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Ricorso inammissibile: limiti appello patteggiamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata che, dopo una sentenza di patteggiamento per i reati di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p., aveva lamentato la mancata applicazione dello stato di necessità. La Corte ha ribadito che i motivi di ricorso contro le sentenze di patteggiamento sono tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. e che una doglianza generica non può essere ricondotta al vizio di erronea qualificazione giuridica del fatto, se non in caso di errore palese ed immediato.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Dopo il Patteggiamento: i Limiti Fissati dalla Cassazione

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui confini dell’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di patteggiamento. La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile, ribadendo che i motivi di appello sono strettamente circoscritti dalla legge. Questo caso evidenzia come non sia possibile utilizzare il ricorso per sollevare questioni generiche che esulano dai vizi specificamente deducibili.

I Fatti del Caso

Una persona veniva condannata dal Tribunale di Milano, su concorde richiesta delle parti (patteggiamento), alla pena di otto mesi di reclusione e 80,00 euro di multa per i reati previsti dagli articoli 633 (Invasione di terreni o edifici) e 639-bis (Deturpamento e imbrattamento di cose altrui) del codice penale.

Contro questa sentenza, il difensore dell’imputata proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un unico motivo: l’omessa rilevazione da parte del giudice di merito di una causa di non punibilità, specificamente lo stato di necessità previsto dall’articolo 54 del codice penale.

La Decisione della Corte: il Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2364/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda sull’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, una norma che tipizza in modo rigoroso i vizi che possono essere fatti valere in sede di legittimità contro una sentenza di patteggiamento. La ricorrente, secondo la Corte, ha proposto motivi non consentiti, tentando di introdurre una valutazione di merito (la sussistenza dello stato di necessità) in una sede dove non è permessa.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha articolato la sua motivazione su due pilastri fondamentali, strettamente interconnessi.

I Limiti dell’Appello Dopo il Patteggiamento

Il primo punto, e il più dirimente, riguarda la natura stessa del patteggiamento e i limiti alla sua impugnabilità. L’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p. elenca tassativamente i motivi per cui si può ricorrere in Cassazione. Tra questi non rientra una generica rivalutazione dei fatti o la deduzione di cause di non punibilità non immediatamente evidenti dagli atti. La difesa ha tentato di aggirare questo ostacolo cercando di inquadrare la questione come un’erronea qualificazione giuridica del fatto.

L’Erronea Qualificazione Giuridica del Fatto: un Vizio Manifesto

Il secondo pilastro della motivazione chiarisce quando si possa effettivamente parlare di “erronea qualificazione giuridica del fatto”. La giurisprudenza di legittimità, richiamata nell’ordinanza, è costante nell’affermare che tale vizio ricorre solo in casi di “errore manifesto”. Questo si verifica quando la qualificazione giuridica data dal giudice di merito appare, con “indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità”, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione. Nel caso di specie, la questione dello stato di necessità non presentava affatto questi caratteri di manifesta evidenza, ma richiedeva una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, specialmente dopo un accordo tra le parti.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: l’accettazione del patteggiamento comporta una significativa rinuncia alle facoltà di impugnazione. Il ricorso per Cassazione non può diventare uno strumento per rimettere in discussione l’accordo raggiunto tra accusa e difesa, se non per i vizi specifici e tassativamente previsti dalla legge. La decisione serve da monito: la scelta del rito alternativo deve essere ponderata, poiché preclude la possibilità di sollevare in seguito questioni di merito, come la sussistenza di un’esimente, a meno che non emergano con assoluta e manifesta evidenza dagli atti processuali.

È possibile appellare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, limita strettamente i motivi per cui si può ricorrere in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento, escludendo contestazioni generiche o di merito.

Perché in questo caso la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché sollevava motivi non consentiti dalla legge per questo tipo di impugnazione, ovvero la generica deduzione della mancata applicazione dello stato di necessità (art. 54 c.p.), che non rientra tra i vizi tassativamente previsti.

Quando si può contestare un’erronea qualificazione giuridica del fatto in un ricorso post-patteggiamento?
Secondo la Corte, si può parlare di erronea qualificazione giuridica solo in caso di errore manifesto, cioè quando la classificazione del reato risulta, con immediata evidenza e senza alcuna possibilità di interpretazione, palesemente sbagliata rispetto ai fatti descritti nel capo di imputazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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