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Ricorso inammissibile: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile, confermando la condanna di un imputato. La decisione si fonda su tre motivi principali: la genericità delle censure, il divieto per la Suprema Corte di rivalutare le prove e i fatti di merito, e la manifesta infondatezza della questione sulla prescrizione del reato, allungata dalla recidiva. L’ordinanza ribadisce i limiti del giudizio di legittimità e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Chiude la Porta

L’ordinanza in esame offre un chiaro esempio pratico dei motivi che possono portare a un ricorso inammissibile davanti alla Corte di Cassazione. Attraverso l’analisi di questo caso, possiamo comprendere meglio i confini del giudizio di legittimità e le conseguenze di un’impugnazione non correttamente formulata. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un imputato, confermando la decisione della Corte d’Appello e condannandolo al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. Vediamo nel dettaglio le ragioni di questa decisione.

I Fatti del Processo

La vicenda processuale giunge in Cassazione a seguito di un ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello di Bari. L’imputato sollevava diverse doglianze, sperando di ottenere un annullamento della condanna. Tuttavia, come vedremo, i motivi addotti non hanno superato il vaglio preliminare di ammissibilità della Suprema Corte.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Corte

Il ricorrente basava la sua impugnazione su tre motivi principali, tutti giudicati inammissibili dalla Corte.

Genericità del Primo Motivo

Il primo motivo di ricorso lamentava una violazione degli articoli 62 e 63 del codice di procedura penale in modo del tutto generico. L’imputato non specificava in cosa, concretamente, sarebbe consistita la violazione di legge da parte dei giudici di merito. La Corte ha sottolineato che un motivo di ricorso, per essere ammissibile, deve essere specifico e dettagliato, indicando con precisione il punto della decisione impugnata e le ragioni giuridiche a sostegno della critica. L’assoluta genericità ha quindi reso questo motivo immediatamente inammissibile.

Il Divieto di Rivalutazione dei Fatti: un cardine del ricorso inammissibile

Il secondo motivo, strettamente collegato al primo, si fondava su una richiesta di rivalutazione delle testimonianze e su una ricostruzione dei fatti alternativa a quella operata dai giudici di primo e secondo grado. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sul merito. La Corte non può sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella dei giudici precedenti, né può verificare la tenuta logica della sentenza confrontandola con altri possibili modelli di ragionamento. Il suo compito è limitato a verificare la presenza di vizi logici manifesti o di contraddizioni interne alla motivazione, vizi che in questo caso non sono stati riscontrati.

La Questione della Prescrizione e la Recidiva

Infine, il terzo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La difesa sosteneva l’avvenuta prescrizione del reato di ricettazione. La Corte ha però chiarito che, a causa della recidiva contestata e applicata all’imputato, i termini di prescrizione, ai sensi degli articoli 157 e 161 del codice penale, si estendevano a sedici anni. Tale periodo non era ancora trascorso, rendendo la doglianza palesemente priva di fondamento giuridico.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla natura e i limiti del giudizio di cassazione. L’ordinanza riafferma che il ricorso alla Suprema Corte è consentito solo per violazioni di legge o per vizi di motivazione gravi e palesi, non per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti. La Corte cita precedenti giurisprudenziali, incluse le Sezioni Unite, per sottolineare come la violazione delle norme sulla valutazione della prova (come l’art. 192 c.p.p.) possa essere fatta valere solo come vizio di motivazione (mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità) e non come diretta violazione di legge.

Le Conclusioni

La decisione finale è la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa pronuncia comporta due conseguenze significative per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questo caso insegna che un ricorso per cassazione deve essere redatto con estremo rigore tecnico, focalizzandosi su precise questioni di diritto e vizi logici della motivazione, evitando di trasformarlo in un tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito della causa, pena una declaratoria di ricorso inammissibile e ulteriori oneri economici.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per tre ragioni: il primo motivo era troppo generico e non specificava la presunta violazione di legge; il secondo tentava una rivalutazione delle prove e dei fatti, attività non consentita in Cassazione; il terzo motivo sulla prescrizione era manifestamente infondato dal punto di vista giuridico.

La Corte di Cassazione può riesaminare le testimonianze?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le testimonianze o altre prove. Il suo compito non è quello di ricostruire i fatti, ma di verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, stabilita dal giudice, in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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