Ricorso inammissibile: l’errore di calcolo della pena
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha ribadito un principio fondamentale del processo penale: un’impugnazione deve basarsi su presupposti fattuali e giuridici corretti. In caso contrario, la conseguenza è la dichiarazione di ricorso inammissibile, con la conseguente condanna al pagamento delle spese. Analizziamo questa decisione per comprendere l’importanza della precisione nella formulazione dei motivi di ricorso.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte di Appello di Catania. Quest’ultima, in seguito a un precedente annullamento con rinvio da parte della stessa Corte di Cassazione, aveva rideterminato la pena inflitta a un’imputata in un anno e dieci giorni di reclusione e 2.554,00 euro di multa.
La difesa della ricorrente ha impugnato questa nuova decisione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse commesso un errore nel calcolo della pena pecuniaria relativa a uno specifico capo d’imputazione. Secondo la tesi difensiva, i giudici di secondo grado avrebbero applicato una riduzione diversa per la pena detentiva (ridotta della metà) e per quella pecuniaria (ridotta solo di un terzo), creando così una disparità di trattamento ingiustificata.
La questione sottoposta alla Corte
Il nucleo del ricorso si concentrava su questa presunta incongruenza nel calcolo della riduzione della pena. La difesa sosteneva che, a fronte di una pena base di sei mesi di reclusione e 180,00 euro di multa, la Corte territoriale avesse ridotto la reclusione a tre mesi ma la multa a 80,00 euro invece che a 60,00 euro, applicando riduzioni non omogenee.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso e li ha ritenuti manifestamente infondati, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si basa su una semplice, ma decisiva, verifica del contenuto della sentenza impugnata. Contrariamente a quanto affermato dalla difesa, non vi era alcuna discrepanza nel calcolo della pena.
La Corte di Cassazione ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione prevista proprio per i casi di ricorsi inammissibili che impegnano inutilmente il sistema giudiziario.
Le Motivazioni
Il ragionamento della Corte è stato lineare e si è fondato sulla lettura diretta della sentenza di appello. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la difesa avesse proposto una doglianza basata su un presupposto fattuale “non corrispondente al vero”.
La sentenza impugnata, infatti, a pagina 4, specificava chiaramente che la pena base per il reato in questione, quantificata in sei mesi di reclusione e 180,00 euro di multa, doveva essere “ridotta di un terzo per il tentativo ex art. 56 c.p. a mesi 4 e € 120 […]”.
Di conseguenza, la Corte d’Appello aveva applicato la medesima riduzione di un terzo sia alla pena detentiva (da 6 a 4 mesi) sia a quella pecuniaria (da 180 a 120 euro). L’argomentazione della difesa, che parlava di una riduzione della metà per la pena detentiva, era quindi palesemente errata e basata su una lettura distorta del provvedimento.
Le Conclusioni
Questa ordinanza sottolinea un principio cruciale per chiunque intenda presentare un ricorso in Cassazione: la meticolosità e la correttezza fattuale dei motivi di impugnazione sono requisiti imprescindibili. Proporre un ricorso basato su un’errata interpretazione o rappresentazione della decisione impugnata non solo non ha alcuna possibilità di successo, ma espone il ricorrente a conseguenze economiche significative.
La dichiarazione di inammissibilità serve a scoraggiare impugnazioni dilatorie o fondate su argomenti pretestuosi, garantendo che le risorse della Suprema Corte siano dedicate all’esame di questioni giuridiche rilevanti e correttamente prospettate.
Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava su un presupposto di fatto errato. La difesa sosteneva una disparità nella riduzione della pena detentiva e pecuniaria che, alla verifica della sentenza impugnata, è risultata inesistente.
Qual era l’errore che la difesa attribuiva alla Corte d’Appello?
La difesa affermava che la Corte d’Appello avesse applicato riduzioni di pena diverse per la reclusione e per la multa, mentre la Corte di Cassazione ha accertato che a entrambe le pene era stata applicata la stessa riduzione di un terzo.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile in questo caso?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20295 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20295 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso la sentenza del 13 ottobre 2023, con la quale la Corte di appello di Catania, pronunciandosi a seguito dell’annullamento con rinvio disposto da questa Corte, in riforma della decisione impugnata, rideterminava il trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME in un anno, dieci giorni di reclusione e 2.554,00 euro di multa.
Ritenuto che, secondo la difesa del ricorrente, la Corte di appello di Catania, procedendo alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio applicato a NOME COGNOME, quantificava la pena pecuniaria per il reato di cui al capo A in 80,00 euro anziché in 60,00 euro di multa, operando la riduzione di un terzo della pena base, a differenza di quanto disposto per la pena detentiva, quantificata in tre mesi di reclusione, per la quale era stata applicata la riduzione della metà della pena base, stabilità in sei mesi di reclusione.
Ritenuto che non corrisponde al vero che la pena detentiva e quella pecuniaria erano state ridotte in misura differente, risultando entrambe ridotte di un terzo, come evidenziato a pagina 4 della sentenza impugnata, in cui si evidenziava che la pena base per il reato di cui al capo A, quantificata in sei mesi di reclusione e 180,00 euro di multa doveva «essere ridotta di un terzo per il tentativo ex art. 56 c.p. a mesi 4 e C 120 ».
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 maggio 2024.