alla missiva di reclamo all’RAGIONE_SOCIALE: segnala la assenza di motivazione, dal punto di vista anche meramente grafico, sul profilo della asserita predisposizione della missiva di reclamo a falsa firma del COGNOME e sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria in appello;
3.4 vizio di motivazione e violazione di legge con riguardo alla maggiore attendibilità della consulenza grafologica della parte civile quanto al capo E): segnala come,anche in tal caso ) la Corte d’appello abbia liquidato l’argomento dando rilievo alla consulenza della parte civile eludendo in tal modo il dovere di rinnovazione della istruttoria dibattimentale in presenza dei relativi presupposti fattuali;
3.5 vizio di motivazione in relazione al riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti: evidenzia il travisamento in cui è incorso il giudice d’appello, laddove ha omesso di affrontare la doglianza difensiva sull’erroneo presupposto del già intervenuto riconoscimento RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche ad opera del giudice di primo grado che, al contrario, le aveva escluse;
3.6 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli artt. 133 e 81 cod. pen.: segnala la assoluta carenza di motivazione quanto alla pena base, fissata nel triplo del minimo edittale avendo inoltre, la Corte territoriale, trascurato una serie di elementi segnalati dalla difesa con il quattordicesimo motivo di appello, idonei ad incidere positivamente nella commisurazione finale del trattamento sanzionatorio; aggiunge che l’aumento per la continuazione è del tutto immotivato;
la Procura Generale ha trasmesso le proprie conclusioni scritte insistendo per la inammissibilità del ricorso;
in data 25.9.2024 le parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno trasmesso le proprie conclusioni scritte associandosi alla richiesta di inammissibilità del ricorso formulata dal PG ed insistendo per la condanna alle spese nella misura indicata nella allegata notula.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio per rispondere di diversi episodi di truffa ed appropriazione indebita poste in essere nell’ambito della sua attività professionale di broker assicurativo.
Per alcune di tali condotte, già in primo grado, si era preso atto dell’intervenuta remissione della querela; per altre, è stata invece la Corte d’appello ad affermare la improcedibilità dell’azione penale per assenza di valida querela ovvero, in altri casi, ad assolvere l’imputato per insussistenza del fatto; negli altri casi, e salvi i capi d) ed e), i giudici bolognesi hanno d intervenuta prescrizione del reato.
2,In relazione ai fatti descritti ai capi d) ed e), tuttavia, la responsabilità d COGNOME è stata affermata all’esito di una valutazione conforme, nei due gradi di merito, RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie.
2.1 La vicenda di cui al capo d), puntualmente ricostruita dal primo giudice (pagg. 11-14), era emersa a seguito RAGIONE_SOCIALE richieste di disinvestinnento RAGIONE_SOCIALE polizze sottoscritte dal COGNOME tramite l’odierno ricorrente seguita dalla loro liquidazione che tuttavia, non aveva compreso due di esse, sottoscritte per un importo complessivo di 650.000 eurcyomma che il COGNOME, di fronte alle pressanti richieste del COGNOME, e tramite il proprio legale, aveva assunto essere stata trattenuta a titolo di compensi per le proprie prestazioni professionali allegando, a conforto, le richieste di annullamento RAGIONE_SOCIALE polizze (sottoscritte pochi giorni prima) recanti la firma del COGNOME ma di cui questi aveva disconosciuto la paternità.
La difesa aveva prodotto una consulenza grafologica eseguita in un processo civile che aveva attestato la genuinità RAGIONE_SOCIALE firme ma che, tuttavia, il primo giudice aveva giudicato non affidabile a fronte dell’opposto risultato cui era pervenuta la consulenza calligrafica espletata e prodotta a cura della parte civile e che aveva potuto giovarsi della comparazione con i saggi grafici rilasciati dalla parte.
In ogni caso, il Tribunale aveva valorizzato la complessiva illogicità della ricostruzione proposta dalla difesa con la corresponsione di un compenso per la importante somma di 650.000 euro che sarebbe stato riconosciuto per prestazioni professionali legate a polizze dismesse il cui importo il COGNOME sarebbe stato autorizzato a trattenere da parte del COGNOME che, d’altro canto, non era nemmeno il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE.
La stessa dinamica aveva caratterizzato la vicenda descritta al capo e) della rubrica che aveva avuto, in primo grado, il medesimo sviluppo processuale con esito decisorio analogo.
2.2 Con l’atto d’appello la difesa aveva insistito per l’assoluzione dell’imputato in relazione alla truffa ascrittagli in danno del COGNOME (cfr., motivo n. pagg. 22-23 dell’atto di gravame); l’impugnazione era corredata da una richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale con il conferimento di un incarico peritale finalizzato ad accertare la genuinità RAGIONE_SOCIALE sottoscrizioni a nome del COGNOME; la disa aveva inoltre ribadito come la ricostruzione offerta dal COGNOME non fosse per nulla illogica e come il compenso indicato non fosse eccessivo rispetto all’attività svolta; aveva ,inoltre, insistito anche sulla rilevanza del documento asseritamente trasmesso dal COGNOME all’RAGIONE_SOCIALE sollecitando perciò, anche su questo punto, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Considerazioni e richieste sostanzialmente analoghe erano state avanzate anche con riguardo al capo e) (cfr., il motivo n. 5, sviluppato a pag. 24 dell’atto di gravame).
Con il dodicesimo motivo, infine, la difesa aveva sollecitato il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche da ritenere, inoltre, prevalenti sulle contestate aggravanti.
2.3 Ritiene il collegio che la Corte d’appello ha fornito, ai rilievi difensi formulati dal COGNOME, una risposta complessivamente esaustiva in fatto e corretta in diritto.
Quanto alla vicenda relativa al COGNOME (cfr., pagg. 28-29 della sentenza impugnata), la Corte d’appello, con motivazione prettamente “di merito”, ha condiviso il giudizio del primo giudice circa la maggiore affidabilità della consulenza della parte civile rispetto a quella della difesa,reputando perciò non necessario un approfondimento istruttorio con la nomina di un perito.
In ogni caso, la Corte ha spiegato che la documentazione prodotta dal COGNOME doveva necessariamente ritenersi falsa “pur prescindendo dalla prova scientifica” (cfr., pag. 28) ; risultando non credibile che l’importo di 650.000 euro corrispondesse a compensi assolutamente spropositati ed immotivati avuto riguardo, peraltro, a prestazioni per le quali è prevista una specifica e proporzionale provvigione e risultando del tutto illogico il pagamento da parte della RAGIONE_SOCIALE di prestazioni rese in favore della RAGIONE_SOCIALE; altrettanto illogica è stata considerata la dismissione di premi per 650.000 dopo appena due giorni, con una operazione che, per altro verso, non risulta nemmeno annotata nella documentazione contabile della RAGIONE_SOCIALE.
Considerazioni simili i giudici di secondo grado hanno sviluppato quanto ai rilievi relativi alla vicenda “COGNOME” (cfr., ivi, pag. 29).
Detto questo, va allora rilevato che il primo il quarto motivo del ricorso, con cui la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al diniego opposto dalla Corte d’appello alla richiesta di espletamento di una perizia grafologica, sono manifestamente infondati e, in realtà, articolati con doglianze non consentite in questa sede, avendo i giudici di secondo grado motivato in termini congrui ed esaustivi ed avendo espresso una valutazione prettamente di merito sulla non indispensabilità del ricorso a ad una perizia che, in presenza di una motivazione congrua e non manifestamente illogica /non è censurabile in questa sede (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Bommarito, Rv. 257062 – 01).
Non è inutile ricordare, d’altra parte, che,la mancata effettuazione di un accertamento peritale,non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi, in realtà, di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità RAGIONE_SOCIALE parti e rimesso alla discrezionalità de giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr., Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 – 01).
Il secondo ed il terzo motivo, quest’ultimo strettamente legato al primo, finiscono per riproporre questioni di merito già adeguatamente vagliate nei due gradi,dovendosi peraltro ribadire che si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungono a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criter utilizzati nella valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595); per altro verso, e con specifico riguardo alla lamentata assenza – anche “grafica” – di motivazione sulla censura relativa alla paternità della missiva inviata dall’RAGIONE_SOCIALE che l’emersione di una criticità su una RAGIONE_SOCIALE molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per
effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (cfr., Sez. 1, Sentenza n. 46566 del 21/02/2017, M. ed altri Rv. 271227);
E’ pacifico , d’altra parte, che è preclusa al giudice di legittimità l’operazione di rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati da giudice del merito (cfr., Sez. 6 · , n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148, in cui la Corte ha affermato che il controllo del giudice di legittimità, pur dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen. ad opera della L. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale “esistenza” della motivazione ed alla “resistenza” logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; conf., da ultimo, Sez. 3 , n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01, in cui la Corte ha ribadito che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza RAGIONE_SOCIALE argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Il quinto motivo, ancora, risulta aspecifico.
La difesa, infatti, deduce vizio di motivazione sub specie del travisamento in cui sarebbe incorso il giudice d’appello che ha omesso di affrontare la doglianza difensiva con cui era stato sollecitato il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, sull’erroneo presupposto secondo cui tale riconoscimento sarebbe stato
già operato dal giudice di primo grado che, al contrario, le aveva invece motivatamente denegate.
Il ricorso, infatti, nel richiamare la motivazione della sentenza di primo grado (cfr., pag. 31 della sentenza di primo grado),laddove il Tribunale aveva esposto le ragioni che non consentivano a suo avviso di riconoscere al COGNOME le circostanze attenuanti generiche, lamenta l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nell’affermare che, al contrario, le predette attenuanti erano state riconosciute.
Il motivo, tuttavia, riflette la aspecificità della censura articolata con l’at d’appello laddove non si era tenuto conto che, ad onta di quanto esposto nella parte motiva, nel dispositivo il Tribunale aveva invece effettivamente riconosciuto le attenuanti generiche, dato che la difesa aveva del tutto trascurato e che rendeva il motivo di gravame inammissibile per genericità; ed è pacifico, che il vizio di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (cfr., Sez. 5 , n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 13/03/2015, COGNOME, Rv. 262700 01).
Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
A tal proposito, va infatti opportunamente ribadito che la graduazione della pena, in tutte le sue componenti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’ha esercitata, sia per fissare la pena base che per l’aumento operato per la continuazione, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., risultando perciò non consentita le la censura che nel giudizio di cassazione miri, di fatto, ad una nuova valutazione della sua congruità e la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (cfr., tra le tante. Sez. 2, 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243);,
Si è, inoltre, ritenuto che l’impegno motivazionale debba tener conto, quale parametro di riferimento, la media edittale; si è affermato che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (cfr., Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288, in cui la Corte ha peraltro precisato che la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il
numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo).
Diversamente, l’irrogazione di una pena base pari o superiore alla media edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (cfr., Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255153; conf., Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932).
A maggior ragione, l’irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni dei tipo: “pen congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (cfr., Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356).
Nel caso di specie, la complessiva ricostruzione della vicenda come operata dai giudici di secondo grado ha portato costoro a valutare congrua la pena in relazione alla oggettiva gravità dei fatti.
Quanto all’aumento per la continuazione, è sufficiente ricordare che le SS.UU., nella sentenza “Pizzone”, hanno richiamato e condiviso Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., non massimata sul punto, in cui si era spiegato chei «se per i reati satellite è irrogata una pena notevolmente inferiore al minimo edittale della fattispecie legale di reato, l’obbligo di motivazione si riduce, mentre, qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbligo motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale e/o quando abbia applicato una misura di pena in aumento sproporzionata, pur in presenza RAGIONE_SOCIALE medesime fattispecie dì reato».
In definitiva, la associazione di una pena base determinata nella misura minima edittale ed un aumento per la continuazione di entità esigua esclude l’abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. e dimostra, per implicito, che è stata operata la valutazione degli elementi obiettivi e subiettivi del reato risultanti dal contesto complessivo della decisione.
Qualora, per contro, la pena per il reato più grave sia stata quantificata in termini prossimi o coincidenti con il minimo edittale ma quella fissata in aumento per la continuazione sia tale da configurare, sia pure in astratto, una ipotesi di cumulo materiale dei reati, l’obbligo motivazionale del giudice si fa più stringente,
dovendo egli specificare dettagliatamente le ragioni che lo hanno indotto a tale decisione.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE, in assenza di condizioni d’esonero.
Il COGNOME va inoltre condannato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e di assistenza, in questa fase, RAGIONE_SOCIALE costituite parti civili, liquidate come i dispositivo ed alla luce della notula e RAGIONE_SOCIALE tariffe vigenti.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.117,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10.10.2024