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Ricorso inammissibile: la Cassazione sulla genericità

Un imputato, condannato per reati legati agli stupefacenti, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo il riconoscimento del vincolo della continuazione con precedenti condanne. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che l’atto di impugnazione si limitava a riproporre le stesse argomentazioni dell’appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza di secondo grado. Viene così ribadito il principio secondo cui il ricorso deve essere una critica argomentata e specifica al provvedimento impugnato, pena la sua inammissibilità.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: quando l’appello è una copia carbone

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del diritto processuale penale: un ricorso inammissibile è tale quando non si confronta specificamente con le ragioni della sentenza impugnata, ma si limita a riproporre le stesse argomentazioni già presentate nel grado precedente. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere la funzione e i requisiti dell’atto di impugnazione.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una condanna per violazione della normativa sugli stupefacenti (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990), aggravata dal vincolo della continuazione con altri episodi (art. 81 cpv. c.p.). La sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Aosta, era stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello di Torino.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo: l’erronea applicazione della legge e il vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato in giudizio e altri fatti per i quali era già stato condannato con sentenze definitive.

Le ragioni del ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile senza entrare nel merito della questione. La ragione di tale decisione non risiede nella fondatezza o meno della richiesta dell’imputato, ma in un vizio strutturale dell’atto di impugnazione stesso. I giudici hanno osservato che il ricorso si limitava a “reiterare le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio”, ovvero l’appello contro la sentenza di primo grado.

In altre parole, la difesa non aveva mosso una critica argomentata alla decisione della Corte d’Appello, ma aveva semplicemente riproposto le stesse doglianze, ignorando completamente la motivazione con cui i giudici di secondo grado avevano già respinto tali richieste. La Corte d’Appello, infatti, aveva spiegato in modo “congruo e logico” perché non sussistessero i presupposti per riconoscere la continuazione invocata.

Le Motivazioni della Cassazione: Il Principio della Critica Argomentata

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato, citando una propria precedente sentenza (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013). La funzione tipica dell’impugnazione è quella della “critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce”.

Questo significa che l’atto di appello o di ricorso non può essere un monologo, ma deve instaurare un dialogo critico con la decisione che si contesta. A pena di inammissibilità, i motivi devono indicare specificamente:

1. Le ragioni di diritto: quali norme si ritengono violate e perché.
2. Gli elementi di fatto: quali prove o circostanze sono state, a giudizio della parte, erroneamente valutate.

Il contenuto essenziale dell’impugnazione è, quindi, il “confronto puntuale” con le argomentazioni del provvedimento. Se questo confronto manca, come nel caso di specie, il ricorso perde la sua funzione e si destina inevitabilmente all’inammissibilità. Non è sufficiente esprimere il proprio dissenso; è necessario spiegare perché la motivazione del giudice è sbagliata, illogica o carente.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

La decisione in commento è un monito importante per gli operatori del diritto. La redazione di un atto di impugnazione richiede un’analisi approfondita e mirata della sentenza che si intende contestare. Non è una strategia vincente riproporre pedissequamente le stesse argomentazioni, sperando in un esito diverso. Al contrario, è necessario smontare punto per punto il ragionamento del giudice di grado inferiore, evidenziandone le falle e proponendo una lettura alternativa fondata su solidi argomenti di fatto e di diritto. In assenza di questo lavoro critico, il rischio concreto è quello di veder dichiarato il proprio ricorso inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso è dichiarato inammissibile quando, tra le altre cose, viene proposto con un motivo non consentito dalla legge oppure quando non si confronta specificamente con la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a ripetere argomentazioni già presentate e respinte nel grado precedente.

Cosa significa che un ricorso deve contenere una ‘critica argomentata’ al provvedimento?
Significa che l’atto di impugnazione deve indicare in modo specifico e puntuale le ragioni di diritto e gli elementi di fatto per cui si contesta la decisione del giudice. Deve cioè spiegare perché la motivazione della sentenza è errata, e non solo riaffermare la propria tesi difensiva.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della condanna, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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