Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1463 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1463 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Taranto il 16/07/1959
avverso la sentenza della Corte di appello di Taranto del 03/05/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale D.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 03/05/2023, la Corte di appello di Taranto confermava la sentenza con cui il Tribunale di Taranto in data 25/05/2022 aveva condannato NOME COGNOME in ordine al delitto di cui agli articoli 25 e 291-bis d.P.R. 43/1973, per avere sottratto a dir confine e IVA kg. 45,320 di TLE.
Avverso la sentenza l’imputato presentava, tramite il proprio difensore di fiducia, ricorso per Cassazione, lamentando, con l’unico motivo di ricorso la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione del provvedimento.
La sentenza sarebbe la mera trasposizione della sentenza di primo grado, emessa senza tenere conto delle ampie argomentazioni profuse nell’atto di appello.
Gli elementi sulla base dei quali si è giunti alla condanna sono stati completamente travisati dai giudici di entrambi i gradi di merito, né sono stati oggetto di una valutazione globale ai sen dell’articolo 192 cod. proc. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La censura formulata non solo risulta totalmente generica, omettendo il ricorrente di indicare quali fossero le censure formulate con l’atto di appello e non valutate dalla Corte territorial quali parti della sentenza del Tribunale sarebbero state recepite acriticamente dal giudici d secondo grado, ma, altresì, si sviluppa in assenza della benché minima c:orrelazione con i rilievi pubtualnnente svolti dalla Corte distrettuale in risposta alle doglianze articolate con l’att appello, senza alcuna specifica confutazione del fondamento logico e fattuale degli argomenti svolti nel provvedimento impugnato.
1.1. Questa Corte ha chiarito (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01) che è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato.
Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, quindi, sufficiente che esso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assolu dall’altro, esso esige pur sempre – a pena di inammissibilità del ricorso – che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime.
La mancanza di specificità del motivo, quindi, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, la quale non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, cade nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità (S 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 01; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608 – 01; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, Rv. 210157; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
1.2. Il provvedimento impugnato, in particolare:
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aveva confutato il primo motivo di appello (pag. 2), relativo ad un dedotto vizio di notifi del decreto di citazione a giudizio, con motivazione non manifestamente illogica (l’atto era stato notificato presso il domicilio dichiarato a mani del nipote, dichiaratosi convivente, come d verbale di notifica);
aveva confutato il secondo motivo di appello (pag. 3), relativo alla dedotta assenza di autonoma valutazione da parte del primo giudice rispetto agli atti di indagine, riportando ampia giurisprudenza sulla insussistenza di tale obbligo – previsto per le ordinanze applicative di misure cautelari – in riferimento alla sentenza, in cui peraltro l’adesione acritica ad atti di in potrebbe rilevare solo come vizio di motivazione, non dedotto dall’imputato e comunque colmabile dalla Corte di appello in virtù dei propri poteri integrativi;
aveva confermato il trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado (pag. 4), ritenuto anzi fin troppo generoso, alla luce dei numerosissimi precedenti penali del COGNOME, dimostrativi della «pervicace volontà di persistere nell’illecito».
1.3. Con tale motivazione il ricorso non si confronta, limitandosi a generiche e contestative deduzioni, risultando di tal guisa, stante quanto sopra evidenziato, inammissibile per genericità.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussiston elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
La presente motivazione viene redatta in forma semplificata ai sensi del decreto n. 68 del 28/4/2016 del Primo Presidente della Corte di cassazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/12/2023.