Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 42825 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 42825 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
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avverso la sentenza del 21/03/2024 della Corte di ap ello di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che conclude chiedendo: la correzione, ai sensi dell’art. 130 cod. p pen., dell’errore materiale del nome dell’imputato nel dispositivo della sent impugnata e nel corpo della motivazione, sostituendo al nome errato di C. L.
il nome corretto di
C.M.
; l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla valutazione inerente alla conversione della pen detentiva irrogata all’imputato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla C di appello di Napoli; l’inammissibilità nel resto;
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letta la memoria del difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che conclude chiedendo l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente alla refusione delle spese processuali; lette le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Salerno ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Salerno, la quale aveva condannato GLYPH C.M.
alla pena di tre anni e due mesi di reclusione, inflitta in relazione ai reati di cui agli artt. 609-bis cod. pen., previo riconoscimento dell’attenuante prevista dal comma 3 (capo 1), 610 cod. pen. (capo 2), 581 cod. pen. (capo 3) e 612, comma 2, cod. pen. (capo 4), fatti tutti commessi in danno della fidanzata.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite. il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), d) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 121 cod. proc. pen. e 20-bis cod. pen., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi in merito alla richiesta di pena sostitutiva, nonostante l’espressa richiesta formulata con il deposito delle conclusioni scritte nell’ambito della procedura scritta cartolare in sede di appello, ciò che integra il vizio di omessa pronuncia e la violazione del principio devolutivo.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. con riferimento all’affermazione della penale responsabilità, avendo la Corte di merito travisato i dati probatori e reso una motivazione carente, apodittica e contraddittoria. In particolare, rappresenta il difensore che il consulente tecnico non ha mai analizzato l’apparecchio telefonico della persona offesa e non ha escluso che le fotografie possano essere state trasferite da altro dispositivo e ha dichiarato di non aver analizzato gli screenshot stampati e allegati alla querela. La motivazione, inoltre, sarebbe contraddittoria in relazione alla valutazione della cartella clinica e alle dichiarazioni rese dal dott. COGNOME il quale ha riferito che la persona offesa, sua paziente, non sempre era coerente rispetto al progetto terapeutico, e, in coincidenza con il rapporto con l’imputato, erano emerse idee di gelosia e di abbandono, tanto da richiedere l’aumento della terapia di mantenimento. Riferisce, ancora il difensore, che anche dalla deposizione della madre della persona offesa non emerge alcun elemento idonea a far ritenere che
vi fosse un effettivo monitoraggio dell’assunzione prescritta da parte della donna. Di conseguenza, secondo il difensore, sussiste l’evidenza probatoria che la giovane non seguisse adeguatamente la terapia farmacologica per il suo disturbo, ciò che inquina la sua attendibilità, posto che detto disturbo si manifestava nel rappresentare come reali situazioni immaginarie, quali quelle descritte nelle querele.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., per avere la Corte di merito confermato la determinazione del trattamento sanzionatorio senza nemmeno richiamare la sentenza di primo grado, e illogicamente ritenuto che la personalità, le condizioni di vita e la storia personale dell’imputato non siano elementi idonei a giustificare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
2.1. Va premesso che, essendo stata la sentenza di primo grado emessa il 12 aprile 2023, il procedimento di appello è interamente regolato dalle norme introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia) in vigore dal 30 dicembre 2022, e non dalla disciplina transitoria di cui all’art. 95 del medesimo d.lgs., a tenore del quale, per quanto qui rileva, “Le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto”.
2.2. Di conseguenza, non pertinente è il richiamo, operato dal ricorrente, al principio secondo cui, in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi sulla loro applicabilità come previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che non dev’essere formulata necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame (da ultimo, Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024 Generali, Rv. 286017). Invero, tale condivisibile principio è stato formulato nel caso – diverso
da quello qui la vaglio – in cui trova applicazione la disciplina transitoria previst dall’art. 95 d.lgs. n. 150 del 2022.
2.3. Viceversa, in forza dei principi generali in tema di impugnazioni, la questione relativa all’applicazione di una pena sostitutiva avrebbe dovuto essere devoluta con l’atto di appello ovvero, al più tardi, con i motivi nuovi.
Nel caso in esame, invece, la questione è stata dedotta unicamente in sede di conclusioni scritte rassegnate nell’ambito del giudizio cartolare d’appello, laddove il difensore si era limitato a chiedere, in subordine, l’applicazione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità o di pena pecuniaria.
Di conseguenza, la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva, avanzata solo in sede di conclusioni scritte rassegnate nell’ambito del giudizio cartolare d’appello, non è stata devoluta alla Corte territoriale, la quale, peraltro, nemmeno era tenuta a provvedervi d’ufficio, posto che la sostituzione della pena ex art. 20-bis cod. pen. non rientra tra i casi espressamente previsti dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché tutto articolato in fatto e, quindi, esula dai casi espressamente previsti dall’art. 606 cod. proc. pen.
Si osserva che il ricorrente, sebbene formalmente denunci dei travisamenti probatori – con riferimento alle dichiarazioni rese dal consulente, dal medico e dalla madre della persona offesa – per un verso non ha allegato i verbali di tali dichiarazioni, impedendo, in questo modo, una verifica dell’effettivo travisamento del contenuto della testimonianza (cfr. Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269801; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053); per altro verso, a ben vedere, nella sostanza non evidenza profili di illogicità manifesta della motivazione, ma si limita a censurare la valutazione del materiale probatorio concordemente operato dai giudici di merito, il che esula dai casi tassativamente previsti dall’art. 606 cod. proc. pen.
Invero, nel solco tracciato dal Tribunale, la Corte di appello ha ribadito la piena attendibilità della persona offesa, valutando, innanzitutto, in maniera approfondita, la genesi della notizia di reato, immediata dopo il fatto, la coerenza, linearità e logicità del narrato della donna, l’assenza di elementi che potessero essere indice di accusa pretestuosa o calunniosa verso il ricorrente, l’irrilevanza dei denunciati profili di incongruenza del narrato della vittima.
Ancora, la Corte di merito ha individuato una serie di elementi di riscontro al narrato della vittima – peraltro non necessari, non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa, ancorché costituita parte civile, lo statuto previsto dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (per tutti, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012,
COGNOME, Rv. 253214) – quali: la deposizione del m.11o COGNOME il quale ha accertato che il telefono cellulare cui giunse una chiamata nella mattina del 4 agosto 2018 era intestato al titolare del ristorante ove la donna si era recata per una prova di lavoro il giorno del fatto; il racconto della madre della vittima in relazione agli episodi già verificatisi di violenza; i messaggi whatsapp intercorsi tra la persona offesa e l’imputato.
Allo stesso modo, nella sentenza è stata svolta una autonoma e coerente valutazione della esistenza di patologie psichiatriche pregresse che avessero potuto condizionare o alterare il racconto della vittima, giungendo ad escluderle con motivazione esente da vizi logici, essendo stato evidenziato, sulla base della deposizione dello psichiatra curante e delle emergenze desumibili della cartella clinica, che prima del verificarsi dei fatti e per un limitato arco temporale la persona offesa aveva sofferto di una sindrome depressiva, poi correttamente curata prima degli episodi in contestazione, sicché, come conclusivamente accertato dalla Corte di merito, la salute mentale della persona offesa al momento dei fatti in contestazione era “più che buona” (cfr. p. 22 della sentenza impugnata).
A fronte di un apparato motivazionale adeguato e scevro da profili di illogicità manifesta, il ricorrente, confeziona un motivo con cui sollecita, peraltro in maniera generica, una diversa valutazione delle prove: il che, come anticipato, non è consentito in sede di legittimità, perché il controllo sulla motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando dunque preclusa a questa Corte la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Invero, come risulta dalla lettura dell’atto di appello, il difensore non aveva dedotto alcun motivo avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio, ma, solo in sede di conclusioni (cfr. p. 9), si era limitato a chiedere, in via subordinata, i minimo edittale e l’applicazione delle attenuanti generiche, senza che tale richieste fossero sostenute da un benché minimo apparato argomentativo, in violazione del requisito di specificità, prescritto dall’art. 581, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., a tenore del quale i motivi di impugnazione devono indicare, a
pena di inammissibilità, le ragioni di diritto e gli elementi di fatti che sorreggono ogni richiesta.
A tal proposito, va richiamato il principio, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, secondo cui il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063-02).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende. L’imputato, infine, deve essere altresì condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio, che liquida in 3.500 euro, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 3.500, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Depositata in Cancelleria
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Il Presidente
NOME COGNOME
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CORTE DI CASSAZIONE Ufficio Relazioni con il Pubblico
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