Ricorso Inammissibile: La Cassazione Conferma la Condanna per Violazione della Sorveglianza
Quando un appello alla Suprema Corte di Cassazione rischia di essere un mero esercizio formale? La recente ordinanza della settima sezione penale offre una chiara risposta, delineando i confini del ricorso inammissibile. Questo provvedimento sottolinea come la riproposizione di argomenti già vagliati e respinti nel grado precedente, senza l’introduzione di nuove e pertinenti critiche alla decisione impugnata, porti inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni.
Il Contesto del Caso: Violazione della Misura di Prevenzione
Il caso trae origine dal ricorso di un individuo, già sottoposto a una misura di prevenzione personale, contro la sentenza della Corte d’Appello che ne aveva confermato la condanna. Il ricorrente lamentava una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione nella sentenza di secondo grado. La sua difesa si concentrava su aspetti che, secondo la Suprema Corte, erano stati in parte già adeguatamente esaminati e disattesi dai giudici d’appello.
L’Analisi della Corte di Cassazione: Perché il Ricorso è Inammissibile
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, dichiarandolo inammissibile. La decisione si basa su una valutazione rigorosa dei motivi presentati, evidenziando come questi non superassero il vaglio di ammissibilità per diverse ragioni concorrenti.
Motivi Ripetitivi e Non Sollevati in Appello
Un punto cruciale della decisione è la constatazione che le censure mosse dal ricorrente erano, in larga parte, una semplice riproduzione di argomenti già presentati e correttamente respinti dalla Corte d’Appello. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un organo di legittimità che valuta la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione. Riproporre le stesse doglianze senza specificare in che modo la corte territoriale abbia errato nell’applicare il diritto rende il ricorso inammissibile.
La Valutazione della Pericolosità Sociale e l’Assenza di Attenuanti
La Corte ha inoltre confermato la correttezza della valutazione operata dai giudici di merito riguardo alla personalità dell’imputato. Nonostante dal certificato penale risultasse che, dalla data di applicazione della misura di prevenzione originaria, non fossero intervenute condanne a pene superiori ai due anni, un successivo decreto aveva aggravato la misura, prolungandone la durata. Questo elemento è stato ritenuto sufficiente a confermare l’attualità della pericolosità sociale del soggetto.
Di conseguenza, sono state escluse sia l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), a causa dell’abitualità della condotta delittuosa, sia la concessione delle circostanze attenuanti generiche, data la personalità negativa e la chiara inclinazione a delinquere emersa dai numerosi precedenti specifici.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Suprema Corte si fondano sul principio secondo cui il ricorso per cassazione deve presentare critiche specifiche e pertinenti alla decisione impugnata, non potendosi limitare a una generica riproposizione delle argomentazioni difensive. La Corte ha evidenziato come la sentenza d’appello avesse fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta per respingere le istanze della difesa. L’abitualità della condotta delittuosa, le plurime condanne definitive per violazioni della stessa natura e la pendenza di altri giudizi hanno costituito un quadro probatorio solido a sostegno della valutazione di pericolosità. Inoltre, la mancata formulazione di specifiche censure sull’elemento soggettivo del reato nel giudizio d’appello ha precluso la loro disamina in sede di legittimità. La decisione, pertanto, non si limita a sanzionare la condotta del ricorrente, ma riafferma i rigorosi criteri di ammissibilità del ricorso in Cassazione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per la pratica legale: un ricorso per cassazione deve essere redatto con precisione e focalizzarsi sui vizi di legittimità della sentenza impugnata, evitando di trasformarsi in una sterile ripetizione delle difese svolte nei gradi di merito. La declaratoria di inammissibilità comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito delle spese processuali e il pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, con un aggravio economico per il ricorrente. Questa decisione ribadisce l’importanza di una difesa tecnica che sappia distinguere tra le diverse fasi processuali e i relativi ambiti di cognizione del giudice.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile quando le censure sono una mera riproduzione di motivi già adeguatamente esaminati e respinti nel grado precedente, oppure quando vengono sollevate per la prima volta questioni che dovevano essere dedotte in appello.
L’abitualità a delinquere impedisce di ottenere benefici di legge?
Sì, nel caso di specie, la Corte ha stabilito che l’abitualità della condotta delittuosa, dimostrata da diverse condanne definitive per violazioni simili, ha impedito l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
Quali elementi ostacolano la concessione delle circostanze attenuanti generiche?
La concessione delle attenuanti generiche è stata negata a causa della personalità negativa del ricorrente, della sua inclinazione a delinquere e dei numerosi precedenti penali specifici, commessi anche dopo l’applicazione della misura di prevenzione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6660 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6660 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/09/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole della violazione di legge in relazione all’art. 14, comma 2, cod. antimafia e del vizio di motivazione – in parte non risultano essere state dedotte nel merito e in parte sono riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di appello di Palermo con la sentenza impugnata.
Invero, in detta pronuncia si evidenzia che: – dalla lettura del certificato penale in atti risulta che dal 2.7.2013, data di emissione dell’originario decreto di prevenzione personale, COGNOME non è stato condannato mai a pene superiori ai due anni e che, comunque, con decreto della stessa Corte in data 24/01/2018 è stato disposto l’aggravamento della sorveglianza speciale con il prolungamento della durata da due a tre anni (per cui deve ritenersi attuale la valutazione della pericolosità); – non sussistono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. considerata l’abitualità della condotta delittuosa ascrivibile all’imputato, il quale risulta gravato da diverse condanne definitive per violazioni connesse alla misura di prevenzione e risulta sottoposto a giudizio, oltre che nel presente procedimento, anche per due ulteriori violazioni della normativa; – non esistono elementi di segno positivo valutabili ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo alla negativa personalità di COGNOME, incline a delinquere, emergente dai numerosi precedenti specifici a suo carico, commessi anche successivamente all’applicazione della misura di prevenzione.
Considerato che le censure relative all’elemento soggettivo non risultano essere state formulate con l’appello.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.