Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11880 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11880 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
ORDINANZA
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(– sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/10/2022 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia del 15 novembre 2018, con la quale COGNOME NOME era stato condanNOME alla pena di anni uno di reclusione ed euro duecentoottanta di multa in relazione al reato di cui agli artt. 624 e 625, nn. 2 e 7, cod. pen.
Il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo cinque motivi di impugnazione.
2.1. Violazione degli artt. 581 e 357 cod. proc. pen. con riferimento all’affermazione di responsabilità dell’imputato.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 99 e 69 cod. pen., per non aver la Corte territoriale rese esplicite le ragioni sulla base delle quali dovesse essere applicata la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen.
2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata declaratoria di prescrizione del reato ex artt. 157 e 160 cod. pen.
Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, va osservato che, con l’atto di appello il COGNOME non aveva contestato l’affermazione di responsabilità e non aveva chiesto l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen..
Ebbene, non sono deducibili con il ricorso per Cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugNOME con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745).
In ordine al terzo motivo di ricorso, va ricordato l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di
devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838).
In linea con tale principio, questa Corte ha altresì affermato che: in tema di recidiva facoltativa ritualmente contestata, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l’aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale (Sez. F, n. 35526 del 19/08/2013, COGNOME Silvio, Rv. 256713); ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cu procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di merito, con motivazione non manifestamente illogica, ha tratto elementi di valutazione negativi dal percorso criminale del COGNOME, caratterizzato dalla commissione di plurimi reati indicativi di un incremento della pericolosità e dalla dimostrazione della non nneritevolezza del beneficio della sospensione condizionale concesso in relazione a due precedenti condanne.
Pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, la Corte territoriale non si è limitata a valutare negativamente i precedenti penali. La critica del ricorrente è generica, in quanto non spiega le ragioni, per le quali le risultanze del casellario giudiziale non sarebbero indicative di accentuata pericolosità.
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, le circostanze attenuanti generiche erano già state concesse dal giudice di primo grado, con giudizio di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti.
In ordine al quinto motivo di ricorso, va osservato che il reato contestato non è prescritto in quanto, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, è stato commesso in data 29 luglio 2018 (vedi capo di imputazione).
Trattandosi di delitto di furto pluriaggravato, commesso da soggetto gravato da recidiva reiterata, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., il relativo termine prescr zionale scadrà non prima dell’anno 2033.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2024.