Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7392 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7392 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 31/01/1959 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 27/07/1971
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso riportandosi alla requisitoria scritta già depositata.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Napoli riformava in senso favorevole agli imputati, limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli, in data 1.6.2016, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME, ciascuno alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, in ordine ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale, loro ascritti ai capi A) e B) dell’imputazione, in relazione al fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarato dal tribunale di Napoli in data 26.2.2014.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con un unico atto di impugnazione, lamentando: 1) vizio di mancanza di motivazione con riferimento alle condotte distrattive contestate al capo a) dell’imputazione. Si deduce, in particolare, che la corte territoriale abbia confermato la condanna di primo grado concordando con il giudizio di sostanziale continuità aziendale tra la società fallita e la “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, nonostante vi fossero elementi che lo escludessero poiché la seconda era stata costituita diverso tempo dopo che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva smesso di operare, prendendo in locazione solo a fine 2012 un proprio stabilimento in un Comune diverso (Casavatore) da quello ove era ubicata la sede della società fallita. Contraddittoria era la prova ricavabile dal d.d.t. della ditta RAGIONE_SOCIALE (documento che indicava lo stabilimento di Casavatore quale luogo di consegna della fornitura di merce ordinata dalla RAGIONE_SOCIALE, effettuata a fine 2011), a fronte delle dichiarazioni dell’amministratore RAGIONE_SOCIALE, COGNOME che aveva affermato che la merce fornita dalla sua azienda veniva usualmente ritirata presso la sede. Ancora, sempre riguardo alla distrazione della merce consegnata dal fornitore RAGIONE_SOCIALE a fine 2011, se ne era affermata la distrazione a favore della “RAGIONE_SOCIALE“, senza che la motivazione avesse dato conto delle ragioni di tale convincimento, formatosi in forza di arbitrarie presunzioni ed in
violazione dei principi espressi da recente pronuncia della Suprema Corte in tema di valutazione della concreta pericolosità del fatto distrattivo (Sez. 1, n. 39674 del 5/05/2023, Di NOME COGNOME, n.m.). Sussiste, inoltre, la violazione dell’art. 522 cod. proc. pen., avendo la corte di appello riconosciuto una condotta distrattiva riguardo alla vendita, dalla fallita alla “RAGIONE_SOCIALE“, di un tornio e di una macchina rivettatrice, ritenendo che non ne fosse stato pagato il prezzo da quest’ultima. In tal modo, gli amministratori della ditta fallita erano stati condannati per un fatto nuovo, non menzionato nell’imputazione, con arbitraria presunzione circa il mancato pagamento, in violazione del principio che pone l’onere di dimostrare gli elementi a carico sulla pubblica accusa; 2) vizio di violazione di legge e mancanza di motivazione riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale contestata al capo b), riconosciuta nonostante dalla relazione del curatore fallimentare risultasse il deposito di buona parte dei libri obbligatori (registri IVA acquisti e vendite, libro ammortizzabili). La condanna per il fatto oggetto di imputazione, costituito dalla sottrazione di tutte le scritture contabili della fallita, già in primo grado, era dunque avvenuta anche in questo caso per un fatto diverso dal contestato e dunque viziata per violazione dell’art. 522 cod. proc. pen; 3) vizio di mancanza di motivazione riguardo al riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto della ditta fallita in capo a COGNOME NOMECOGNOME affermato sulla base delle sole dichiarazioni del teste COGNOME ignorando immotivatamente le dichiarazioni del commercialista e dei dipendenti della società fallita che escludevano tale posizione in capo al medesimo; 4) di violazione di legge e mancanza di motivazione riguardo alla mancata derubricazione dell’imputazione in bancarotta semplice ed al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, invocata già con i motivi d’appello a fronte della meschina dimensione della vicenda e del suo limitato disvalore.
3. Con requisitoria scritta del 22.10.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa
NOME GLYPH COGNOME GLYPH chiede che GLYPH il GLYPH ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Va preliminarmente rilevato che secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di impugnazioni, è applicabile al ricorso per cassazione l’onere formale del deposito di specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, come previsto dall’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. – introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – stante l’esigenza che anche il giudizio di legittimità si svolga nei confronti di un assente “consapevole”, così da limitare lo spazio di applicazione della rescissione del giudicato e dei rimedi restitutori. (In motivazione la Corte ha precisato che non è invece necessaria la contestuale dichiarazione o elezione di domicilio dell’imputato, ove il ricorso sia proposto da un difensore di fiducia abilitato alla difesa davanti alla Corte di cassazione, perché in tal caso all’imputato non è dovuta la notificazione dell’avviso di udienza: cfr. Sez. 6, Sentenza n. 2323 del 07/12/2023, Rv. 285891).
Principio ribadito in un più recente arresto, in cui si è osservato che, in tema di ricorso per cassazione, gli oneri formali stabiliti – a pena di inammissibilità – dai commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen., introdotti dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 nell’ambito delle norme che regolano in generale il sistema delle impugnazioni, trovano applicazione anche nel giudizio di legittimità, in quanto funzionali a garantire l’effettiva conoscenza della pendenza del processo, con conseguente applicabilità, in mancanza, della procedura “de plano” ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., essendo l’impugnazione proposta da difensore non legittimato (cfr. Sez. 6, n. 6264 del 10/01/2024, Rv. 285984).
Va, tuttavia, rilevato che la legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024, è intervenuta modificando il disposto dell’articolo in 581, c.p.p., abrogando il comma 1-ter e inserendo al comma 1-quater, dopo le parole: «del difensore», le parole: «di ufficio».
Sicché l’attuale formulazione dell’art. 581, co. 1 quater, cod. proc. pen., è la seguente: “Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore di ufficio è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”.
Chiamate a risolvere le questioni sottoposte alla sua attenzione dalla Quinta Sezione Penale di questa Corte con ordinanza n. 26458/2024, le Sezioni Unite, con sentenza n. 6578, resa all’udienza del 24.10.2024, le cui motivazioni non risultano ancora note, ha affermato i seguenti principi, come si evince dalla relativa notizia di decisione.
“La disciplina contenuta nell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 – continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024. La previsione ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l’impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire l’immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione.”
Se, dunque, sulla base dell’interpretazione letterale dell’intervento riformatore, che rappresenta il punto di riferimento e, al tempo stesso, il limite dell’attività di interpretazione della legge, ai sensi dell’art. 12 delle “Disposizioni sulla legge in generale”, non appare revocabile in dubbio che il disposto di cui al comma 1 quater dell’art. 581, cod. proc. pen., si applichi, nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, solo al difensore di ufficio e non al difensore di fiducia, è altrettanto evidente che l’effetto innovativo non si estende ai ricorsi, come quello in esame, proposti sino al 24 agosto 2024, per i quali continua ad avere vigore la disposizione contenuta nella precedente formulazione del citato comma 1 quater dell’art. 581, cod. proc. pen., come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
Trattandosi, nel caso che ci occupa, di ricorsi proposti nell’interesse di imputati rimasti assenti nel giudizio, occorreva che venisse rilasciato al difensore di fiducia uno specifico mandato a impugnare con il ricorso per cassazione la sentenza di appello, mandato, la cui mancanza, rende inammissibili i ricorsi degli imputati.
Alla menzionata causa di inammissibilità, se ne aggiungono altre.
Si osserva, al riguardo, che in tema di giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011 Rv. 249651).
Invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di Cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
Resta precluso, infatti, proporre in sede di legittimità una lettura alternativa ovvero una rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una GLYPH mera censura di fatto sul profilo specifico
dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale.
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione presenta, pertanto, un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti interni del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, c.p.p.
Il vizio della motivazione, come vizio denunciabile, deve dunque essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento del giudice (cfr. Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Rv. 279005).
Va, inoltre, ribadito, essendo frequente nei motivi di ricorso degli imputati la doglianza della mancata considerazione dei rilievi difensivi da parte della corte territoriale, che, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità con condivisibile orientamento, l’obbligo di motivazione del giudice dell’impugnazione (compreso il giudice di legittimità, dunque) non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente,
esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p. (cfr., in questo senso, Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Rv. 260841; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Rv. 277593).
Ove, poi, come nella fattispecie in esame, ricorra un caso di “doppia conforme” posto che la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218), la possibilità di eccepire il vizio di travisamento della prova incontra un ulteriore limite.
In tale ipotesi, infatti, resta preclusa la possibilità di dedurre il vizio di motivazione per inidonea valutazione delle risultanze processuali, vale a dire per travisamento della prova, se non nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Rv. 280155), spettando al ricorrente rappresentare, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777).
Orbene i ricorsi in esame non si conformano a tali principi, perché sorretti da motivi con cui si sollecita una diversa valutazione su punti
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che hanno formato oggetto di esaustiva valutazione da parte della corte territoriale, in ordine alla ritenuta sussistenza dei fatti di bancarotta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale (cfr., in particolare, pp. 7-8 della sentenza di secondo grado).
Anzi, a ben vedere, i suddetti motivi si risolvono in larga parte, nella semplice reiterazione delle censure già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, con la cui motivazione sul punto i ricorrenti in realtà non si confronta, dovendosi, pertanto, le stesse considerare non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).
Manifestamente infondata è la dedotta violazione dell’art. 522, c.p.p., in ordine alla distrazione di un tornio e di una macchina rivettatrice, che non costituisce un “fatto nuovo”, non contemplato nell’imputazione, che facendo riferimento all’intera azienda in precedenza gestita dalla società fallita, comprensiva, come specificamente indicato, delle attrezzature ricomprende, in tutta evidenza, anche i suddetti macchinari.
Del tutto generico, inoltre, appare il richiamo alla violazione del principio espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione indicata nel primo motivo di ricorso.
Né va taciuta, con riferimento agli atti processuali di cui il ricorrente lamenta un’inadeguata valutazione da parte della corte territoriale nel primo e nel terzo motivo di ricorso (le dichiarazioni di COGNOME, amministratore di “RAGIONE_SOCIALE“, nonché del commercialista e dei dipendenti della società fallita), la violazione del principio della cd. autosufficienza del ricorso, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga, come nel caso in esame, la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071).
Siffatta interpretazione va mantenuta ferma, come chiarito da alcuni recenti arresti, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165 bis, co. 2, d.lgs 28 luglio 1989, n. 271, inserito dall’art. 7, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, dovendosi ribadire l’onere di puntuale indicazione ed allegazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
Con particolare riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale del pari va ritenuta manifestamente infondata l’eccezione con cui si deduce la violazione dell’art. 522, cod. proc. pen., per avere la corte territoriale, a fronte di un’imputazione avente a oggetto un fatto di bancarotta fraudolenta documentale cd. specifica, consistente nella sottrazione delle scritture contabili della società fallita, ritenuta sussistente la diversa fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale cd. generica, essendo stati consegnati i registri I.V.A. acquisti e vendite e il registro beni ammortizzabili, comunque inidonei a ricostruire il patrimonio e gli affari della società in questione.
Non sussiste, infatti, tra il fatto originariamente contestato e quello ritenuto in sentenza un rapporto di radicale eterogeneità o incompatibilità né un “vulnus” al diritto di difesa, trattandosi di reati di identica gravità (cfr., in questo senso, Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Rv. 271607).
Mentre, del tutto correttamente, la corte territoriale ha escluso che nel caso in esame fosse configurabile la meno grave ipotesi di bancarotta documentale semplice, non solo perché è stata accertata l’irregolare tenuta di libri contabili diversi da quelli obbligatori, ma soprattutto in ragione della dimostrata sussistenza di condotte distrattive, conformemente all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall., il dolo, generico, può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata
responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (cfr. Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659).
Del pari generica risulta l’eccezione volta a far valere la derubricazione del reato di cui al capo A) in un’ipotesi di bancarotta semplice, contraddetta dalla natura distrattiva dell’operazione che ha svuotato il patrimonio della società fallita in favore della “RAGIONE_SOCIALE“.
Manifestamente infondato appare, infine, il rilievo sulla determinazione dell’entità del trattamento sanzionatorio.
Ed invero, come sottolineato da un condivisibile arresto del Supremo Collegio, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (cfr. Cass., sez. IV, 06/05/2014, n. 29951).
Né va taciuta l’esistenza di un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti soddisfa l’obbligo della motivazione, trattandosi di un giudizio rientrante nella discrezionalità del giudice e che, come tale, non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. II, 08/07/2010, n. 36265, rv. 248535; Cass., sez. I, 09/12/2010, n. 2668, rv. 249549).
Orbene la motivazione della corte territoriale si colloca a pieno titolo nel menzionato alveo giurisprudenziale, in quanto la mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, si fonda proprio sui parametri di cui all’art. 133, c.p., considerati di valore assorbente, e,
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in particolare sulla gravità della condotta e del danno arrecato alle ragioni del ceto creditorio.
7. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere questi ultimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15.11.2024.