Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2101 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2101 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2023
SEN TENZA
Sul ricorso proposto da
NOME, nato in Nigeria il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Bologna il 10/01/2023
visti gli atti ed esaminato il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria e le conclusioni presentate dall’AVV_NOTAIO, dife dell’imputato, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IllI FATTO
La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza c:on cui COGNOME NOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 1990, n. 309 per avere ceduto 1,8 grani0i sostanza stupefacente di tipo marj per avere illegalmente detenuto 50,2 grammi della stessa sostanza e per ave precedenza ceduto in due occasioni tre dosi della sostanza indicata – al prezzo euro ciascuna – a tale COGNOME NOME.
Ha proposto ricorso l’imputato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla corretta qualificazione giuridica del fatto.
Si premette che avverso la sentenza di condanna era stato proposto da un diverso difensore un atto di appello con due motivi “abbastanza generici E! con argomentazioni invero poco centrate e pregnanti” (così il ricorso a pag. 1) e che, dopo aver ricevuto i mandato, il nuovo difensore, AVV_NOTAIO, all’udienza del 24.12.2022, aveva rassegnato le proprie conclusioni “specificando che le stesse sarebbero dovute valere come motivi nuovi”.
In tale contesto, si argomenta, la Corte non avrebbe tenuto conto del mutamento di difesa confondendo le richieste e le argomentazioni “dell’uno e dell’altro difensore”; in particolare, la Corte non avrebbe preso in considerazione l’assunto difensivo secondo cui, quanto alla cessione di 1,8 grammi, la condotta sarebbe stata “agevolata” e “indotta” dalla polizia giudiziaria che, pur accortasi delle intenzioni dell’imputato, n sarebbe intervenuta per interrompere il fatto criminoso, che, al più, sarebbe quindi riconducibile alla fattispecie tentata.
Rispetto a tali rilievi la sentenza sarebbe silente.
Sotto altro profilo, si evidenzia come fosse stata dedotta anche la questione della prova delle cessioni a COGNOME t “quantonneno a quelle diverse rispetto quanto occorso il 27 settembre 2017”; COGNOME avrebbe riferito di aver comprato solitamente dall’imputato della sostanza stupefacente di tipo marijuana previo contatto di una determinata utenza, ma dal verbale di perquisizione e sequestro del 5.10.2017 non risulta che l’imputato fosse in possesso di un telefono “contenente tale numero di cellulare”.
Si aggiunge, da una parte, che, rispetto alla cessione del 27.9.2017, la Polizia giudiziaria non aveva redatto alcun atto docunnentativo degli accadimenti, e che solo nel successivo verbale di arresto del 5.10.2017 si sarebbe fatto riferimento ai fatti precedenti e, dall’altra, che COGNOME avrebbe riconosciuto l’imputato attraverso un album di foto di cui, tuttavia, non vi sarebbe traccia agli atti.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene alla richiesta, depositata in sede di conclusioni, di restituzione delle somme di denaro in sequestro conservativo (euro 4.590).
La Corte avrebbe erroneamente ritenuto tardiva la richiesta perché non contenuta nei motivi di appello e negato la restituzione, pur affermando in modo contraddittorio che la somma fosse appartenente proprio all’imputato.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la mancata applicazione dell’art. 545 bis cod. proc. pen.
La Corte di appello non avrebbe dato avviso alle parti del potere di chiedere la sostituzione della pena nel giudizio di appello celebrato non in presenza.
In tal senso il difensore con il ricorso formula la richiesta di sostituzione della pe con il lavoro di pubblica utilità ovvero con la detenzione domiciliare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
A fronte di un atto di appello obiettivamente generico, la Corte ha puntualmente ricostruito i fatti e spiegato come: a) il 5.10.2017 i verbalizzEinti assistettero accadimenti che portarono ad accertare la cessione di droga da parte dell’imputato all’occasionale acquirente e al sequestro della sostanza stupefacente- dal peso di 50,2 grammi- occultata dallo stesso imputato in un cestino; b) a seguito dell’arresto fu eseguita una perquisizione presso l’abitazione del ricorrente dove fu trovata la somma di 4.590 euro, poi oggetto di sequestro conservativo; c) il 27.9.2017 COGNOME fosse stato visto dalla polizia giudiziaria compiere la medesima condotta e cedere sostanza stupefacente a NOME COGNOME, il quale, sentito successivamente, aveva riferito di avere comprato anche in altre occasioni sostanza stupefacente dall’imputato, contattandolo previamente ad una data utenza telefonica.
In tale contesto la Corte di appello, confrontandosi con i motivi di appello: a) ha spiegato in modo compiuto e privo di illogicità evidenti come il giudizio di responsabilità nei riguardi dell’imputato si fondi, oltre che sul contenuto del verbale di arresto – redat dopo una pregressa attività investigativa -, anche sui rilievi fotografici e su dichiarazioni di COGNOME, in grado di riconoscere in foto l’imputato come colui dal quale era solito acquistare sostanza stupefacente; b) ha chiarito che il numero di telefono fornito da COGNOME era lo stesso della scheda inserita nel cellulare sequestrato all’imputato dopo l’arresto, a conferma del rapporto tra l’acquirente e l’imputato; c) ha indicato le ragioni per cui la somma sottoposta a sequestro era nella disponibilità del solo imputato, che pure condivideva con altri l’appartamento, essendo stata rinvenuta detta somma nella camera da letto’ all’interno di una tasca dei pantaloni riposti con altri indumenti in una valigia.
In tale quadro di riferimento il primo e il secondo motivo rivelano la loro struttural inammissibilità.
3.1. Quanto al primo, la Corte di cassazione ha in più occasioni affermato che la presenza della forza pubblica, preordinata all’arresto in flagranza del reo, non importa il venir meno della configurabilità del reato poiché quest’ultimo è da ritenersi consumato anche nelle ipotesi in cui venga predisposto l’intervento della polizia giudiziaria, ch provveda all’immediato arresto dell’autore del delitto.
In particolare, è stata ritenuta la piena consumazione del reato per cui si procede in ragione del raggiungimento del consenso negoziale traslativo tra le parti ovvero, come nel caso di specie, della ricezione dello stupefacente; al riguardo è sufficiente osservare che la consumazione del reato non è esclusa dalia circostanza che l’operazione si sia svolta sotto il controllo della polizia giudiziaria, atteso che nel lasso di tempo, sia p breve, intercorso tra la consegna del plico all’acquirente e quello dell’intervento deg agenti che hanno proceduto all’arresto dell’imputato, l’acquirente acquistò una disponibilità autonoma sulla cosa, sia pure momentanea e di breve durata, sufficiente a dar vita alla contestata ipotesi consumata (Sez. 6, n. 35511 del 21/05/2013, COGNOME, Rv. 256443; Sez. 4, n. 10302, del 9/01/2009, COGNOME, Rv. 242972).
Sempre in relazione al primo motivo, nulla di specifico è stato inoltre dedotto, essendosi limitato il ricorrente ad affermazioni generiche che non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata.
La Corte di cassazione ha costantemente affermato che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si esplica attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiest Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è infatti il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Ne consegue che se il motivo di ricorso si limita ad affermazioni generiche, esso non è conforme alla funzione per la quale è previsto e ammesso, cioè la critica argomentata al provvedimento, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
3.2. A conclusioni non diverse deve giungersi anche per quel che concerne il secondo motivo di ricorso che è inammissibile perché non consentito dalla legge.
L’art. 317, comma 4, cod. proc. pen. prevede che gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo procedere non è più soggetta a impugnazione, ma non prima.
E la più recente giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 44578 del 07/06/2016, COGNOME, Rv. 267930; Sez. 6, n. 4459 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269614;) ha spiegato che la misura cautelare del sequestro conservativo, prima della definitività della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, è suscettibile di revoca solo nel caso in cui venga offerta idonea cauzione e non anche per il venir meno dei presupposti che ne hanno legittimato l’adozione, non essendovi nell’ordinamento processuale una norma che ne autorizzi la revoca, esplicitamente invece prevista per il
sequestro preventivo (in senso analogo, Sez. 5, n. 2196 del 6/10/1995, Rv. 203591; Sez. 5′ n. 40407 del 17/04/2012, Rv. 254631).
Le stesse Sezioni unite (n. 34623, del 26/06/2002, n. 34623, COGNOME, Rv. 222261), seppure con un obiter dictum, hanno confermato tali conclusioni, affermando che il sequestro conservativo, al contrario delle misure cautelari personali, è «misura irrevocabile», con la conseguenza che la mancata impugnazione del relativo provvedimento impositivo ai sensi dell’art. 318 cod. proc. peli, ne determina la definitività.
Dunque una richiesta di restituzione sin dall’inizio inammissibile e un motivo di ricorso per cassazione non consentito dalla legge.
1 31., È inammissibile anche il terzo motivo di ricorso, avendo la Corte già chiarito in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, da una parte, che il giudice non deve in ogni caso proporre all’imputato l’applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito, al riguardo, di un potere discrezionale, sicché l’omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell’avviso di cui all’art. 545-bis, comma 1, cod. pro pen., non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un’implicita valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostituti va, e, dall’altra, ch il difensore che, nelle conclusioni o con richiesta formulata subitc dopo la lettura de dispositivo, non abbia sollecitato l’esercizio, da parte del giudice, dei poteri sostituzione delle pene detentive di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen. non può, in sede di impugnazione, dolersi del fatto che non gli sia stato dato l’avviso previsto dal comma 1 di tale disposizione (Sez. 2, n. 43848 del 29/09/2023, D, Rv. 285412).
In tale contesto, il motivo rivela la sua strutturale genericità, non essendo stat decotto alcunchè.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.