Ricorso Inammissibile: Quando le Censure sui Fatti non Bastano in Cassazione
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio dei limiti del giudizio di legittimità, ribadendo un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso inammissibile è la sanzione per chi tenta di trasformare la Suprema Corte in un terzo grado di giudizio di merito. L’analisi del caso, che nasce da un’accusa per percosse e minacce, ci permette di comprendere perché le critiche sulla valutazione delle prove non trovano spazio in questa sede.
Il Contesto del Caso Giudiziario
La vicenda processuale ha origine da una sentenza di assoluzione emessa dal Giudice di Pace e successivamente confermata dal Tribunale. L’imputata era stata assolta dall’accusa di percosse e minacce ai danni della parte civile con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Non soddisfatta della decisione, la parte civile ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a diversi motivi volti a contestare la valutazione delle prove testimoniali e documentali operata dai giudici di merito. L’obiettivo era ottenere un annullamento della sentenza di assoluzione e una nuova valutazione del caso.
I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Prova
I motivi presentati dalla ricorrente si concentravano principalmente su presunti errori nella gestione e valutazione del materiale probatorio. In particolare, si contestava:
1. La mancata ammissione di una testimonianza indiretta di un agente di polizia giudiziaria.
2. Un’erronea applicazione della legge penale in relazione alla prova dichiarativa offerta dalla stessa parte civile, dal suo avvocato e da un altro testimone.
3. L’omessa valutazione di un certificato medico.
In sostanza, la ricorrente chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e giungere a una conclusione diversa da quella dei giudici di merito.
La Decisione della Cassazione: il Principio del Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile nella sua interezza. Questa decisione si fonda sulla netta distinzione tra il giudizio di merito, che si occupa di accertare come si sono svolti i fatti, e il giudizio di legittimità, di competenza della Cassazione, che ha il solo compito di verificare la corretta applicazione della legge.
I giudici hanno qualificato la quasi totalità dei motivi di ricorso come “mere doglianze in punto di fatto” e “censure in punto di motivazione inammissibili” ai sensi dell’art. 606, comma 2-bis del codice di procedura penale. Questo significa che la ricorrente non ha evidenziato errori di diritto, ma ha semplicemente proposto una propria, differente, lettura dei fatti e delle prove, attività preclusa in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha analizzato punto per punto i motivi del ricorso, smontandoli sulla base di principi consolidati.
Per quanto riguarda la testimonianza indiretta, i giudici hanno chiarito che il riferimento a dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni testimoniali da una persona informata sui fatti rende tali dichiarazioni processualmente inutilizzabili, confermando la correttezza della decisione del giudice di merito. Il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 305/2008 non era pertinente al caso di specie.
Per tutti gli altri motivi, la Corte ha ribadito che la valutazione della credibilità dei testimoni, l’analisi del contenuto delle loro dichiarazioni e l’apprezzamento del valore probatorio di un certificato medico rientrano nell’esclusiva competenza del giudice di merito. Tentare di ottenere una nuova valutazione di questi elementi in Cassazione costituisce una censura di fatto, come tale inammissibile.
Conclusioni
L’ordinanza conferma che la Corte di Cassazione non è un “terzo giudice” dei fatti. Il suo ruolo è quello di guardiano della legge, non di revisore delle prove. Un ricorso, per avere successo, deve basarsi su vizi di legittimità chiaramente identificabili (es. erronea applicazione di una norma, vizi procedurali), non sul semplice disaccordo con la ricostruzione fattuale operata nei gradi precedenti. La dichiarazione di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, serve a sanzionare l’abuso dello strumento processuale e a preservare la funzione propria del giudizio di legittimità.
Perché il ricorso della parte civile è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava su mere lamentele riguardanti la valutazione dei fatti e delle prove (come la credibilità dei testimoni e il valore di un certificato medico), attività che spetta esclusivamente ai giudici di merito e non alla Corte di Cassazione, la quale si occupa solo di questioni di diritto.
La testimonianza di un agente di polizia su quanto riferito da un’altra persona è sempre valida?
No. Secondo l’ordinanza, la testimonianza indiretta di un agente di polizia giudiziaria che riferisce dichiarazioni rese da un’altra persona durante la fase delle sommarie informazioni testimoniali è inutilizzabile nel processo, in base all’art. 195, comma 4, del codice di procedura penale.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La parte che ha presentato il ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con motivi non consentiti dalla legge. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31084 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31084 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/02/2024 del TRIBUNALE di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NUMERO_DOCUMENTO
Rilevato che la parte civile COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza del Tribunale ordinario di Lecce che ha confermato la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Lecce con la quale NOME era stata assolta perché il fatto non sussiste dai reati di cui agli artt. 81, 581 e 612 cod. pen. ai danni, appunto, della COGNOME;
Rilevato che il primo motivo del ricorso – con cui la parte ricorrente denunzia nullit della sentenza per inosservanza della sentenza costituzionale del 30 luglio 2008 n. 305, in relazione all’art. 195 comma 4 cod. proc. pen. – è manifestamente infondato, atteso che il riferimento alla testimonianza indiretta operato dalla Corte di merito è corretto ( dichiarazioni erano inutilizzabili), dal momento che il teste di p.g. invocato dalla Cassan avrebbe dovuto riferire su dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni testimoniali da persona informata sui fatti;
Rilevato che il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso – con cui la ricorre denunzia erronea applicazione della legge penale in relazione alla prova dichiarativa offerta, rispettivamente, dalla parte civile ‘COGNOME NOME, dall’avvocato COGNOME NOME, dalla teste COGNOME – il quinto motivo del ricorso – con cui la ricorrente denun inosservanza della legge penale in riferimento all’inapplicabilità dell’art. 192 commi 3 e cod. proc. pen. – nonché, infine, il sesto motivo del ricorso – con cui la ricorre denunzia inosservanza della legge penale quanto all’omessa valutazione del certificato medico del 30.03.2017 – non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità in quanto costituiti da mere doglianze in punto di fatto e, al più, da censure in punto di motivazion inammissibili ex art. 606, comma 2-bis cod. proc. pen.;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, 1’8 luglio 2024.