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Ricorso inammissibile: la ripetizione non giova

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per indebita percezione di benefici pubblici. La decisione si fonda sul fatto che il ricorso era una mera ripetizione dei motivi già respinti in appello, senza una critica specifica alla sentenza impugnata. Viene inoltre confermata la sussistenza del dolo, anche in caso di firma di moduli prestampati, e l’inapplicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto a causa della durata e dell’entità del beneficio illecitamente percepito.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione Spiega Perché Ripetere i Motivi d’Appello Non Funziona

Presentare un ricorso in Cassazione richiede una strategia legale precisa e argomentata. Un errore comune, che può portare a un esito sfavorevole e a sanzioni economiche, è quello di limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già discusse e respinte nei gradi di giudizio precedenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza questo principio, dichiarando un ricorso inammissibile proprio per questa ragione e offrendo importanti chiarimenti sulla natura del giudizio di legittimità.

I Fatti del Caso: Condanna per Indebita Percezione di Benefici

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo a due anni di reclusione per il reato previsto dall’articolo 7 del D.L. 4/2019, relativo a false dichiarazioni per ottenere il Reddito di Cittadinanza. La condanna, emessa dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello, era stata impugnata dall’imputato con ricorso per cassazione.

La difesa si basava su due punti principali:
1. Assenza di dolo: L’imputato sosteneva di aver semplicemente sottoscritto un modulo prestampato fornito dall’INPS, senza avere la piena consapevolezza di dichiarare il falso.
2. Mancato riconoscimento della non punibilità: Si chiedeva l’applicazione dell’articolo 131-bis del codice penale, relativo alla particolare tenuità del fatto.

Il Ricorso Inammissibile e la Decisione della Corte

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La ragione principale di tale decisione non risiede nel merito delle questioni sollevate, ma in un vizio procedurale fondamentale: il ricorso era una “pedissequa reiterazione” dei motivi già presentati in appello.

La Cassazione ha chiarito che la funzione tipica di un’impugnazione è quella di muovere una critica argomentata e specifica contro il provvedimento che si contesta. Un ricorso che si limita a ripetere le doglianze precedenti, senza confrontarsi puntualmente con le motivazioni della sentenza d’appello, viene considerato generico e, di conseguenza, inammissibile. In pratica, l’atto di ricorso ignorava completamente la sentenza di secondo grado, fallendo nel suo scopo principale.

Le Motivazioni della Corte

Nel dettaglio, la Corte ha smontato la strategia difensiva, ribadendo quanto già affermato dai giudici di merito.

La Questione del Dolo nei Moduli Prestampati

Riguardo alla presunta assenza di dolo, la Corte ha sottolineato che il modulo di autocertificazione per il Reddito di Cittadinanza conteneva un riquadro specifico relativo alle condizioni personali necessarie per accedere al beneficio. Tra queste, era chiaramente indicata l’assenza di sottoposizione a misure cautelari. La firma apposta su tale modulo, nonostante la presenza di questa chiara indicazione, è stata ritenuta sufficiente a dimostrare la consapevolezza della falsità della dichiarazione e, quindi, a configurare il dolo richiesto dalla norma penale. Non è possibile, secondo i giudici, nascondersi dietro la natura prestampata del documento per eludere le proprie responsabilità.

L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto

Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto infondato. La Corte ha evidenziato che le somme percepite illegittimamente non erano affatto “minimali” e che il comportamento illecito si era protratto per oltre un anno. Questa continuità e l’entità del danno economico hanno configurato una condotta antigiuridica di una certa offensività e pericolosità, tale da escludere l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre due lezioni fondamentali. La prima, di natura procedurale, è che il ricorso per cassazione non è una terza istanza di merito dove si possono semplicemente riproporre vecchie argomentazioni. È un giudizio di legittimità che richiede una critica mirata e puntuale alle ragioni giuridiche della sentenza impugnata. Un ricorso inammissibile perché meramente ripetitivo comporta non solo la conferma della condanna, ma anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro). La seconda lezione, di natura sostanziale, è un monito sulla responsabilità personale nella compilazione di autocertificazioni per l’accesso a benefici pubblici: la firma su un modulo ha un valore legale preciso e non può essere considerata una mera formalità priva di conseguenze.

Quando un ricorso per cassazione è considerato inammissibile per genericità?
Un ricorso è inammissibile quando si limita a riproporre le medesime argomentazioni già presentate e respinte nel giudizio di appello, senza sviluppare una critica specifica e puntuale contro le motivazioni della sentenza che si sta impugnando.

La firma di un modulo prestampato, senza un’attenta lettura, può escludere la responsabilità penale per false dichiarazioni?
No. Secondo la Corte, la presenza nel modulo di sezioni chiare e specifiche sulle condizioni richieste (come l’assenza di misure cautelari) rende la firma una prova sufficiente della consapevolezza e volontà di dichiarare il falso, integrando così l’elemento psicologico del dolo.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente?
Oltre alla definitività della condanna, il ricorrente è tenuto a pagare le spese del procedimento e a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende, il cui importo viene fissato equitativamente dal giudice (nel caso specifico, 3.000 euro).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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