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Ricorso inammissibile: la motivazione per relationem

Un automobilista, condannato per lesioni stradali, presenta ricorso in Cassazione lamentando una motivazione carente da parte della Corte d’Appello. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato, affermando la validità della motivazione “per relationem” quando il giudice d’appello dimostra di aver vagliato concretamente i motivi del gravame. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Motivazione “per relationem” è Valida

Nel processo penale, l’obbligo di motivazione delle sentenze è un pilastro fondamentale a garanzia del diritto di difesa. Ma cosa succede quando un giudice d’appello, nel confermare una condanna, si limita a richiamare le ragioni del giudice di primo grado? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti e la validità di questa pratica, nota come motivazione per relationem, dichiarando un ricorso inammissibile e condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una cospicua sanzione. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una condanna emessa in primo grado e successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Torino. L’imputato era stato ritenuto colpevole per una serie di reati legati alla circolazione stradale, tra cui lesioni personali stradali gravi (art. 590-bis c.p.) e altre violazioni del Codice della Strada. Di fronte alla conferma della condanna, l’imputato decideva di giocare l’ultima carta, proponendo ricorso per Cassazione.

Il Motivo del Ricorso: una Motivazione Apparente?

Il ricorrente basava la sua difesa su un unico motivo di doglianza: il difetto di motivazione da parte della Corte d’Appello. A suo dire, i giudici di secondo grado si sarebbero limitati a un mero richiamo formale delle argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, senza procedere a un effettivo e autonomo vaglio dei motivi di appello presentati. In sostanza, l’imputato accusava la Corte territoriale di aver utilizzato la tecnica della motivazione per relationem in modo illegittimo, trasformandola in una motivazione solo apparente e, quindi, nulla.

La Decisione della Cassazione: il ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello non si era affatto sottratta al suo dovere di motivazione. Al contrario, aveva esaminato in modo congruo e nel merito l’unico motivo di appello, che verteva sulla congruità del trattamento sanzionatorio.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha chiarito un principio fondamentale: la motivazione per relationem è uno strumento legittimo, a patto che non si traduca in un’acritica adesione alla decisione precedente. Il giudice d’appello deve dimostrare di aver preso in carico le critiche mosse dall’appellante, di averle analizzate e di averle confutate, anche giungendo alle medesime conclusioni del primo giudice. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva dato “compiutamente atto delle ragioni poste alla base della condivisione delle conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado”. Questo dimostra un esame effettivo e non una mera pigrizia argomentativa. Di conseguenza, il motivo di ricorso è stato giudicato “manifestamente infondato”, portando alla declaratoria di inammissibilità.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce che contestare l’uso della motivazione per relationem non è, di per sé, un motivo valido per un ricorso in Cassazione. È necessario dimostrare che dietro a tale tecnica si cela una reale assenza di valutazione critica dei motivi di appello. Quando, come in questo caso, il giudice di secondo grado esamina le censure e spiega perché le condivide, la sua motivazione è pienamente valida. La decisione comporta, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso palesemente infondato.

Una Corte d’Appello può confermare una sentenza richiamando semplicemente le motivazioni del primo grado?
Sì, può farlo attraverso la cosiddetta “motivazione per relationem”, ma solo a condizione che dimostri di aver effettivamente esaminato i motivi di appello e di aver condiviso le conclusioni del primo giudice sulla base di ragioni adeguate e congrue. Non deve essere un richiamo acritico o formale.

Cosa significa che un ricorso è “inammissibile per manifesta infondatezza”?
Significa che i motivi presentati nel ricorso sono così evidentemente privi di fondamento giuridico che la Corte di Cassazione li rigetta senza procedere a un esame approfondito del merito. In questo caso, la Corte ha ritenuto palese che la motivazione della sentenza d’appello fosse adeguata.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
In base alla decisione e all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso inammissibile è condannata a pagare le spese del procedimento e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. In questo specifico caso, la sanzione è stata quantificata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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