Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 900 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 900 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SARONNO il 24/06/1973, avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di ROMA,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il ricorso viene trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art comma 8, D.L. 137/2020, convertito, nella L. n. 176 del 18/12/2000;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso chiedendo che il Collegio voglia respingere il ricorso,
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 febbraio 2023 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Viterbo, condannava COGNOME COGNOME in qualità di sub agente delle società assicurativa RAGIONE_SOCIALE alla pena di anni due d reclusione e 1.200 euro di multa per più episodi di truffa in danno di diverse persone offese, con l’aggravante della recidiva infraquinquennale, confermando per il resto la sentenza di primo grado, comprese le statuizioni civili.
Avverso tale decisione l’imputato NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per cassazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con la rimessione del procedimento alla Corte di appello di
Roma per lo svolgimento del rito premiale del patteggiamento, nonchè l’annullamento delle conseguenti statuizioni civili, rappresentando altresì l’intervenuta prescrizione d reati di cui ai capi e) ed f) della sentenza impugnata. Il ricorso deduce tre distinti moti
2.1 Con il primo eccepisce la violazione di legge in relazione all’art. 523 c.p.p., rilevand che le parti civili nel giudizio di appello non hanno concluso per iscritto, come risulta d verbale d’udienza, di tal che la sentenza, che ha confermato la condanna in favore delle parti civili, appare viziata per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 523, comma 2, c.p.p. che impone alla parte civile di concludere per iscritto con le richieste risarcito
2.2. Con il secondo motivo contesta che nel giudizio di primo grado, l’imputato, all’udienza del 1° aprile 2021 davanti al giudice del dibattimento dott. COGNOME avev presentato, con il consenso del pubblico ministero, richiesta di applicazione della pena, dichiarata ammissibile dal giudice, il quale, però, si era poi limitato a disporre un rin ad altra udienza per consentire alla difesa di riformulare il calcolo della pena inserendo la diminuzione per il rito. In seguito a molteplici rinvii davanti a diversi giudici erano succeduti, il processo era stato, infine, incardinato avanti al G.O.T. dott. NOME COGNOME il quale, in via preliminare, aveva erroneamente dichiarato inammissibile l’istanza di patteggiamento già ammessa dal primo giudice, facendo, così, regredire il procedimento alla fase di ammissione dell’istanza di patteggiamento.
2.3. Con il terzo motivo, infine, eccepisce che i reati di truffa commessi in danno di NOME, NOME COGNOME e NOME NOME (rispettivamente capi sub e) e sub f) della sentenza impugnata) sarebbero prescritti in quanto commessi rispettivamente il 16 luglio 2014 e nel periodo compreso tra il 24 aprile 2015 e il 17 luglio 2015, come indicato nell’imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile perché proposto con motivi non consentiti o manifestamente infondati.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, il mancato deposito di conclusioni scritte della parte civile nel giudizio di appello non comporta alcun rinuncia tacita alla domanda risarcitoria. Infatti, si ritiene che: “In riferimento alla posizione della parte civile nel processo penale, devesi rilevare come viga a riguardo il principio di “immanenza”, normativamente previsto dall’art. 76 cod. proc. pen., comma 2, secondo cui “la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e gr del processo”. Dall’enunciato principio discende che la parte civile, una volta costituita debba ritenersi presente nel processo anche se non compaia, che debba essere citata nei successivi gradi di giudizio (anche straordinari, come ad esempio nel giudizio di revisione) anche se non impugnante e che non occorra, per ogni grado di giudizio, un nuovo atto di costituzione. In virtù del principio di immanenza, la costituzione di parte civile resta fer anche nel caso di mutamento delle posizioni soggettive (per esempio, morte o raggiungimento della maggiore età) o di vicende inerenti la procura alle liti o la difes
tecnica (per esempio, l’abbandono della difesa). (cosi Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018, COGNOME, Rv. 273338-01; conf. Sez. 5, n. 24469 del 09/04/2019, COGNOME c/COGNOME, Rv. 276513-01).
Nel caso di specie, deve quindi affermarsi che, sebbene le parti civile non abbiano partecipato personalmente al giudizio di appello e non abbiano presentato le conclusioni scritte di cui all’art. 523 cod. proc. pen., non può ritenersi che siffatto comportament integri un’ipotesi di revoca tacita o presunta della loro costituzione in giudizio. ( Sez. 6, n. 25012 del 23/05/2013, COGNOME, Rv. 257032-01; Sez. 6, n. 25723 del 6 maggio 2003, COGNOME, Rv.225576-01). Infatti, si deve ribadire il principio secondo cui “La disposizione di cui all’art. 82 cod. proc. pen., comma 2, trova, difatti, applicazio solo per il processo di primo grado (V. Sez. 1, Sentenza n.19380 del 25/11/2016, Rv. 270260, N. 24063 del 2008 Rv. 240616, N. 25012 del 2013 Rv. 257032, N. 29675 del 2016 Rv. 267385, N. 34922 del 2016 Rv. 267769) quando, in mancanza di conclusioni, non si forma il petitum sul quale il Giudice possa pronunciarsi, mentre le conclusioni rassegnate in primo grado restano valide in ogni stato e grado del processo ed obbligano il giudice a pronunziare condanna anche in merito alle spese dell’impugnazione” (così la già citata Sez. 5, n. 24637 del 06/04/2018).
La decisione della Corte di appello di Roma di confermare le condanne in favore delle parti civili risulta, perciò, corretta e conforme a consolidati principi giuridici.
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto ampiamente reiterativo di quello proposto nell’atto di appello, disatteso nella sentenza impugnata con specifiche e puntuali argomentazioni, con le quali la difesa in buona parte non si è confrontata. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. La mancanza di specificità del motivo, dunque, va valutata anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. alla inammissibilità della impugnazione, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822-01 e Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, in motivazione). Va ribadito, dunque, che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini assertivi e apodittici, correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino – come nel caso di specie – di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di gravame non s stati accolti (Sez. 2, n.33580 del 1/08/2023, COGNOME + altri, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv.281521; Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, COGNOME, Rv. 267611; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 256133). Nel caso di specie la Corte di appello ha respinto l’istanza di revocare l’ordinanza con la quale era s
rigettata l’istanza di patteggiamento datata 17 febbraio 2021 e, di conseguenza, di voler ammettere l’imputato al patteggiamento nei termini indicati nella stessa istanza, così specificamente argomentando sul punto : “Seguendo l’iter processuale indicato dalla difesa si osserva che all’udienza del 1° aprile 2021, pur essendo stata dichiarata ammissibile l’istanza di patteggiamento, in realtà non può ritenersi che questa sia stata effettivamente presentata posto che il difensore ha chiesto rinvio per correggerla, rilevandosi in ogni caso, che l’ammissibilità dell’istanza non ne avrebbe precluso la valutazione nel merito, che nel caso in esame non può che essere di segno negativo per l’assoluta inadeguatezza dell’accordo oggetto di patteggiamento che prevede una pena pari a 6 mesi di reclusione e 500 euro di multa, a fronte di plurime e gravi condotte contestate, fonti di consistenti danni nei confronti di nove persone offese, di cui quatt costituite parti civili, sicché le censure difensive espresse in merito non possono che essere disattese”. A fronte di queste specifiche e puntuali argomentazioni, il motivo di ricorso risulta inammissibile perché aspecifico e generico, limitandosi a reiterate l proprie valutazioni negative in ordine all’ordinanza del giudice dibattimentale che dichiarò inammissibile l’istanza di patteggiamento.
In ogni caso, si condividono le considerazioni espresse sul punto dalla sentenza impugnata. Infatti, la dichiarazione di ammissibilità della richiesta di patteggiamento, ch consegue all’esame del rispetto dei limiti processuali indicati dagli artt. 444 e 446 c.p.p non preclude in alcun modo al giudice di valutare, dal punto di vista logico in un secondo momento, l’accoglibilità in concreto dell’istanza stessa ex art. 444, comma 2, c.p.p. (assenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., corretta qualificazione giuridica dell’imputazione, congruità della pena). Tale affermazione vale a maggior ragione nel caso di specie, in quanto all’udienza del 10 aprile 2021, quando fu dichiarata ammissibile l’istanza di applicazione della pena, venne contestualmente disposto un rinvio, su richiesta della difesa, sia per correggere l’istanza, inserendo la diminuzione per il rito (c non è fissa ma varia fino ad un terzo), sia per produrre una precedente sentenza del G.I.P. di Roma con l’attestazione del suo passaggio in giudicato, al fine di chiedere la continuazione con i reati ivi già giudicati. È evidente che i due momenti di valutazione, ammissibilità dell’istanza e accoglimento della richiesta, erano del tutto distinti, anc temporalmente, e autonomi nel rispettivo giudizio, di tal che nessun effettivo pregiudizio può essere lamentato dal ricorrente, considerato che la valutazione negativa sulla congruità della pena da applicare è stato effettuato dalla Corte di appello con argomentazioni prive di vizi logici.
Anche il terzo motivo relativo all’intervenuta prescrizione di alcuni capi di imputazion è inammissibile per difetto di specificità. Infatti, il ricorrente si limita a segnalar riguardo ai capi sub e) e sub f) la data di consumazione dei rispettivi reati, affermando apoditticamente che sarebbe perciò intervenuta la prescrizione.
Il ricorrente non si confronta, ad esempio, con il fatto che l’imputato è stato condannato ritenendo la sussistenza della circostanza aggravante della recidiva infraquinquennale di cui all’art. 99, comma 2 n.2, c.p., che comporta, a seguito degli atti interruttivi, l’aume
della metà del termine di prescrizione ex art. 161, comma 2, c.p. proprio in conseguenza della recidiva qualificata. Né il motivo di ricorso tiene in considerazione le numerose ordinanze di sospensione del decorso del termine di prescrizione a seguito di istanze di rinvio da parte dell’imputato, indicate con puntualità nella sentenza di primo grado e precisamente: alla prima udienza del 3/11/2020 fu stato disposto rinvio all’udienza del 22.12.2020, in quella del 26.04.2021 altro rinvio all’udienza del 17.06.2021, ed infine all’udienza del 16.07.2021 si rinviò poi alla data del 10.09.2021.
La Corte ha già affermato di recente che: “a conforto della necessaria specificità del motivo inerente la prescrizione, si è osservato condivisibilmente che la prescrizione è un evento giuridico e non un mero fatto naturale, il cui accertamento non è frutto soltanto del computo aritmetico del relativo termine sul calendario. Plurime questioni, di diritto di fatto, costituiscono l’oggetto del giudizio sul punto della prescrizione: titolo del r epoca della commissione, regime applicabile, atti interruttivi, sospensioni, limi correlativi, circostanze soggettive, fatti naturali, atti o eventi processuali influenti, correlati, determinazione dei periodi di maturazione e di quelli di sospensione, computo etc.” (così Sez. 2, n.35791 del 29/05/2019, COGNOME, Rv. 277495-01). Nulla di tutto ciò è stato dedotto dal ricorrente, che si è limitato a chiedere l’annullamento della sentenza impugnata indicando sole le date di consumazione dei reati, così violando le regole processuali per i giudizi di impugnazione già indicate sopra.
In ogni caso, i reati di cui ai capi sub e) e sub f) non sono prescritti, in quanto in f della ritenuta recidiva infraquinquennale gli atti interruttivi comportano un aumento della metà (e non solo di un quarto) del termine di prescrizione, a cui si devono aggiungere tutti i periodi in cui vi è stata la sospensione del termine prescrizionale, so puntualmente indicati, che sommati conducono ad una prescrizione che si consuma solo a far data dal 15/12/2023.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricors (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29 novembre 2023
DEPOSITATO IN CANCELLARIA Il Consigliere estensore