Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46398 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46398 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SANT’AGATA DI MILITELLO il 13/11/1986
avverso la sentenza del 15/04/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15/04/2024 la Corte di appello di Messina confermava la sentenza del Tribunale di Patti del 03/07/2023, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 2 di reclusione in ordine al reato di cui all’articolo 7 d.l. 4/2019.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge in primo luogo in relazione alla sussistenza del dolo richiesto dalla norma, avendo il ricorrente semplicemente sottoscritto dei moduli prestampati dell’INPS, e in secondo luogo per l’omesso riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso si limita a riproporre pedissequamente le medesime doglianze già proposte con i motivi di appello e motivatamente disattese dal giudice del gravame.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, deo. 2017, La Gumina, Rv 269217)
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento),
posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
La sentenza impugnata, infatti, ribadendo il dictum del primo giudice, quanto al primo profilo evidenzia come il modulo di autocertificazione unica per la richiesta del RDC contiene un apposito riquadro, relativo alle condizioni personali per accedere al beneficio, tra i quali è chiaramente indicata la mancata sottoposizione a misura cautelare, circostanza di per sé sufficiente ad escludere l’assenza del dolo.
Quanto al secondo profilo, sottolinea la come le somme illegittimamente ottenute non fossero affatto minimali e siano state percepite per oltre un anno, così evidenziando il protrarsi di una condotta antigiuridica offensiva e pericolosa, sottolineata anche dalla continuazione interna tra le condotte.
Il ricorso, che con tale doppia, conforme, motivazione non si confronta affatto, limitandosi a riproporre le medesime censure dedotte con l’atto di appello, è pertanto inammissibile per genericità.
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.