Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20975 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20975 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 28/05/2002
avverso la sentenza del 17/01/2023 del GIP TRIBUNALE DI L’AQUILA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di L’Aquila, con la sentenza indicata in epigrafe, ha applicato la pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di NOME COGNOME in relazione a plurime violazioni degli artt. 81, comma 2, 110 cod. pen. e 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per ‘illecita cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina commesse in L’Aquila nei mesi di febbraio e marzo 2021.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando la sentenza per violazione di legge a vizio di motivazione in relazione all’art. 129 cod. proc. pen. perché dalle emergenze processuali esistenti al momento di applicazione della pena non emergevano elementi sufficienti ad affermare la responsabilità penale dell’imputato. Il
giudice, si assume, avrebbe avuto l’obbligo di assolvere il COGNOME, non risultando la prova positiva dell’innocenza né l’evidenza circa la colpevolezza dello stesso. Inoltre, la difesa sottolinea come il dolo caratterizzante il reato contestato non possa esaurirsi in un mero nesso psicologico tra l’agente e il fatto, essendo necessaria la consapevolezza che il comportamento sia offensivo del bene protetto dalla norma.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Si tratta di ricorso proposto avverso una sentenza applicativa di pena (art. 444 cod. proc. pen.), per un motivo non deducibile (carenza della motivazione) ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (inserito dall’art. 1, comma 50, legge 23 giugno 2017, n.103).
A ciò si aggiunga che, come già affermato, in tema di patteggiamento, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., atteso che l’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen. limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278337 – 01).
Il Collegio, pur constatando che la pronuncia impugnata è stata emessa in data 17 gennaio 2023 e che, alla data odierna, risulta decorso il termine di procedibilità fissato dall’art. 344 bis cod. proc. pen., osserva quanto segue.
Il comma 2 dell’art. 2 legge 27 settembre 2021, n. 134, alla lettera a), ha introdotto nel codice di rito penale l’art. 344 bis (rubricato «Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione») ai sensi del quale costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale la mancata definizione del giudizio d’appello entro il termine di due anni (comma 1) e del giudizio di Cassazione entro il termine di un anno (comma 2). Tale causa di improcedibilità è altresì definita «prescrizione processuale» per distinguerla dal diverso istituto della c.d. «prescrizione sostanziale» disciplinata dagli artt. 157 ss. cod. pen. e incide, non più sul reato, ma sul potere statuale di proseguire “nell’esame del merito e di giungere ad una condanna
definitiva, caducando la precedente pronuncia” (Rel. illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150)
Secondo un principio costantemente recepito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, 266818 – 01; sull’assoluta genericità dei motivi, Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164 – 01; sulla manifesta infondatezza dei motivi, Sez. U, n.15 del 30/06/1999, Piepoli, Rv. 213981 01 e Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01; sui motivi non consentiti o non dedotti in appello, Sez. U, n. 21 del
11/11/1994, COGNOME, Rv. 199903-01), la presentazione di un ricorso per cassazione invalido comporta l’inammissibilità del medesimo, osta alla costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del “giudicato sostanziale”, con la conseguenza che il giudice, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità.
Ci si deve chiedere se, anche rispetto all’istituto dell’improcedibilità, possa continuare ad assumere rilievo il primato della causa di inammissibilità (con evidente esclusione dei casi di tardività del ricorso per i quali il giudicato impedisce l’operativit dell’improcedibilità), e, con esso, la distinzione tra ricorsi ammissibili e ricor inammissibili, laddove solo i primi sono in grado di radicare il valido rapporto processuale e, di conseguenza, di attribuire rilievo al decorso del termine di prescrizione (sia sostanziale che processuale).
Il Collegio ritiene che non vi siano ragioni per non estendere anche alla c.d. prescrizione processuale i su indicati principi, già operanti con riguardo alla c.d. prescrizione sostanziale, posto che l’inammissibilità impedisce a priori la corretta instaurazione del giudizio di impugnazione, invalidando tutti gli atti in ipotesi già compiuti prima della sua declaratoria e considerato che, d’altro canto, l’improcedibilità, pur precludendo la pronuncia nel merito, presuppone un’impugnazione regolarmente proposta e, quindi, ammissibile, definendo il giudizio d’impugnazione con una decisione in rito.
L’accertamento dell’inammissibilità dell’impugnazione, in altre parole, rende inoperante l’improcedibilità in quanto ciò che rileva non è il momento in cui l’inammissibilità è accertata, ma quello in cui essa si realizza; la circostanza che l’inammissibilità sia dichiarata dopo il decorso dei termini di cui all’art. 344 bis cod. proc. pen. non esclude che logicamente preceda tale decorso ogni qualvolta la fase, protratta oltre i termini massimi, si sia avviata mediante un atto inammissibile. L’esigenza di ragionevole durata dei processi sottesa all’istituto dell’improcedibilità non può, infatti, sopravanzare la necessità di rispettare le regole sulla corretta instaurazione del rapporto processuale che presiedono all’introduzione dei giudizi di impugnazione.
In definitiva, gli unici casi nei quali, nonostante l’inammissibilità del ricorso, a giudice dell’impugnazione sia consentita una pronuncia diversa, rimangono quelli della
abolitio criminis, della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma
incriminatrice formante oggetto dell’incriminazione, dell’ipotesi in cui debba essere dichiarata l’estinzione del reato a norma dell’art. 150 cod. pen. (Sez. U, COGNOME, cit.).
Secondo quanto già, condivisibilnnente, affermato in precedenti pronunce di questa Corte, pertanto, deve ritenersi che «in tema di impugnazioni, l’inammissibilità
del ricorso per cassazione, precludendo la costituzione di un valido rapporto processuale, impedisce la declaratoria di improcedibilità del giudizio per superamento
del termine di durata massima di un anno di cui all’art. 344
bis cod. proc. pen. inserito
dall’art. 2, comma 2 lett. a), legge 27 settembre 2021, n. 134», (Sez. 2, n. 40349 del
27/06/2024, Piano, Rv. 287085 – 01; Sez. 7, Ord. n. 43883 del 19/11/2021, Cusmà
COGNOME, Rv. 283043 – 01).
4. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000,
n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 13/05/2025.