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Ricorso inammissibile: limiti Cassazione su furto

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile avverso una condanna per furto. I motivi risiedono nella richiesta di riqualificare il reato in ricettazione, che esula dai poteri della Corte non potendo essa riesaminare il merito dei fatti, e nella mera ripetizione di censure già respinte in appello.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione non può Riesaminare i Fatti

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità, ribadendo perché un ricorso inammissibile viene dichiarato tale. Il caso riguarda una condanna per furto aggravato, ma il fulcro della decisione non è il reato in sé, quanto la natura dei motivi presentati dall’imputata, giudicati non idonei a superare il vaglio della Suprema Corte.

I Fatti del Processo

Una donna veniva condannata sia in primo grado che in appello per il reato di furto aggravato, ai sensi degli articoli 624-bis e 61, n. 5, del codice penale. Ritenendo ingiusta la condanna, proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza per contestare la decisione della Corte d’Appello di Roma.

I Motivi del Ricorso e il Conseguente Ricorso Inammissibile

La difesa dell’imputata ha articolato il ricorso su due punti fondamentali, entrambi però destinati a scontrarsi con i principi consolidati della procedura penale che regolano il giudizio in Cassazione.

La Richiesta di Riqualificazione del Reato

Il primo motivo mirava a ottenere una riqualificazione del reato da furto a ricettazione. Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello aveva errato nel non considerare questa diversa configurazione giuridica dei fatti. Tuttavia, una simile richiesta implica necessariamente una nuova valutazione delle prove e delle circostanze di fatto, un’attività che è di esclusiva competenza dei giudici di merito (primo grado e appello).

La Ripetizione delle Censure d’Appello

Con il secondo motivo, la ricorrente si limitava a riproporre le stesse censure già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Questo approccio non teneva conto della motivazione fornita dai giudici di secondo grado, risultando in una critica generica e ripetitiva, priva della specificità richiesta per un valido motivo di ricorso in Cassazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su principi procedurali ben definiti. La motivazione dell’ordinanza è un compendio sui limiti invalicabili del giudizio di legittimità.

La Corte ha innanzitutto ribadito che non le è consentito “sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi”. Il suo ruolo non è quello di un terzo giudice del fatto, ma di un organo che vigila sulla corretta applicazione della legge. Chiedere di riconsiderare le prove per arrivare a una diversa qualificazione del reato significa, di fatto, chiedere un nuovo giudizio di merito, cosa che esula completamente dalle sue funzioni. La Corte cita a sostegno di questo principio una storica sentenza delle Sezioni Unite (sentenza Jakani del 2000), un faro nella giurisprudenza in materia.

Inoltre, la Corte ha sottolineato come il secondo motivo fosse viziato da genericità. Limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già vagliate e respinte in appello, senza criticare specificamente la logica e la correttezza della motivazione della sentenza impugnata, equivale a non presentare un vero motivo di ricorso. È necessario, infatti, che il ricorrente si confronti con la decisione di secondo grado, evidenziandone le presunte falle logiche o giuridiche, e non ignori semplicemente le ragioni addotte dal giudice precedente.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Come conseguenza, la condanna della ricorrente diviene definitiva. Inoltre, la Corte la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, una sanzione prevista per chi adisce la Corte con ricorsi palesemente infondati.

Questa ordinanza serve da monito: il ricorso in Cassazione non è un’ulteriore opportunità per discutere i fatti. È uno strumento tecnico che richiede motivi specifici, pertinenti a violazioni di legge o a vizi logici manifesti della motivazione. Tentare di ottenere una nuova valutazione delle prove si traduce inevitabilmente in un ricorso inammissibile, con conseguente aggravio di spese per il ricorrente.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte lo ha dichiarato inammissibile perché il primo motivo richiedeva una nuova valutazione dei fatti per riqualificare il reato, compito che non spetta alla Cassazione, e il secondo motivo era una semplice ripetizione di argomenti già respinti in appello, senza una critica specifica alla motivazione della sentenza impugnata.

La Corte di Cassazione può cambiare la qualificazione di un reato, ad esempio da furto a ricettazione?
No, non se ciò richiede un riesame delle prove e delle circostanze di fatto. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Può intervenire sulla qualificazione giuridica solo se emerge un errore di diritto evidente dagli atti, senza necessità di rivalutare le prove.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Comporta che la sentenza impugnata diventa definitiva e non può più essere contestata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come penalità per aver presentato un ricorso infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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